GOVERNO SOVRANISTA E MAGISTRATURA GLOBALISTA – di Luigi Copertino

Governo sovranista e magistratura globalista

Tutti noi siamo stati educati a pensare che in Italia esistano uno Stato di diritto, una democrazia libera, la libertà politica e che a difesa di tutto ciò è posto un Capo dello Stato.

La realtà dei fatti, non certo da oggi, dimostra che, al di là delle nobili dichiarazioni di principio, la prassi concreta è molto diversa. La lotta politica – a parte il fatto che oggi non si fa strage degli avversari – non è affatto distante dalla durezza, spesso sconfinante nel cinismo, che l’ha sempre caratterizzata.

Né è sufficiente una pur nobile Carta Costituzionale ha garantire sempre e comunque che la lotta politica si svolga secondo regole di civiltà. La nostra Costituzione non fa eccezione. E’ dimostrazione palese di come si possa edulcorare e stravolgere anche la Legge Fondamentale di uno Stato ce l’ha fornisce proprio la deriva alla quale è stata sottoposta la Costituzione italiana del 1946. Una Costituzione originariamente keynesiana, come la nostra, è stata, con la progressiva adesione all’UE, stravolta assoggettandola ad una esegesi tale da farne una testo si tipo ordoliberale, alla tedesca, con l’assenso dei suoi presunti “custodi” e con il plauso dei “resistenti”.

Quanto è accaduto in questi giorni in margine alla vicenda della “Diciotti” e dell’indagine su Matteo Salvini per sequestro di persona ed arresto illegale è una ulteriore riprova dell’inconsistenza del normativismo.

Vogliamo chiarire subito che del sovranismo ci sono alcune cose che non ci piacciono affatto. Ad esempio la flat tax e certe pulsioni tendenti al “neopaganesimo” ossia all’idolatria nazionalista. Cristianamente la Patria è una appartenenza naturale, ed in quanto tale è cosa buona, ma non è al di sopra di Dio che è universale.

Tuttavia se l’alternativa al sovranismo è il globalismo, ossia il Potere Mondiale del Capitale e della Finanza, vera e propria contraffazione anticristica dell’Universalità cristiana, non possiamo che simpatizzare con il sovranismo, almeno fino a quando esso non pretenda di assumere un carattere pseudo-religioso trasformandosi in una deificazione della nazione.

Prendiamo dunque atto che oggi le categorie del Politico sono quelle di globalismo e sovranismo e che il conflitto tra esse determina la scena politica ormai in tutto il mondo. Da questa presa d’atto è necessario, poi, tirare le somme: se si vuol tentare di uscire dalla gabbia che il Capitale Mondiale ha innanzato a prigione dei popoli, bisogna sperare nel sovranismo. Auspicando che esso voglia restare sul piano politico, senza tentare di sconfinare nell’ambito del “religioso” che non gli è proprio perché in tal caso entrerebbe in rotta di collisione con la stessa radice cristiana dell’identità nazionale dei popoli europei.

Veniamo, ordunque, al più recente episodio casalingo della guerra tra globalisti e sovranisti.

Un gruppo di migranti africani alla deriva nel Mediterraneo in zona di competenza maltese. Intercettati dalla Guardia costiera di Malta sono riforniti di viveri e lasciati alla deriva dando loro indicazioni su come farsi intercettare dalla Guardia costiera italiana. La quale puntualmente salva i disperati traendoli a bordo della sua unità “Diciotti”. E’ quanto emerso dalle stesse dichiarazioni dei salvati.

Ancora una volta il nostro Paese rende onore alle sue radici cristiane, implicitamente accusando il cinismo dello Stato un tempo sede di un antico ed eroico Ordine cavalleresco medioevale.

Il caso diventa, come noto, politico dal momento che il governo sovranista italiano blocca lo sbarco di quelli che, fino a prova contraria, sono immigrati irregolari e, quindi, non in diritto di esercitare la piena libertà personale se intesa ad entrare illegalmente in Italia.

