LA CHIMERA DELLA LIBERTA’

di Roberto PECCHIOLI

La chimera era una creatura mitologica dei popoli antichi. Per Omero “era il mostro di origine divina, leone la testa, il petto capra, e drago la coda; e dalla bocca orrende vampe vomitava di foco. “(Iliade, libro VI, 180-183). La biologia moderna ha aggiornato il profilo: la chimera è un animale con due o più popolazioni differenti di cellule geneticamente distinte originate da diversi zigoti. Sempre di mostri si tratta. In senso figurato, chimera è un’idea senza fondamento, un sogno vano, una strana, utopica fantasticheria. La chimera del presente è, disgraziatamente la libertà. Per il potere è un mostro da uccidere, per la scienza un’opportunità da cogliere per ridisegnare la natura, per noi- gente comune- è un sogno che svanisce insieme con la sua ancella minore, la democrazia.

Libertà di pensare ed esprimersi compressa, libertà di muoversi, padroni di se stessi a partire dal corpo fisico, fortemente limitata. Sarà il virus, ma la ricreazione della libertà è finita. Il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, avrebbe esclamato, davanti a chi affermasse che questo è il migliore e più libero dei mondi, “ma mi faccia il piacere! “. I tempi sono così brutti che possono essere affrontati solo con la leggerezza dei comici, unici fortunati che, ridendo, possono dire la verità. Ogni limite ha una pazienza, direbbe con il suo sorriso sbilenco il principe di Bisanzio, re della risata. Tra uomini e caporali (la massa conformista e servile) forse ripeterebbe: e poi dicono che uno si butta a sinistra!  Bisognerebbe buttarsi a destra, se la destra politica abbandonasse la sua fascinazione per il liberalismo e smettesse di fare il solletico, per calcoli di breve periodo, al peggiore egoismo individualista.

Fatto sta che la libertà è davvero diventata una chimera. Contro i popoli e le persone l’imbuto è impugnato dalla parte più stretta, mentre le oligarchie di potere stringono ogni giorno la presa. Una prova è data dal cosiddetto “grande reset”, termine che non sappiamo o vogliamo tradurre nella lingua di Dante, che significa nuovo inizio, cancellazione per ricominciare su nuove basi. Tutto deciso dall’alto, da un pugno di iperpadroni di cui i governi – autoproclamati democratici – sono il braccio armato. Se la cantano e se la suonano: la loro arroganza arriva al punto di fingere di fare opposizione a se stessi.

Klaus Schwab, fondatore e direttore del Foro Economico Mondiale, ha affermato che il grande reset deve abbandonare il neoliberismo. Facce toste senza confronti, i banditori del Nuovo Ordine Mondiale osano dire senza arrossire di vergogna che “il fondamentalismo del libero mercato ha eroso i diritti dei lavoratori e la sicurezza economica, scatenato un cammino di deregolazione totale e una competizione fiscale rovinosa, ed ha permesso il sorgere di nuovi, massicci monopoli globali “ . Poiché sappiamo a nome di chi parla Schwab, corre un brivido lungo la schiena. Fingono di opporsi a se stessi per imporre un’agenda ancora più distruttiva, in cui, con il pretesto del virus e la virtuosa giustificazione di un’economia ecologica – l’aggettivo chiave è sostenibile – rastrelleranno quel che resta del reddito privato e dell’economia libera, continuando a diffondere finti diritti civili e restringere progressivamente gli spazi delle libertà concrete, politiche, di pensiero, opinione, espressione.

Per chi non ci sta, cartellino rosso e marchio d’infamia: negazionista, diffusore di falsità, complottista, populista, eccetera. L’officina delle parole è sempre aperta e occorre prendere l’abitudine di interpretare al contrario i discorsi del potere, come il gioco infantile in cui si dice sempre il contrario di ciò che si vede e si pensa. Ce lo ha insegnato il bispensiero di Orwell: verità è menzogna.

