L’avventura di un povero cristiano.

di Roberto PECCHIOLI

L’avventura di un povero cristiano fu l’ultima opera letteraria di Ignazio Silone, l’autore di Fontamara. Uscita con grande successo nel fatidico 1968, racconta i convulsi mesi romani e napoletani di Pietro di Morrone, il monaco asceso al papato nel 1294 con il nome di Celestino V dopo lotte intestine di una chiesa corrotta, tornato dopo pochi mesi al suo eremo tra le montagne della Maiella a seguito dell’abdicazione che Dante chiamò “il gran rifiuto”. Silone intese rappresentare nel suo conterraneo abruzzese l’opposizione tra il singolo e la Chiesa, più ancora la divaricazione irriducibile tra l’uomo onesto e il potere.

Avventura quotidiana di poveri cristiani è diventata seguire i percorsi del cattolicesimo in disarmo. Credevamo che nulla potesse più stupirci di quanto esce dalla bocca di esponenti della gerarchia, ma ci sbagliavamo. Nelle ultime settimane hanno suscitato nuovo turbamento e rinnovato sconcerto due episodi significativi. Il primo è la telefonata tra Gianni Vattimo, filosofo marxista, conclamato omosessuale, alfiere del nichilismo postmoderno nell’insidiosa forma del cosiddetto pensiero debole, e l’inquilino di Santa Marta Jorge Mario Bergoglio. Tra i due, il cui approccio è stato forse favorito dalla comune condizione di coscritti della classe 1936, il più concreto è stato il pensatore torinese, il quale, stando alle ricostruzioni, avrebbe proposto al successore di Pietro di mettersi a capo di una sorta di internazionale contro lo strapotere del denaro. Vasto programma, lodevole e largamente condivisibile, ma certamente distante dalla missione religiosa.

L’altro è l’intervista a margine dell’iniziativa pro immigrati antigovernativa promossa da vari esponenti del clero, concessa dal vescovo emerito di Caserta Raffaele Nogaro a Repubblica. Il prelato ha testualmente affermato quanto segue: “moralmente e da uomo di fede sarei pronto a trasformare tutte le chiese in moschee se fosse utile alla causa e se consentisse di salvare la vita di uomini e donne, poveri e infelici, perché Cristo non è venuto sulla terra per costruire chiese ma per aiutare gli uomini indipendentemente dalla razza, dalla religione, dalla nazionalità. E invece ci sono politici che nei loro comizi continuano a predicare le espulsioni e la cosa peggiore è che lo fanno con la corona e il rosario in mano e nominando il nome di Dio invano, un peccato molto grave. “

Il brano è stato letto da un altro bizzarro chierico, Alex Zanotelli, altermondialista di lungo corso dai paramenti arcobaleno, nel corso della manifestazione tenuta nei pressi del Vaticano. Anche le parole dell’ex missionario meritano di essere riportate. “Siamo qui davanti a San Pietro, non tanto per la basilica quanto per la vicinanza a Papa Francesco, che incoraggiamo a dire le parole forti che sta dicendo a favore dei migranti, e siamo qui con questa lampada per Francesco. Se c’era un uomo appassionato per i poveri era lui.” Se ne inferisce che il Francesco papa pro tempore è più importante della basilica, dunque della sede apostolica simbolo di due millenni, mentre il santo di Assisi è solo Francesco, derubricato esclusivamente a paladino dei poveri, dimenticando la sua gigantesca testimonianza di fede che lo portò perfino davanti al sultano d’Egitto per convertirlo.

Le improvvide parole del vescovo emerito di Caserta, aspirante ayatollah della città della reggia, non sono sfuggite alla stampa internazionale. Il titolo del quotidiano spagnolo La Gaceta è un autentico pugno in faccia: un vescovo italiano disposto a trasformare tutte le chiese in moschee. Il rispetto per l’età grave di Nogaro, ottantacinquenne, non toglie nulla alla drammaticità delle sue affermazioni. Costa davvero molto capire i procedimenti mentali di chi fa simili affermazioni in qualità di prelato cattolico. Si tratta dell’evidenza per cui una parte notevole della gerarchia, con il favore della cupola vaticana, è posseduta dallo stesso spirito masochista e suicida che ha invaso l’opinione pubblica politicamente corretta e “benpensante” del continente.

Facciamo una doppia premessa: è ovvio che la Chiesa abbia il dovere di richiamare al rispetto per la dignità di ogni essere umano, respingendo l’odio etnico. Ugualmente, riconosciamo ai cittadini italiani Nogaro, Zanotelli, Ciotti il diritto di manifestare opinioni politiche diverse da quelle di milioni di connazionali, cattolici e non. Essi possono, come cittadini privati, essere indifferenti o addirittura ostili alle radici culturali e nazionali dell’Italia, preferire i nuovi immigrati ai fedeli di sempre. Lo sappiamo, ne prendiamo atto e abbiamo il diritto di considerarli avversari politici. Ciò che lascia esterrefatto l’italiano medio di radici cattoliche – la grande maggioranza della nazione – è il desiderio che manifestano di dissoluzione della fede, uno dei capisaldi dell’identità nazionale italiana e di quella europea, nonché la ragione delle loro scelte di vita.