La Procura di Agrigento procede contro il ministro dell’Interno Matteo Salvini per sequestro di persona, arresto illecito e abuso d’ufficio. Un’accusa palesemente inconsistente dato che, come dicevamo, nel caso di migranti irregolari non si tratta di uomini nel pieno esercizio delle loro libertà fondamentali. In tal caso, è preminente l’interesse dello Stato a far rispettare le sue leggi sull’immigrazione. Né, per gli stessi motivi, può parlarsi di arresto irregolare o di abuso di ufficio, dato che il testo unico sull’immigrazione non prevede – trattamento umano a parte, che nella fattispecie non è mancato – la liberalizzazione dell’immigrazione clandestina.

Ritenere che trattenere un immigrato clandestino, in attesa di identificazione, su una nave – che è in pratica soltanto una modalità sostitutiva della detenzione in un centro di identificazione – equivalga ad un arresto illegale o che sia atto tale da concretizzare la fattispecie penale del sequestro di persona è un palese monstrum giuridico. Perché, se così non fosse, qualsiasi poliziotto che dovesse precedere all’arresto di un immigrato clandestino sarebbe da processare. Chi si trova in una posizione di clandestinità non è evidentemente titolare di un pieno esercizio dei propri diritti ad iniziare dalla libertà personale e pertanto è soggetto alle restrizioni previste dall’ordinamento per il reato di immigrazione clandestina (salvo il caso di chi chiede asilo per motivi di guerra, persecuzione religiosa o politica).

E’ stato scritto, a proposito della vicenda, che gli ordini non si danno per telefono come ha fatto Salvini. Ma questo non sta scritto da nessuna parte. Gli ordini sono atti amministrativi.  Il “Sandulli”, noto manuale di diritto amministrativo sul quale hanno studiato generazioni di studenti di giurisprudenza, spiega che la forma di un atto amministrativo può essere anche orale, come accade ogni volta che una qualsiasi assemblea delibera, con successiva verbalizzazione. Il ministro è organo monocratico, non assembleare. Vero. Ma ancora il vecchio “Sandulli” tra le possibili forme di un atto amministrativo mette persino i segnali, luminosi o meno. Un cartello stradale è un atto amministrativo, a contenuto positivo o negativo a seconda che autorizzi o vieti un certo comportamento agli automobilisti. Un semaforo rosso è un ordine amministrativo a contenuto negativo ossia un divieto. Il semaforo verde un atto amministrativo a contenuto positivo. Quindi ci può stare anche un ordine dato in forma orale per telefono, magari con riserva di una successiva trascrizione.

La Procura di Agrigento ha preso (o ha voluto temerariamente prendere) una fortissima cantonata, proprio sotto un profilo giuridico, e la cosa sarà archiviata (salvo il prevalere di una volontà politica, senza fondamento giuridico, di arrivare al processo). Che il comportamento della Procura agrigentina è solo formalmente giuridico. Non lo diciamo noi.

