Lo “idealismo”germanico è soggettivismo

(il secondo articolo sulla mentalità germanica)

Naturalmente ci si ritrarrà  all’idea che Schauble, Weidman, la Merkel, la maggior parte dei tedeschi siano degli allievi  di Immanuel Kant. No, Ortega  illustra che  il magister di Koenigsberg esprime e esplica nel modo più esplicito dell’atteggiamento tedesco verso  la realtà,  il  fatto che “vede  il mondo non direttamente, ma riflesso nel suo  io,  convertito  in  “fatto di coscienza” o idea”. 

Leibniz in fondo esprime la stessa cosa quando concepisce gli Io come “monadi senza finestre”: in  fondo Kant  “lascia una sola monade,  un solo ed unico io”. Ortega cita Friedrick Hebbel che nel suo I Nibelunghi fa dire a Brunilde, arrivata dalla sua terra di eterna notte nella “meridionale” Borgogna: “Non posso abituarmi a  tanta luce/  Mi danneggia, mi sembra  di essere nuda/come se  nessun vestito fosse sufficiente spesso”,  ammissione sintomatica.

L’eccelso  mistico  Meister Eckart affermerà  che la realtà  suprema  – la divina –  si trova  all’interno della  persona. Come dargli torto?

Ortega:

“E  per tutto  il Medio Evo  combattono nei chiostri i teologi del Nord con  quelli del Sud per liberare l’anima da ogni corporeità  e renderla e  ridefinirla intima; Ugo da   San Vittore, Scoto, Ockam  pervennero  all’intimismo; Tommaso d’Aquino, da buon italiano, rinnova l’idea aristotelica dell’anima ‘corporale’”, tanto che concepisce  “l’anima  aristotelica è un’entità semi-corporale, che ha il compito sia di pensare che di far vegetare la carne”.

Per  confronto, noi meridionali equivochiamo facilmente  attribuendo all’ “Io Penso” (Ich Denke) il  senso nostro di anima Attenzione, avverte Ortega: “L’Io  tedesco non è un’anima,  non  è una realtà nel corpo, ma è coscienza di sé”.

E’  una distinzione  che facciamo fatica a  capire, Ortega  aggiunge una nota significativa:

“Uomo eccezionale in ogni senso ed anche strano , Sant’Agostino  è l’unica mente del mondo antico che conosca l’intimità caratteristica dell’esperienza moderna, cioè tedesca”.

I teologhi del Nord nei chiostri si  valevano della  sua autorità”; anche più sintomatico, Lutero fu agostiniano,  come lo è Ratzinger..

Si dovrebbe  dire  la popolarità che, lui  vivo, Kant  godette non solo fra gli intellettuali tedeschi, ma  fra l’opinione pubblica germanica: gli scrivevano  fanciulle e giovinetti chiedendogli consigli intimi, quasi un maestro di vita.  Nonostante la lettura per  niente facile delle sue opere. Aveva evidentemente  colto ed espresso un  lato profondissimo dell’anima collettiva.

Evidentemente,  il  fatto che  Kant (cito Ortega) “con audace radicalismo elimina  dalla metafisica tutti  i problemi della realtà o ontologici” – “il fatto che vede il mondo non direttamente,  ma riflesso nel suo io, convertito in fatto di coscienza”.   “La realtà esterna ,  estranea  all’io, gli suona come un eco equivoca all’interno della cavità  della propria coscienza”.

A questa filosofia, i tedeschi hanno dato il nome di “idealismo”, in opposizione al  (rozzo) “realismo”  degli antichi e dei meridionali come Tomaso d’Aquino.  La convinzione che  gli oggetti (esterni)  hanno realtà solo in quanto sono ideati dal soggetto” tedesco.

Idealismo  è un nome nobile.  Ortega y Gasset lo chiama, più rigorosamente, “soggettivismo”.  Perché è  soggettivismo il  fatto che “ciò che un soggetto trova nel mondo, in modo primario e con maggior evidenza, è se stesso”.

Ciascuno  vede  il pericolo di ”un io solitario che per guadagnare  la compagnia di un mondo e  di altri Io, non trova altri mezzi  che crearli all’interno di sè”: dove sono infatti gli altri popoli europei, nella coscienza “europeista”  tedesca?

Specialmente i meridionali?  Nel regno infra-umano dove si fanno dominare dalla spontaneità  della percezione e  non obbediscono all’Imperativo Categorico..”In etica” Kant “nega l’attributo di bontà ad  ogni  atto spontaneo,  ad ogni sentimento che emerga autoctono  dal fondo personale”.

“Idealismo”  aggiunge lo spagnolo,”è anche ogni morale  in cui si afferma  che valgono più gli “ideali” che la realtà. L’idealismo degli “ideali” è soggettivismo pratico”:  sotto la quale proclamazione del “dover essere”, sospettiamo sempre che  si occulti  un umano, troppo umano, “io voglio”. La “filosofia del vikingo”.

Di più:  il kantismo  “è  l’affermazione di un errore di  fatto”, e  non  lo si vede meglio in quella che fu la più grande pretesa scoperta:  cioè che lo spazio e il  tempo non sono nella realtà esterna, ma è l’io pensante che situa le cose nel tempo e nello spazio, grazie a una interiore capacità, che chiama “appercezione trascendentale”.

Friedrich Gauss

Un  errore di fatto,che  è stato liquidato  prima dal contemporaneo  Friedrich  Gauss: “Kant aveva torto ad affermare che lo  spazio è  solo una forma della nostra intuizione”,  e  in modo più definitivo da Einstein: “Non ho mai potuto comprendere la questione  dell’a priori secondo Kant … le  relazioni di spazio  [fra gli oggetti] sono manifestamente reali, come gli oggetti  medesimi”:  un  atto di realismo, da parte di colui che ha dimostrano non  solo che lo “spazio-tempo” sono un unicum, ma persino che la forza di  gravità   attrae e deforma  lo spazio-tempo.

Il che pone il tema se le certezze kantiane non abbiano addirittura rallentato l’avanzamento scientifico.  Per non parlare della palla al piede che l’idealismo  tedesco ha fatto pesare su due secoli di filosofia – Il  che porrebbe il tema del perché i “maggiori”  filosofi italiani Croce e Gentile, furono “idealisti”  hegeliani, e non avanzarono la minima critica all “errore di fatto”  che Ortega sapeva così bene identificare,  fino al punto che  oggi, nonostante i loro meriti,  sono inutilizzabili nella “cultura”  nazionale.  Ma questo   sarebbe  un altro capitolo  della subalternità italiana  – non vi infliggerò anche quello, dopo questo  secondo  articolo sulla mentalità tedesca. Ossia kantiana.

Einstein contro lo spazio di Kant