Sembrano alimentare l’immaginazione cospirativa di noi ribelli. Il Foro Economico Mondiale, (WEF), il “partito di Davos “, parla di un “nuovo inizio”. I protagonisti, le dramatis personae di questo teatro ad uso dei sudditi sono l’Unione Europea, con alla testa la figura ambiguamente angelica di Ursula Von der Leyen , gli Stati Uniti dell’entrante amministrazione Biden (abbiamo di nuovo un amico negli Usa, è l’affermazione di Ursula), la Fondazione di Bill Gates, quelle di altri super ricchi ( dice niente il nome di Soros ? ), John Kerry, ex segretario di Stato americano risorto dalla tomba politica, epitome degli  statunitensi “buoni”, elettori di Biden, più altri gentili signori della cupola finanziaria e di Silicon Valley ( il potere fintech) .

Tutti costoro, con serenità e faccia tosta ci stanno convincendo di essere disposti, per il bene nostro e del mondo intero, a guidarci verso una nuova felicità fatta di progresso. Un passo indietro, sembrano dirci ammiccando, per farne, due o cento in avanti. Ci offrono un grandioso “reinizio”, a patto di cancellare – resettare – tutto. Ringraziamo commossi, pronunciando un no che non servirà a nulla. Loro sono padroni di tutto, specie delle nostre menti manipolate e oggi anche dei nostri corpi per merito del virus –per oro, una benedizione – l’impalpabile esserino uscito, dicono, da un ignaro pipistrello. Da una parte i postmoderni signori feudali, dall’altra i servi della gleba.

Sottomessi a una condizione disperata, perdiamo il senso delle cose e deambuliamo per le strade senza ordine, ognuno per suo conto. Non si può: lo intima la dolce Ursula con gli occhi umidi di pianto solidale. “Con tanta gente che fa tanti sacrifici, è necessario trasmettere una direzione e un sentimento di speranza” Chi lo farà? Sempre lorsignori, La chiave è nelle parole della presidentessa: “stiamo riscoprendo il valore della cooperazione globale “. Sinistra affermazione: nessuna cooperazione internazionale, perché presuppone le nazioni, i governi e naturalmente i popoli.  No, ci impongono, graziosamente, l’imperio delle istituzioni mondialiste libere dal voto e dal consenso popolare. E’ la loro idea di libertà.

Abbiamo bisogno di un nuovo inizio dopo che ci hanno trascinato nella povertà e nel terrore e prosperato sulla nostra confusione. Perciò adesso siamo pronti a tutto, pur di uscire dal labirinto. Gettati in un abisso senza speranza, senza forze dinanzi a un mostro che ci divora con la nostra collaborazione (il “loro” sistema) solo gli oligarchi ci possono trarre dal vicolo cieco.  Come nella fiaba di Pinocchio, sono il gatto e la volpe, “di noi ti puoi fidar “. Secondo la Von der Leyen nelle vesti di linguista “c’ è una vecchia parola sparita da tempo dal dizionario che raffigura esattamente dove ci troviamo. E’ la parola inglese respair, che significa il ritorno alla speranza dopo la disperazione “. Dobbiamo ringraziare: ci vogliono trarre dal pantano in cui ci hanno cacciati. Timeo danaos et dona ferentes, temo i Greci e i loro doni avvelenati. E’ il grande reset, ossia la nuova grande menzogna, e respair ha una certa assonanza.

La cupola ci tiene in pugno e afferma l’urgenza di realizzare i suoi disegni ridipinti a colori arcobaleno: non possiamo aspettare la prossima crisi, poiché – qui il tono di Ursula, valchiria globalista, si fa più minaccioso e pedagogico, con l’indice accusatore – “non è chiaro se abbiamo imparato la lezione “. Ecco la maestrina del governo Conte: la colpa di tutto è la nostra, popolaccio indisciplinato e incredulo delle virtù globaliste. L’urgenza non è la nostra, virus a parte: la fretta è la loro, quella di rendere ancora più ferreo il dominio. Non viviamo “un’opportunità senza precedenti”, come ripetono loro, i nostri nemici. Ci hanno ingannato troppe volte con lo stesso discorso, mille volte hanno azzerato il contatore della storia contro di noi. E’ chiaro che lo scopo di chi esercita il potere è il dominio. Come altrimenti spiegare il capriccio, l’arbitrio malvagio di chi impedisce, nei giorni più significativi dell’anno, la riunione delle famiglie?

