L’AMICO E IL NEMICO. FENOMENOLOGIA DEI FALSI ANTAGONISTI.

                                                                   di Roberto PECCHIOLI 

Un quadro antico di mediocre qualità rappresentava un sontuoso pranzo in una corte rinascimentale. Al centro il principe, ai lati nobili, dignitari, ufficiali in alta uniforme, dame alle prese con le innumerevoli portate del banchetto. Agli estremi altri personaggi ammessi al desco, probabilmente i cortigiani, la vil razza dannata di Rigoletto, oltre naturalmente ai domestici di servizio. Nel salone altri personaggi attendevano i resti del pasto, gli avanzi gettati da lorsignori: animali domestici, nani, buffoni di corte, poveracci.

A questo somiglia l’ultima corte dei miracoli del capitale, i cosiddetti antagonisti, impegnati da mesi in una guerra grottesca contro le loro ossessioni, scimmie di Don Chisciotte che lottava contro i mulini a vento scambiandoli per giganti, del tutto privi della tempra morale e della purezza interiore del cavaliere dalla triste figura.  Per un giudizio che non si limiti alla cronaca o alla deprecazione, ci viene in aiuto il pensiero di Carl Schmitt. Il giurista di Plattenberg scoprì e dimostrò nella sua opera capitale Le categorie del politico che ovunque c’è politica lì si incontra l’antitesi amico-nemico e ogni raggruppamento si costituisce sempre a spese di, e contro un’altra porzione di umanità. Il problema, con i nuovi antagonisti genericamente de sinistra, è che non si avvedono di essere diventati gli sgherri del capitalismo mondialista, ovvero di coloro contro cui dovrebbero insorgere.

Marcello Veneziani dà una definizione perfetta del fenomeno: i compagni sono passati disinvoltamente dall’anticapitalismo all’antifascismo nonché dal datato antiberlusconismo ad un fiammeggiante antifascio-leghismo. Aggiunge, rovesciando una frase di Samuel Johnson, che il loro antifascismo è l’ultimo rifugio delle canaglie.  Siamo d’accordo solo in parte: i manifestanti di queste settimane, infatti, anche i più violenti tra loro, sono sinceri e credono agli slogan che urlano in piazza e sulle reti sociali. Sono, tanto peggio per loro, i nani e i buffoni di corte dei padroni del mondo: scattano al fischio convenuto, il paragone è il solito, quello con la saliva del cane di Pavlov. Canaglie, mascalzoni sono i loro mandanti, cortigiani e dignitari del Principe regnante.

Una delle tracce più sicure (follow the money, segui il denaro) è l’ampia disponibilità di sedi, occupate o direttamente fornite dalle amministrazioni locali, poiché non di rado sono oggetto di finanziamenti pubblici diretti, di benefit indiretti e trattamenti di favore negati ad altri soggetti. Raramente pagano le bollette dei servizi di cui usufruiscono, svolgono attività economiche prive di controllo fuori dal circuito fiscale e qualcuno paga generosamente le numerose trasferte diciamo così lavorative per le manifestazioni. Sono gli impiegati di carriera ausiliaria del regime progressista, democratico e liberalcapitalista.

Dal punto di vista dei riferimenti culturali, tramontati i miti del marxismo classico, sono i perfetti rappresentanti della Moltitudine che Toni Negri e Michael Hardt hanno posto come nuovo soggetto politico collettivo al tempo della globalizzazione mondialista da loro definita Impero. Una plebe urlante, sovreccitata, desiderante e disincarnata, intenta al consumo come “diritto”, in attesa di raccogliere senza lottare il potere dalla più volte annunciata crisi finale del capitalismo, smanettando sullo smartphone e dando sfogo alle pulsioni animali (si chiama liberazione) nel più totale deserto morale e civile. Un minestrone indigeribile, l’esaltazione della “pentola che bolle” i cui ingredienti danno origine non a una nuova umanità ma a un informe “mischione” in cui il soggettivismo più estremo si ibrida con la spinta all’identico, alla dissoluzione di ogni legame. L’antropologia negativa ideale per il trionfo finale del mondialismo neocapitalista e la riduzione dell’homo sapiens a plebe consumatrice. Una guerra di classe i cui soldati di ventura sono le prime vittime.