«L’indagine contro i vertici del ministero dell’Interno per i fatti della nave Diciotti – scrive su “La Verità” del 28.08.2018 Alessandro Bernasconi, Ordinario di Diritto Processuale Penale presso l’Università di Brescia – non può essere liquidata come l’ennesimo episodio del conflitto tra magistratura e politica. (…). In questo caso la faccenda è ben diversa e non certo per la tipologia dei reati ipotizzati a carico del ministro Matteo Salvini … (sequestro di persona, abuso d’ufficio e arresto illegale). Sotto la lente del pubblico ministero vi sono – all’apparenza – fatti penalmente rilevanti, ma – nella sostanza – è la linea politica dell’esecutivo gialloblù a essere oggetto di (incauto) accertamento. (…). La sovranità appartiene al popolo, il quale ha eletto un Parlamento che, nella sua maggioranza, ha espresso un governo la cui linea politica si identifica con la tutela dei confini dello Stato e dell’ordine pubblico. In altre parole, l’esecutivo ha deciso, legittimamente, che nella scelta tra i beni da tutelare – ordine pubblico e accoglienza dei migranti – il primo andasse privilegiato rispetto al secondo. (…). E’ ragionevole ritenere che, anche laddove l’accusa in questione pervenga al Senato, l’assemblea affermerà che le scelte politiche dell’esecutivo non sono censurabili penalmente: i migranti sono stati trattenuti a bordo della nave in ragione di un preminente interesse pubblico (la ricerca di nazioni o enti disponibili a ospitarli, sgravando lo Stato dall’incombenza). (…). Il governo (potere esecutivo) effettua scelte politiche e ne risponde al Parlamento (potere legislativo) e così, in via mediata, al popolo. La magistratura (potere giudiziario) è indipendente. La Costituzione sancisce l’obbligo, per il pubblico ministero, di esercitare l’azione penale; nei fatti, però, questo potere (che incide sulla libertà e sulla reputazione dei cittadini) è gestito discrezionalmente: le cronache narrano di procure di primaria importanza che hanno girato la testa dall’altra parte di fronte a notizie di reato riguardanti pubblici amministratori. Il caso Diciotti è un’occasione per riallineare la Costituzione alla realtà delle cose: occorre cioè che l’esercizio discrezionale dell’azione penale venga bilanciato dalla responsabilità di chi ne ha il monopolio (di fronte al Parlamento o di fronte all’elettorato: le democrazie occidentali offrono una pluralità di soluzioni). L’unico modo per riportare nell’alveo del controllo democratico l’azione del pubblico ministero è quello di responsabilizzarlo, politicamente».

Dunque una norma costituzionale astratta prevede l’obbligo dell’esercizio dell’azione penale ad ogni notizia di reato. In realtà, ci dice Bernasconi, tale esercizio è attuato discrezionalmente da chi ne ha il monopolio, ossia i pubblici ministeri. Che così possono anche trasformarsi in “agenti politici” ovvero in oppositori di un governo eventualmente loro non gradito. Chi crede ancora al normativismo kelseniano ed all’oggettività della norma è un pio illuso del liberalismo. Purtroppo, staccato da un Etica superiore (che non è quella umanitaria e filantropica), il diritto si presta volentieri ad un uso politico, come ben insegnava Carl Schmitt. Emblematico è stato il caso di una norma del codice penale tedesco che per più di settant’anni è rimasta formalmente immutata, nella sua espressione letterale, sotto tre regimi, quello guglielmino, quello hitleriano e quello liberal-democratico del dopoguerra, ma interpretata con significati assolutamente opposti tra loro.

Il problema, si badi, non sta tanto nel fatto che il personale di magistratura sia in maggioranza composto da simpatizzanti di sinistra. Non si può impedire ad un magistrato, soprattutto se bravo e competente, di avere le proprie idee. Il problema sta nel paradigma culturale vigente, quello globalista, ossia quello delle élite finanziarie e mediatiche, che è capace anche di influenzare l’esegesi giurisprudenziale. Per questo Salvini è oggi indagato.

Cristo era innocente – l’Innocente per antonomasia – ma è stato egualmente condannato e crocifisso perché reo di aver messo in discussione l’esegesi allora dominante della Rivelazione ed i suoi accusatori non esitarono a piegare la Legge allo scopo. Il processo imbastito di tutta fretta e di notte dal Sinedrio, capeggiato da Anna e Caifa, fu illegittimo secondo quelle che erano le prescrizioni legali dell’ebraismo del tempo, come palesemente false le testimonianze addotte. Ma tutto ciò non valse nulla di fronte alle finalità teologico-politiche che muovevano i sinedriti.

L’UE – alzi la mano chi si aspettava un comportamento diverso – ha dimostrato quanto valgono le sue fondamenta umanitarie, tutte solidarietà e filantropia, e si è rimangiata persino gli accordi di non più di due mesi fa sulla redistribuzione dei migranti. Alla fine ci hanno pensato Santa Romana Chiesa e, per riconoscenza verso il nostro Pase, l’Albania. Ossia due realtà non facenti parte dell’UE.

Dicono che i cattivi sovranisti, amici di Salvini, di Ungheria, Austria e Polonia sono stati i primi a chiudere alla redistribuzione. In realtà le maggiori responsabilità del dramma dell’immigrazione sono della Francia la cui politica neocoloniale sta distruggendo le fragili economie africane nel silenzio vergognoso del mediasystem.