Getta uno squarcio di luce una dichiarazione di John Kerry, gerarca di lungo corso: “in questo pazzo mondo, tutto è diventato più veloce, tranne i governi “. Agli ingenui, la dichiarazione può sembrare di buon senso, ma il significato vero è che i governi sbagliano e sono lenti per l’incapacità dei popoli che li hanno eletti di comprendere le grandi sfide del tempo. E’ dunque indispensabile un’azione più decisa, rapida, non impacciata dalle procedure della democrazia e dall’opinione delle masse. Il vero reset è quello delle libertà e dei metodi dell’antiquata democrazia ex liberale. Ci vuole un sistema di governo di illuminati e competenti, attraverso il quale una proposta dell’ONU e delle altre cupole globaliste diventi azione immediata senza le inefficienze, le lentezze e i passaggi della tramontata democrazia rappresentativa.

Che direbbe Totò della sfacciataggine di personaggi che si definiscono ed appartengono a partiti il cui nome è “democratico“? Ogni limite ha una pazienza, celierebbe il grande comico roteando gli occhi, ultima voce seria di un tempo grottesco. O forse su di lui si sarebbe già abbattuta la censura dei Buoni e Giusti. Nel passato, la censura consisteva nella soppressione di tutto o di una parte, oggi la pratica si è modernizzata, è più sottile, meno visibile. Ha acquisito ubiquità spaziale e temporale, poiché si cancellano, sopprimono o distruggono opere di ieri, oltreché di oggi, se non soddisfano i parametri stabiliti. Da chi, chiederà qualche ingenuo? La nuova dogmatica è farina del sacco degli stessi che hanno inventato la correttezza politica, la “tolleranza”, gli alfieri di tutto ciò che è “multi” e “trans”. I soliti, l’oligarchia liberista e libertaria a cui forniscono copertura culturale i corifei del progressismo culturale

Il canale televisivo Netflix detta la linea: eliminò 90 secondi di un seguitissimo programma scientifico in cui veniva spiegato che i cromosomi determinano il sesso di una persona, il che crea qualche grattacapo alla teoria del genere. Nel campo dell’intrattenimento, film tratti da romanzi come Il buio oltre la siepe di Harper Lee e Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain sono state vietate nello Stato americano della Virginia per le proteste di una madre: linguaggio “sessista”. In Svezia, Jan Loof, autore del racconto Mio nonno pirata, fu costretto a riscriverlo, con la promessa di una seconda edizione, in quanto il pirata cattivo non poteva essere musulmano. Non parliamo di edizioni dell’Amleto in cui il principe medievale, per motivi di inclusione – o per disturbi bipolari della personalità-  è interpretato da attori di etnia africana (quanto è difficile non scrivere senza malizia e disprezzo, negri).

Nelle università anglosassoni, avanguardia della postmodernità – dal genio alla follia non c’è che un passo – hanno creato “ spazi sicuri”, ambienti dove ciascuno può esprimersi come veramente è “ senza paura di sentirsi a disagio per questioni di razza ( quindi le razze esistono !), etnia, orientamento sessuale, genere , identità fisica o mentale “ I dizionari più recenti non contengono le parole maternità e paternità, vietati dall’università del New Hampshire (Usa) in quanto “ segnalano il genere” .  Gli esempi riguardano nazioni considerate apici della civiltà democratica.

La chimera della libertà di espressione fugge a grandi passi dall’orgoglioso, civilizzato Occidente – terra del tramonto – e sono fin troppe le prove che pensare a voce alta sui temi polemici, esprimere opinioni controcorrente, ossia libere, è un esercizio acrobatico ad alto rischio. “Non lasciatevi intrappolare dal dogma di vivere secondo il pensiero di altri. Non permettete che il rumore delle opinioni altrui anneghi la vostra voce interiore. E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione.” Così si espresse Steve Jobs, genio dell’informatica e fondatore di Apple nel discorso che tenne nell’Università di Stanford nel 2005, un’era ormai giurassica per le libertà. Conosceva dall’interno Silicon Valley e la sua ideologia. Non sorprende che i colossi fintech selezionino i loro collaboratori con colloqui e questionari in cui pretendono conformità su argomenti come la diversità sessuale, la multiculturalità, il tema razziale. I loro centri studi decidono ciò che è opportuno –obbligatorio – pensare rispetto all’agenda dell’ideologia politicamente corretta.