Al conservatore Schmitt dette involontariamente ragione il drammaturgo comunista di moda nella seconda metà del XX secolo, Bertolt Brecht, in una notissima lirica: “Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico. La voce che li comanda è la voce del loro nemico. E chi parla del nemico è lui stesso il nemico. “Chiarissimo, se possedessero gli strumenti culturali per capire, o almeno utilizzassero gli occhi per vedere.

La nuova sinistra esita a usare le parole d’ordine screditate del passato, socialismo e comunismo. In Francia lo hanno compreso ed è forte la reazione intellettuale al sostantivo sinistra, esattamente come al suo contrario, destra.  Hanno ragione Jean Paul Michéa e i suoi amici: comunismo e socialismo furono idee terribilmente serie, categorie politiche fortissime per le quali lottare e morire. Qui la questione è assai diversa: se accettiamo le linee di frattura proposte da Schmitt, ovvero amico e nemico, dobbiamo concludere che gli antagonisti di sinistra, i centri sociali e l’intera galassia dei movimenti affini, poiché hanno scelto come nemico il fascista, razzista, xenofobo, omofobo, transfobo, si sono oggettivamente scelti un amico potentissimo, cioè il capitalismo mondialista. Questo spiega perché non vengano combattuti, al di là delle frasi di circostanza, e, al contrario, siano utilizzati come utili idioti, con l’incarico di mazzieri nell’immediato, ma più sottilmente di custodi di un’ortodossia politica tesa ad escludere ingenti settori di opinione dal dibattito pubblico. Prima intimidire, quindi creare un clima, un “sentiment”, infine escludere, proibire. A vantaggio dei padroni del mondo…

Ovviamente, alle categorie proscritte può essere iscritto d’imperio chiunque dissenta dalla narrazione dominante: i cattolici schierati a favore della morale naturale e per la vita contro le follie gender e omosessualiste, i patrioti che difendono il sentimento nazionale, i favorevoli alla sovranità monetaria ed economica, gli euroscettici, coloro che non apprezzano la società multiculturale, chi sente come eccessiva o invasiva la presenza di stranieri ,  i sostenitori di un’economia non sottomessa al mercato, i difensori delle tradizioni popolari, persino i superstiti comunisti duri e puri. L’elenco è potenzialmente infinito. I finti antagonisti ricomprendono tutti nella categoria del Male assoluto, ovvero il fascismo (il grottesco Ur-fascismo teorizzato da Umberto Eco o la “personalità autoritaria” del francofortese Adorno). Più prudenti, i riflessivi, responsabili e moderati di tutte le tendenze bollano come nemico il vago populismo, una categoria opaca, imprecisa, antistorica, un significante multifunzionale, omnibus, la discarica ideale in cui rinchiudere, da padroni delle parole, ogni dissidente della vulgata gradita al potere.

La nostra posizione, sul crinale amico/nemico è netta: il nemico principale è oggi il capitalismo e la società di mercato sul piano economico, il liber(al)ismo sul piano politico, l’individualismo sul piano filosofico, la borghesia sul piano sociale e gli Stati Uniti sul piano geopolitico.  La definizione non è nostra, ma di Alain De Benoist, il più noto tra gli esponenti della cosiddetta Nuova Destra.

Trasferito sul piano degli schieramenti politici, il criterio sopraccitato sembrerebbe confezionato su misura per la sinistra. Non è (più) così, come ha spiegato Veneziani. La lotta anticapitalista, l’avversione per il liberalismo e l’etica strumentale del mercante, il suo individualismo calcolatore ed egoista, il sospetto per il modello sottoculturale americano non abitano più lì. Il costume di scena della sinistra 2.0 è vecchio, liso e demodé, ma ha ancora tanti interessati amatori, l’antifascismo a scoppio ultra ritardato. Ricorda il blocco della città per rimozione controllata di ordigni di guerra inesplosi scoperti per caso dopo tre quarti di secolo. Al pifferaio di Hamelin che conduce alla magra mensa gestita dall’iperpadrone mondialista si sono accodati in tanti, da prezzolati cortigiani i capi, da buffoni di corte gli impiegati d’ordine, da figuranti ignari tutti gli altri.

