L’Europa appronta le macchine della censura

filtri automatici, se applicati, metterebbero a rischio la libertà di espressione, la libertà di stampa e la libertà d’impresa. Julia Reda coordina la protesta contro una proposta che probabilmente finirebbe per essere cestinata dai tribunali, ma che presenta comunque molti rischi.

di Valerio Porcu @ValerioPorcu

22 Gennaio 2018

C’è una proposta di legge della Commissione Europea secondo la quale provider e fornitori di servizi saranno obbligati ad applicare filtri automatici ai contenuti caricati dagli utenti.

Risale al 14 settembre 2016, rientra nello sviluppo nel Mercato Unico Digitale (Digital Single Market) e ufficialmente ha l’obiettivo di ostacolare e limitare la circolazione illecita di materiale protetto da copyright, tutelando allo stesso tempo la libertà di espressione e di stampa. Due temi trattati rispettivamente nell’Art. 11 e nell’Art. 13 della proposta. Una sintesi della situazione attuale si ritrova in un messaggio della Presidenza agli Stati Membri, documento che mostra le opzioni attualmente prese in considerazione.

L’articolo 13 è particolarmente delicato e ha spinto politici di diversi schieramenti e associazioni a protestare. Sono coordinati da Julia Reda (Giovani Pirati) e hanno avviato una campagna per fermare le “macchine della censura“. È la stessa Reda a spiegare sul proprio sito le ragioni della protesta.

La politica sul copyright si basa solitamente sul presupposto di fondo che la violazione del copyright ha un effetto negativo diretto sui ricavi dei titolari dei diritti. L’esempio più recente di questo tipo di ragionamento è la proposta altamente controversa della Commissione di richiedere ai provider dell’hosting di installare filtri sui contenuti, per sorvegliare tutti i contenuti caricati dagli utenti.

Questo, sottolinea Reda, nonostante uno studio del 2014 abbia dimostrato che i mancati guadagni riguardano solo i film più importanti (blockbuster) usciti da poco. Lo studio è stato pagato dalla Commissione (“oltre 360.000 euro” ci informa Reda) e consegnato nel 2015, ma non è mai stato reso pubblico.

La norma nasce in particolare per tutelare l’industria musicale nei confronti di YouTube. Un’industria che “crede che i profitti pubblicitari condivisi da Google siano troppo bassi in confronto ai pagamenti da servizi in abbonamento come Spotify. E chiamano questa differenza value gap o transfer of value”. Si legge sempre su juliareda.eu.

Si suppone dunque che esista un “gap di valore” nella diffusione di contenuti non autorizzati, ma Reda sottolinea che per affrontare il dibattito sarebbero necessari dati pubblici. Proprio per questo la parlamentare ha fatto richiesta ufficiale di vedere i documenti.

Che cosa significa?

Secondo la norma proposta, gli operatori online (Youtube, Flickr, Twitch, solo per citare alcuni dei più famosi) sarebbero tenuti ad applicare filtri automatici su tutti i contenuti pubblicati dagli utenti. Per esempio, se un fotografo chiede a lemiefoto.com di tutelare una certa immagine, il servizio dovrà controllare gli upload di tutti gli utenti per assicurarsi che nessuno la carichi tranne il legittimo proprietario.

L’Articolo 13 della proposta sul Copyright nel Digital Single Market include obblighi che sarebbe impossibile rispettare senza imporre restrizioni eccessive ai diritti fondamentali dei cittadini.

Dalla lettera aperta delle associazioni alle cariche europee

In linea ipotetica non c’è nulla di male e si tratta solo di regolare i rapporti tra YouTube e gli editori musicali, ma ci sono diversi possibili effetti indesiderati.

Anzi, già oggi chi usa YouTube sa bene che il sistema di filtri automatici è fin troppo zelante. C’è chi non ha potuto caricare il video di un gatto per ragioni sconosciute, genitori che si sono visti bloccati i video dei figli che ballano per la musica che si sentiva in sottofondo. In genere YouTube blocca i video per “problemi di copyright” senza dare spiegazioni.