Quanti di voi, ad esempio, sanno che la Francia stampa, con rapporto di cambio alla pari con l’euro, il Franco CFA (Franco della Comunità Francese Africana, già delle Colonie Francesi Africane)? Si tratta di una moneta coloniale con la quale Parigi controlla, per conto delle sue multinazionali, l’economia delle sue ex colonie africane, oggi teoricamente Stati sovrani, costringendone, anche con la corruzione, i governi ad attuare i Piani di Aggiustamento Strutturale imposti dal FMI (tagli alla spesa pubblica, liberalizzazioni favorevoli alle multinazionali, apertura indiscriminata dei mercati locali, etc.). In tal modo mentre la corrotta élite dei quei Paesi Africani fa affari con i neocolonialisti, la popolazione povera è costretta ad emigrare. Non verso Marsiglia ma verso la Sicilia. Alla Francia, del resto, va la responsabilità di aver sollevato, con la sua operazione militare contro Gheddafi nel 2010, il tappo libico.

Ma per la nostra solerte magistratura quel che importa è indagare Salvini, non gli scafisti e gli schiavisti “foraggiati” da Parigi. Questo perché la magistratura italiana soffre del riflesso condizionato dell’internazionalismo di cui vive la sinistra. Quella sinistra, un tempo dei lavoratori e del ceto medio, che, pur di farsi accreditare nei salotti globalisti che contano, si è posta a palese servizio del Grande Capitale Transnazionale. Contro i lavoratori. I quali infatti, in tutt’Europa, hanno compreso che la globalizzazione è un affare soltanto per il Capitale ed hanno abbandonato la sinistra globalista per i movimenti sovranisti.

Le finalità politiche dell’operazione giudiziaria contro Salvini sono messe in evidenza proprio dal formale e pedissequo rispetto della procedura. I magistrati agrigentini ben sapevano che l’ordine di non far sbarcare i migranti della Diciotti era partito dal ministro dell’Interno ma hanno seguito l’iter interrogando, come persone informate dei fatti, alcuni funzionari del Ministero competente. Hanno detto che ciò era necessario per risalire all’ultimo grado della catena di comando. Nel frattempo l’“ultimo grado”, ossia lo stesso Salvini, si sbracciava inutilmente, sui social e sui media, invitando i magistrati ad interrogare direttamente lui ed auto-accusandosi di aver emanato l’ordine di trattenere i migranti irregolari sulla nave.

Quel che Salvini, in questa vicenda, sembra aver ingenuamente ignorato è che ogni potere per imporsi deve rivestirsi di legalità formale, quale essa sia. Così i magistrati dovevano di necessità mettere in scena il rispetto formale della procedura. Tuttavia, nella loro solerzia, hanno dimenticato un “piccolo particolare”. In una catena di comando non è solo il vertice ad essere responsabile degli ordini ma anche gli esecutori, a meno che questi, in caso di ordine palesemente illegittimo, non si oppongano per iscritto all’esecuzione dell’ordine ricevuto. Indagare solo Salvini e non anche i funzionari ministeriali e lo stesso comandante della Diciotti – che tra l’altro, in una intervista a La Verità, ha smontato tutte le illazioni della stampa sulla presunta condizione tragica dei migranti trattenuti a bordo della sua nave – testimonia della natura strumentale dell’azione giudiziaria della procura agrigentina.

Tutto questo ha il sapore della lotta politica e chi pensa il contrario ha messo una spessa fetta di prosciutto davanti ai propri occhi. Oppure milita contro il governo sovranista, magari in attesa che la manina coordinata dei “mercati finanziari”, con un tempestivo attacco speculativo a comando (della Bce), completi l’opera di repressione della volontà popolare, espressasi il 4 marzo, già ampiamente portata avanti dalla stampa prezzolata, dalla sinistra filo-capitale ed, appunto, dal sentimento “resistenziale” di certa magistratura.

Luigi Copertino