Le oligarchie hanno compreso la necessità di dividere il fronte avverso, potenzialmente vastissimo, per mantenere il dominio su centinaia di milioni di persone. Niente di meglio che “colonizzare l’immaginario” con le parole d’ordine del passato, attualizzate e rovesciate per essere utilizzate contro il Vero Nemico. Un altro termine tratto dal lessico di Carl Schmitt: il vero nemico del mondialismo liberalcapitalista è chi continua a pronunciare le parole perturbanti, (unheimlich, secondo Freud) quelle che toccano le corde più profonde del cuore e del cervello: Stato, sovranità, popolo.  Parole che stanno oltre le fruste categorie di destra e sinistra e possono diventare idee forza per grandi masse.

Fateci caso: i sedicenti Centri Sociali, carro di Tespi di energumeni dai peli superflui e delicate signore alla Cecilia Strada, accorrono come un sol uomo alla semplice notizia della presenza di Matteo Salvini, di Casapound, delle Sentinelle in Piedi e, da ultimo anche di Giorgia Meloni, ma si disinteressano delle riunioni delle centrali finanziarie, del Fondo Monetario e della Banca Centrale. Tacciono o ignorano del tutto gli incontri di certe logge massoniche riservate, del Club Bilderberg e della Commissione Trilaterale, hanno persino rinunciato a contestare Berlusconi e la sua rifritta rivoluzione liberale. A Davos, dove si incontra il partito della globalizzazione, fa freddo e la Eurotower di Francoforte, tempio della scarsità monetaria manovrata da privati è troppo alta. Gli antagonisti si defilano, mettono le pantofole e si fanno qualche canna in santa pace. In compenso, scattano all’assalto delle riunioni governative (G8, G20 e simili), dove possono prendersela con gli Stati nazionali, esattamente come vogliono i loro mandanti e, per i caporioni, datori di lavoro.

Tutte le loro parole d’ordine, ogni singolo punto di un arsenale culturale di seconda mano proviene da un’unica incubatrice: l’università americana, tempio del progressismo “liberal” con fattura a piè di lista pagata da multinazionali, “pensatoi “privati (i think tank), organizzazioni come la Open Society di Soros, il fidanzatino di Emma Bonino, o la fondazione Rockefeller. Noti amici del popolo, rivoluzionari leninisti. Pensiamo all’intero armamentario del Sessantotto nato a Berkeley, alla generazione hippy e dell’acido ideata dalla CIA, come ammise Timothy Leary, il femminismo radicale, i movimenti di liberazione omosessuale, da cui si è formata l’onda della teoria del gender ( Judit Butler, il folle medico John Money), la dittatura del politicamente corretto che inibisce la corrispondenza tra parola e significato, l’insistenza su un’uguaglianza pedante e ossessiva che si guarda bene dal contestare la disuguaglianza più odiosa, quella basata sul censo. Recente è la follia di cancellare arte e letteratura in base a criteri oltre il ridicolo, come i “bollini” rossi per censurare, da parte di grandi università, persino Shakespeare.

L’intero ciarpame sottoculturale dell’ultimo mezzo secolo, ampi settori della musica e dell’arte, proviene dalle medesime centrali: liberali, liberiste, libertarie, libertine. L’universo antagonista, non per caso, è pervaso da spinte distruttive ed anarcoidi, compatibili, anzi profondamente interne alla logica del capitalismo ultimo, che si libera di ogni infrastruttura e lascia solo la struttura, ovvero se stesso, il potere universale del denaro, tutelato dalla tecnologia e dell’apparato di controllo. La sudditanza culturale è talmente enorme da lasciare attoniti. Il nemico degli antagonisti non è il mondo di Uber o Airbnb, precarizzazione, lavoretti, salari da fame, distruzione di imprese, e neppure quello di Amazon e dell’intera gig economy, schiavitù reale, salario virtuale, diritti sociali emigrati nella Nuvola digitale, il cloud.

