Scuola: il coraggio di tornare a Gentile

…Contro il disastro dell’Ignoranza di Massa

Questo articolo è apparso su Il Sole 24 Ore

di Mario Caligiuri

Quest’anno ricorrono i 100 anni dalla riforma dell’istruzione promossa dal ministro Giovanni Gentile, che ha profondamente segnato la storia del nostro Paese nel Novecento.

Quando si analizza un evento, in genere commettiamo l’inevitabile errore di interpretarlo con gli occhi dell’oggi, senza tenere conto che quella del 1923 era un’altra Italia, dal punto di vista economico e culturale, sociale e demografico, religioso e mentale.

Come tutto quello che è avvenuto durante il fascismo, che ha colpe storiche precise e incancellabili, la riforma Gentile è stata oggetto di un certo ostracismo. Eppure – sia detto solo per la cronaca, la legge che delegava il governo a regolamentare scuola e università ebbe allora il voto favorevole di Giovanni Giolitti, Benedetto Croce e del partito popolare di Luigi Sturzo.

Benché non necessario, chiariamo: non si tratta di auspicare impossibili ritorni al passato, ripristinando scuole e università per pochi eletti. Si intende invece utilizzare l’occasione dell’anniversario per ribadire un’ovvietà: la centralità dell’educazione per il progresso democratico, economico e morale di un popolo. E com’è di tutta evidenza, un’istruzione di qualità rappresenta la spinta più importante per ridurre le disuguaglianze sociali, risultando indispensabile per i figli delle famiglie di medio e basso reddito, soprattutto nel Mezzogiorno, la cui distanza educativa con il Nord aumenta sempre di più.

In una qualche misura, la riforma Gentile nell’Italia del XXI secolo può essere intesa come la premessa per evidenziare la necessità di un indispensabile sommario di strategie e sperimentazioni educative, per la creazione di una necessaria pedagogia della nazione in modo da delineare come il nostro Paese si presenta ai propri cittadini e al mondo.

Da questo punto di vista, si tratta di un anniversario senza colorazioni politiche, che non si può attribuire a nessuno schieramento (per quello che adesso possano significare) ma che sta in alto, che appartiene all’Italia. Anche perché gli anniversari possono essere utili per riportare necessariamente alla memoria la nostra storia nazionale, in un’età in cui i “dimentichi” chiamano gli altri “scaduti”.

I provvedimenti proposti da Gentile erano improntati sulla filosofia, un sapere sempre più necessario, che aiuta a inquadrare le trasformazioni furiose della realtà. Non a caso, i servizi segreti di Israele, uno stato che da oltre settant’anni vive una condizione di guerra permanente, stanno attualmente assumendo hacker e laureati in filosofia: i primi per individuare le informazioni nei recessi più reconditi della Rete e i secondi per intrepretarle. Una dimostrazione in pratica di come si possa affrontare lo scontro in atto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, dagli esiti quanto mai incerti.

Pertanto, porre all’attenzione nazionale la centralità della questione educativa significherebbe affrontare il problema principale del nostro Paese, sul quale non sembra esserci sufficiente consapevolezza sia a livello politico che culturale, né tanto meno nelle giovani generazioni e nelle loro famiglie, oltre a essere sostanzialmente ignorato a livello mediatico.

Potrebbe essere invece significativo valutare, in modo scientifico, le effettive ricadute della riforma Gentile sull’istruzione nazionale, comparandole sia con la situazione precedente che con quella successiva, sia italiana che degli altri Paesi.

Il tema principale che proporrei è quello dei “tempi educativi”, in base ai quali gli esiti di qualsiasi riforma scolastica si dispiegano dopo decenni. Scrive Koeno Gravemeijer della Eindhoven University of Technology: “nell’educazione ogni cosa succede cinquant’anni più tardi”. [quando i mal-educati sono diventati adulti, e magari governano, da ignoranti e neo-primitivi ndBlon.]

Partendo da questa considerazione, possiamo dedurre che sia la redazione della Costituzione, maturata nell’immediatezza della temperie di un immane conflitto, sia il boom economico degli anni Sessanta, verificatosi dopo poco più di tre lustri da una rovinosa guerra perduta, potrebbero essere stati in parte dovuti a persone preparate dal sistema educativo sviluppatosi dopo la riforma del 1923 – che ha formato quei diplomati e laureati che hanno consentito la ricostruzione democratica ed economica dell’Italia.

Analogamente, il centenario della riforma potrebbe rappresentare un’utile occasione anche per approfondire come l’istruzione pubblica abbia concorso a creare quel pensiero critico che è stato determinante nelle rivolte giovanili del Sessantotto, con le fondamentali conquiste dei diritti civili da un lato e le devastanti derive estreme del terrorismo politico dall’altro.