Chi desidera può contestare il blocco, ma è una procedura complessa che tende a favorire chi afferma di avere il copyright. Che tale affermazione sia fondata oppure no, è ben poco rilevante: qualcuno potrebbe benissimo ricaricare un vostro video, reclamare il copyright e poi chiedere la rimozione dell’originale. Non sarebbe la prima volta.

Ed ecco perché si parla di minaccia alla libertà di espressione. Si rischia, secondo chi protesta, uno scenario in cui il cittadino non può farsi sentire online perché ostacolato da questi filtri automatici. E non avrebbe nemmeno gli strumenti per opporsi. Riguarderebbe la creatività personale quanto le opinioni politiche, potenzialmente.

Immagina che ogni volta che vuoi parlare ci siano computer controllati da grandi aziende che controllino cosa stai per dire, e che abbiano il potere di impedirtelo.

Quello descritto è inoltre un grande apparato di sorveglianza elettronica automatizzata – non che adesso non ce ne siano. Sarebbe anche un ostacolo alla libertà d’impresa: lo sviluppo e l’uso di filtri automatici, infatti, scoraggerebbe l’avvio di nuove iniziative digitali perché rappresenterebbe un costo aggiuntivo. Uno scenario degno di Aldous Huxley.

Ultimo ma non meno importante, ci sarebbero vittime innocenti. I filtri automatici spesso e volentieri funzionano male, e frequentemente sono impostati per favorire il titolare del copyright – non perché abbia sempre ragione ma perché in questo modo si evitano procedure lunghe e costose. Filtri che in questo modo però finirebbero per bloccare contenuti del tutto legittimi: pensate a Wikipedia, Stack Overflow, Flickr e tanti altri. Buona parte dei contenuti che oggi sono liberi e gratuiti rischierebbe di scomparire.

Nella lettera aperta delle associazioni, inoltre, si nota anche come la normativa sarebbe in contrasto con la norma europea 2000/31/EC. Secondo quest’ultima il fornitore non è tenuto a monitorare i contenuti degli utenti, ma a rimuovere quelli illegittimi dopo un’eventuale segnalazione.

“(i filtri) prima bloccheranno e poi faranno domande. Sarete colpevoli fino a prova contraria”.

Catherine Stihler (S&D, United Kingdom)

“Dunque, una novità legislativa che richiedesse alle società internet di installare sistemi di filtraggio sarebbe quasi certamente ricusata dalla Corte di Giustizia, perché contravverrebbe alla richiesta di un giusto equilibrio tra il diritto alla proprietà intellettuale, da una parte, e la libertà di iniziativa commerciale e di espressione – come quella di ricevere o diffondere informazioni – dall’altra”.

Il documento rimanda in particolare all’Art. 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, sulla quale è stata costruita tutta la nostra storia recente. Trattandosi di un documento fondamentale, secondo i firmatari della lettera aperta, probabilmente le Corti Costituzionali dei vari paesi rifiuterebbero la normativa proposta, che finirebbe per essere annullata dalla Corte di Giustizia Europea.

“Ho caricato la registrazione di una dichiarazione politica al Parlamento Europeo e YouTube l’ha eliminata. Ancora non so perché”

Marietje Schaake (ALDE, Netherlands)

Alla lunga, dunque, forse non c’è ragione di preoccuparsi. Forse possiamo star certi che nessun giudice permetterebbe l’esistenza di una legge simili. Ma i giudici applicano la legge al meglio delle loro possibilità, mentre qui si tratta di mandare un messaggio, sensibilizzare forse, chi le leggi le pensa e le scrive.

C’è qualcosa che possiamo fare come cittadini? Sì, come suggerito dal video che potete vedere in questa notizia, condividere questo e altri articoli sull’argomento può essere di grande aiuto. Chi vuole fare di più può visitare ChangeCopyright e SaveTheMeme, oppure usare questa pagina per scrivere direttamente ai propri rappresentanti presso il Parlamento Europeo.