La sinistra politica detta impropriamente radicale (si vergognano delle parole comunismo e socialismo) non è che il volto en travesti della globalizzazione. In America, Bernie Sanders si definiva socialista, riunì in una breve stagione gli indignados e Occupy Wall Street, poi finì per appoggiare Hillary Clinton, paladina delle guerre, dell’imperialismo a stelle e strisce, ultrà della globalizzazione. In Germania Verdi e Linke hanno programmi assai simili a quello del partito radicale: diritti civili individuali, immigrazionismo, poca o nessuna attenzione per i diritti sociali. Non troppo diversa è la spagnola Podemos, con la paradossale simpatia per i nazionalismi locali. Solo in Francia il movimento di Mélenchon, la Francia Indomita, mantiene un impianto nazionale e sociale, ma è conseguenza storica della tradizione repubblicana transalpina.

Coloro che sono entrati nel mirino finto antagonista, con il corollario di violenza, odio e baccano, al contrario sono sostenitori di quei principi che un tempo sarebbero stati appannaggio della sinistra: una tassazione equa, lotta alle multinazionali, sovranità economica, monetaria, rispetto delle peculiarità di ogni popolo (qualcuno ricorda le “vie nazionali al socialismo”?), democrazia partecipativa, centralità dello Stato. Il lavoro sporco è ridotto a forza di pronto intervento contro chiunque non sia conforme alla narrazione progressista neo liberale. In altri tempi, li avrebbero definiti deviazionisti o revisionisti.

Noi siamo persuasi che il vero obiettivo di chi muove i fili è fermare una concorrenza: il nemico assoluto fascio-leghista-populista-cattolico- è forse l’ultimo ad agitare i temi che un paio di generazioni fa sarebbero stati classificati di sinistra. Ciascuno aggiunge un di più, l’idea di nazione, di autonomia, di sovranità economico-monetaria, le tradizioni spirituali del popolo, la dignità della funzione pubblica.  Sono queste idee a fare paura a lorsignori, pronti a togliere, o meglio allungare la catena ai loro cani da guardia. Alcuni hanno la giacca e la cravatta e stanno nelle redazioni, nelle accademie, nel mondo della comunicazione. Altri, più ruspanti e scamiciati, stanno nei centri sociali e nei movimenti “alternativi”. Al fischio convenuto, vanno all’attacco, ognuno con i suoi mezzi.

I meno negativi sono quelli che mettono la faccia nelle manifestazioni. Scattano come pugili suonati al suono del gong, confondono il nemico e giocano per la squadra avversaria, ma sono degli ingannati, carne da cannone, usa e getta. Le carogne di cui parla Marcello Veneziani sono altri, i cattivi maestri che pontificano dai loro attici, dalle cattedre ben pagate, dai megafoni mediatici, dagli scranni parlamentari, seguiti dagli impiegati di concetto dell’odio a manovella che, a favore di telecamera, capeggiano le manifestazioni dopo essersi assicurati i finanziamenti pubblici.

Sempre Carl Schmitt, sessant’anni or sono scrisse parole memorabili in un’opera breve quanto densa di contenuti, La Tirannia dei Valori. Riferendosi alla costituzione della Germania sconfitta della seconda guerra mondiale, osservava che in essa veniva posto, ovvero imposto dal vincitore, un ordine ideale di valori, pace, libertà, giustizia, tolleranza, benessere, solidarietà. Ciò determinava l’universalizzazione di un cemento ideologico a sostegno del rapporto di dominazione degli Usa. I valori non sono idee, categorie, principi, ma semplici punti di vista. Il loro è un valore “di posizione”, essi cioè diventano supremi per la posizione occupata nel sistema. Si manifesta così l’aggressività propria di ogni imposizione di valori mentre “la tolleranza e la neutralità illimitata dei punti di vista e di osservazione intercambiabili a piacere si ribaltano subito nel loro contrario, cioè in ostilità.” I valori non sono ma, appunto, vengono fatti valere, e per imporsi devono essere continuamente attualizzati sino alla radicalizzazione del conflitto ideologico, che diventa integralismo della virtù, cinicamente sfruttato dal Vero Nemico.

Infatti, ogni posizione sostenuta dal sistema, mascherata da valore, introiettata attraverso la trappola del politicamente corretto, si trasforma immediatamente in imperativo etico. Conclude Schmitt: “Chi aderisce a valori opposti a quelli ritenuti corretti è considerato nemico e merita di essere annientato. Un individuo, un gruppo, un’etnia, se armati di valori sono potenziali assassini”. In particolare i sicari sciocchi dei padroni del mondo…

 Roberto PECCHIOLI