Oggi, infatti, stiamo constatando le conseguenze delle politiche educative del Sessantotto, accentuate enormemente dalle riforme senza soste di scuola e università che si sono susseguite dalla fine degli anni Novanta. Tutti interventi che, nella lettura critica di Luca Ricolfi, e Paola Mastrocola, hanno creato a istituzioni educative che hanno dato vita a una “fabbrica della diseguaglianza”, creando un’Italia clientelare dove prevale l’appartenenza sul merito.

Si deve a Gennaro Sasso avere tenuta accesa l’attenzione sul pensiero di Giovanni Gentile, mentre negli ultimi anni le considerazioni sul suo pensiero educativo sono state praticamente assenti. Da segnalare, quest’anno, l’attenzione dell’Istituto Treccani e una recete iniziativa della Società Italiana di Pedagogia.

Occorrerebbe, quindi, considerare che la costante facilitazione dei percorsi di studio dopo il Sessantotto ha complessivamente contribuito ad allargare i divari territoriali tra Nord e Sud e tra i figli delle famiglie ricche e i figli delle famiglie povere, accentuando le disuguaglianze e dando vita a una sorta di “facilismo amorale”. [e dei 3,2 milioni di giovani fino a 34 anni che “non studiano né lavorano, nota di Blo]

In definitiva, partire dall’educazione per fare ripartire il Paese potrebbe essere la pista privilegiata, anche se i tempi di impatto delle politiche non sono certamente immediati. Appunto per questo, diventa fondamentale verificare e vigilare sull’efficace utilizzo dei fondi del PNRR, per avviare percorsi davvero innovativi e strutturali sulla povertà educativa e sulle differenze territoriali del nostro Paese, che lasciano già intravedere possibili, speriamo non scontati, esiti futuri.

I dati della debolezza italiana sono noti. Tra gli ultimi si ricordano la fuga dei laureati. Proprio su questo giornale il 20 marzo 2023 si è evidenziato che tra il 2012 e il 2021 l’8% dei laureati italiani ha scelto di lavorare all’estero, una delle percentuali più alte dell’Unione Europea. Inoltre, un recentissimo studio di Talents Venture ha rilevato che addirittura un terzo dei dottorati italiani non rifarebbe esattamente lo steso percorso di ricerca, sintomo di un disallineamento preoccupante tra aspettative e realtà.

Porre, allora, l’educazione al centro del dibattito politico significa riflettere sui temi ineludibili del merito, della responsabilità sociale dell’educazione, dei meccanismi di formazione e selezione dei docenti scolastici e universitari.

In definitiva, parlare oggi della riforma Gentile significa porsi sul serio il problema ineludibile della qualità della democrazia in Italia.

Pertanto, mi permetto di rivolgere un invito al premier Giorgia Meloni e ai ministri Giuseppe Valditara e Anna Maria Bernini a ricordare questo anniversario, ponendo concretamente al centro dell’azione politica le riforme strutturali dell’istruzione scolastica e universitaria.

Infatti, la vera rivoluzione è sempre quella della cultura che è preceduta da quella dell’educazione. Nella consapevolezza, e nella responsabilità, che i risultati non si manifestano subito ma, come le uova del drago, si dischiudono dopo decenni.

Chi è

Mario Caligiuri
Università della Calabria, Sceinze Dell’Educazione, Faculty Member

Mario Caligiuri è professore ordinario di pedagogia della comunicazione all’Università della Calabria. Tra i primi a introdurre lo studio dell’intelligence in Italia a livello accademico, è il Presidente della Società Italiana di Intelligence. Le sue piste di ricerche riguardano la comunicazione pubblica, il lobbismo, la formazione delle élite, l’intelligence e la pedagogia della comunicazione. Ha teorizzato la società della disinformazione, scrivendo i volumi “Introduzione alla società della disinformazione. Per una pedagogia della comunicazione” (2018) e “Come i pesci nell’acqua. Immersi nella disinformazione” (2019). Tra le sue ultime pubblicazioni, “Il facilismo amorale. Le conseguenze educative del Sessantotto” (2018), “Educazione per popoli superflui” (2018), “Aldo Moro e l’educazione civica. L’attualità di un’intuizione” (2019), “Egemonia culturale. Venture e sventure di un’idea da Gramsci a Salvini” (2019), “La rivoluzione dietro l’angolo. Come il disagio sociale digitale minaccia la sicurezza nazionale” (2019). Dirige per la Rubbettino la collana editoriale “Pedagogia anima mundi”.

caligiuri-sole

https://it.wikipedia.org/wiki/Riforma_Gentile

Esempio di ignoranza al potere

Enrico Letta non ha fatto il classico:

Altrimenti “l’orecchio” gli avrebbe detto che c’era una Gens Claudia nobilissima romana, e il futuro imperatore Claudio nacque in Gallia perché suo padre comandava le truppe là. Suo padre era Druso Maggiore.

Oltretutto, dichiarare che Claudio era un “immigrato” rivela una completa soggezione all’ideologia corrente, fonte di totalitarismo.