Il saggista britannico Douglas Murray, ne La pazzia delle folle, rivela che Twitter espelle dalla piattaforma le donne che scrivono “gli uomini non sono come le donne “o domandano qual è la differenza tra un uomo e una donna trans. Il cyberspazio è un territorio niente affatto libero e aperto, come raccontavano all’inizio del Millennio Google e Facebook. Twitter ha cambiato le sue regole inerenti il cosiddetto “incitamento all’odio “: adesso sospende chi chiama una persona che si dichiara transessuale con il suo anteriore nome o genere. Il dogmatismo si è spinto a segnalare con il semaforo rosso il dissenso degli utenti nei confronti delle autorità sul Covid 19 e sulle vaccinazioni. Le nostre (residue) libertà sono vigilate, sorvegliate, profilate. Non bastano i paletti asfissianti della correttezza politica, vogliono che la nostra navigazione sia guidata dai segnali di circolazione imposti da loro. Assomiglia sempre più a un gioco dell’oca in cui si può transitare solo da un luogo sicuro ad uno ancora più “avanzato “, in cui sicurezza significa adesione all’ideologia capovolta dominante, progressista finto libertaria.

Murray mette in guardia dalla formazione di pregiudizi inavvertiti, diffusi per farci diffidare di noi stessi, dei nostri istinti, con la funzione di riprogrammare comportamenti, attitudini, punti di vista, sentimenti, idee, in base alla visione del mondo imposta dal cosiddetto machine learning fairness, l’apprendimento automatico “giusto”. Un filtro non dichiarato, una manipolazione della mente che impedisce di esprimere giudizi, sempre imperfetti se non conformi ai modelli definiti dall’alto. Milioni, miliardi di vite in balia delle “linee guida” della cupola dei padroni universali. Credete ancora nella chimera della libertà di pensiero e di espressione? E’ difficile rintracciare in rete critiche al machine learning, presentato come il miglior sistema “scientifico” per migliorare il comportamento.

Uno dei mezzi più utilizzati dai colossi della rete è la selezione preventiva. Murray ha digitato una ricerca su Google con le parole “arte europea”. Anziché Leonardo, Velàzquez e Picasso, la prima proposta è stata “arte europea dei popoli di colore “. La mega macchina è programmata per imporre una visione metapolitica e metaculturale stabilita dall’ideologia di Silicon Valley. La ricerca “white men”, uomini bianchi, ha avuto come prima immagine il movimento Black Lives Matter (le vite dei neri contano). Se si cerca “black family”, esce una galleria di sorridenti famiglie di colore, ma se la ricerca è “white family” molte immagini sono di famiglie nere o miste. Il gioco in cui ci guida Murray prosegue su Youtube, dove il 70 per cento dei contenuti proposti rispondono ai suggerimenti di stampo progressista forniti agli algoritmi.

I suggerimenti di Youtube sono pensati per farci perdere tempo. Lo afferma Guillaume Chaslot, un ex collaboratore che ha lavorato all’elaborazione degli algoritmi. L’obiettivo è trattenere l’utente dentro i video proposti. Illusione di libertà. Secondo lo studio “Umiliazione in rete”, quando una pagina web è sottoposta a linciaggio digitale, sono frequenti forme di aggressione informatica “coperte”, per favorire i proprietari delle piattaforme in quanto si tratta comunque il traffico e contatti. I motori di ricerca sono programmati per inserisci in parametri determinati a fini di consumo, ma anche di sorveglianza, attraverso la proflilazione psicologica e politica individuale.

Si rafforza la profezia di Aldous Huxley nel Mondo Nuovo. “Leggero, semplice, infantile. Sette ore e mezzo di sforzo minimo, e poi la razione di soma, la droga quotidiana, i giochi, la copulazione senza restrizioni e il sensorama”. Pedagogia della distrazione permanente. Chimera, mostro della libertà.