Dichiarare di essere disposti, come uomini di fede (cristiana, filantropica, o che altro?) a trasformare ogni chiesa in moschea, magari iniziando dalla basilica di San Pietro, che a Zanotelli importa meno di Francesco (quello argentino) corrisponde ad un’implicita ammissione. E’ in corso, ci dicono tra le righe, un’invasione musulmana. Tuttavia, non solo non intendono contrastarla, ma addirittura sono pronti a fare dei campanili altrettanti minareti. Santa Sofia a Costantinopoli, Bisanzio, Istanbul è evidentemente il modello a cui tendono. L’ayatollah friulano di Caserta ci informa altresì che il suo desiderio vale se utile “alla causa.” La sua non è quella del popolo italiano, e va bene, ma ancor meno è quella della religione cui si è consacrato, la fede cattolica, quindi universale, ma anche apostolica, orientata a convertire ogni uomo, e romana, radicata in una città simbolo di una precisa civiltà, oltreché capitale storica di una nazione di cui anche Raffaele Nogaro è cittadino e figlio.

Quanto meno, seguendo il lessico di Carl Schmitt, sappiamo chiaramente chi è amico e chi nemico della nostra Patria. La causa dei preti, da oggi non possiamo ignorarlo, non è diffondere il Verbo e salvare le anime in una prospettiva trascendente, ma è “salvare la vita di poveri e infelici”. Non vi è dubbio che salvare vite è compito di ogni uomo di buona volontà, ma eravamo persuasi che fossero le anime l’obiettivo della Chiesa, tanto più che, secondo Gesù Cristo, non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che uscirà dalla bocca di Dio (Matteo, 4,4). L’ayatollah si è portato avanti e il Vangelo non lo legge più. D’altronde, il suo protagonista, Gesù, fondatore del cristianesimo, della Chiesa, e, implicitamente, di gran parte della civiltà nostra, “non è venuto sulla terra per costruire chiese ma per aiutare gli uomini indipendentemente dalla razza, dalla religione, dalla nazionalità.”

L’avventura del povero cristiano qui si fa Via Crucis, giacché troppo grande è lo smarrimento che ci prende, fino a erodere la fede. L’uomo di Nazareth sarebbe una specie di coadiutore generale, un soccorritore materiale dell’umanità. Nogaro avrà insegnato per decenni ciò che Gesù rivelò con la massima chiarezza, di essere venuto per salvare il mondo nella prospettiva dell’eternità, e il suo regno non è di questo mondo (Giovanni, 18-36). Quanto alla costruzione di chiese, alla quale egli si oppone sdegnato, Gesù, il Salvatore, non l’aiutante, disse a Simone: “tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. (Matteo, 16,18). Il significato è innanzitutto spirituale, ma Pietro non fu incaricato di trasformare la chiesa nascente in qualcos’altro.  Ma nulla pare importare a determinati ministri della Chiesa la sopravvivenza della fede. L’idea che profanare le nostre chiese trasformandole in moschee possa contribuire a salvare vite indica, oltre a un certo disordine mentale, quanto poco interessino gli ultimi arrivati.

Siamo ben oltre la “scelta antropologica”, che intronizzò l’uomo per mettere Dio in subordine, è superato anche il concetto di “cristiano anonimo” di Karl Rahner, secondo cui chiunque si può salvare anche senza la conoscenza di Cristo. La Chiesa sceglie di essere parte del progetto di ingegneria antropologica tendente a un mondo unico globalizzato, la sua causa coincide non con quella dei dannati della terra, ma con gli interessi sporchi di chi dirige le migrazioni allo scopo di distruggere le civiltà più strutturate, disponendo nel contempo di una massa critica di esseri umani da sfruttare sui mercati, quelli legali e quelli più immondi. Inoltre, parte di essa è attraversata da una pulsione autodistruttiva dai mille aspetti, uno dei quali ci sembra prevalente, la mancanza di fede nella missione di salvezza indicata da chi per duemila anni è stato considerato figlio di Dio. Evidentemente, Gesù è per i chierici neomodernisti un potente guaritore, un profeta, un modello di uomo, un rivoluzionario o un agitatore sociale, ma non il Salvatore. Nogaro lo spiega chiaramente: è il grande aiutante, il Soccorritore massimo dell’umanità, disinteressato ai templi, da riconvertire in moschee.

I nuovi predicatori saranno i muezzin, la domenica verrà sostituita dal venerdì, la parola di Dio sarà il Corano. Gesù sarà onorato come profeta insieme con sua madre Maria, sempre meglio che un generico ausiliario dell’umanità. Spaventa, anzi fa orrore, l’allegria con cui corrono verso la dissoluzione, l’ottimismo stolto con cui gettano a mare venti secoli, i principi che Gesù ha predicato e la civiltà che li ha accolti, diffusi, posti a base della propria visione del mondo.

Talvolta proviamo invidia per chi, non credente, indifferente o agnostico, non soffre per quello che vede. Nella città degli uomini, abbiamo il diritto, il dovere di difendere la nostra nazione, i principi ricevuti, l’identità che vogliamo trasmettere ai nostri figli e, vivaddio, anche le chiese dove duemila anni di gente nostra hanno ricevuto i sacramenti e sono stati condotti alla sepoltura nella speranza del Salvatore.

Se molti uomini di Chiesa sono diventati nemici delle nostre ragioni, dei nostri sentimenti, dei nostri principi, tanto peggio per loro. Non li seguiremo; terremo in piedi questa nazione, questo continente, anche contro di loro. In una lirica estrema in lingua friulana, marilenghe, madrelingua di Raffaele Nogaro, perfino un Pier Paolo Pasolini esortò Fedro, il giovane cui si rivolgeva, a tre imperativi: difendi, conserva, prega. Conserveremo le chiese di cui non importa ai ministri di culto. Ne va di noi stessi, non finisce l’avventura dei poveri cristiani.

 ROBERTO PECCHIOLI