BANKITALIA, VISCO E RENZI. LE RAGIONI DI CHI “HA TORTO”

di ROBERTO PECCHIOLI

 

La questione della mozione parlamentare con cui il PD ha chiesto di non rinnovare il mandato del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, in scadenza a fine ottobre, è di quelle che purtroppo non appassionano l’opinione pubblica. La maggioranza pensa che si tratti di un tema ostico e scivoloso, fatto di giochi di potere, questioni oscure, irrilevanti nella vita quotidiana dei comuni cittadini. Come accade spesso l’idea corrente è del tutto sbagliata. Bankitalia conta, eccome, ben più dei governi della Repubblica.

Qualcuno scrisse che in genere non si viene colpiti per i torti, ma per le proprie ragioni. Matteo Renzi, l’ispiratore della mozione – la quale, ripetiamolo, non è una semplice manovra di palazzo, ma qualcosa che tocca qualcosa di molto serio – è politicamente un giocatore di poker, o meglio un arrischiato frequentatore del tavolo della roulette. In difficoltà da oltre un anno, il Buffalmacco fiorentino tenta di riprendersi tutto con mosse azzardate: ogni volta alza la posta, nella speranza di riconquistare le fiches perdute. Nei casinò, tuttavia, il banco vince sempre, al di là di occasionali successi dei giocatori più fortunati.

Non è quindi difficile prevedere che l’esito dello scontro Renzi-PD- Banca d’ Italia sarà la sconfitta dell’uomo di Pontassieve. Questo, tuttavia, non è un bene per l’Italia, i suoi cittadini, i contribuenti ed i risparmiatori. Non vi è dubbio, infatti, che il ruolo fondamentale dell’istituto, che in materia di emissione monetaria e di politica finanziaria è la semplice appendice della Banca Centrale Europea, sia oggi quello di vigilanza e controllo del sistema creditizio nazionale. Il fallimento è colossale: i crac di Cariferrara, Tercas, Carichieti, Banca 121 furono soltanto il primo atto, l’aperitivo indigesto di fatti ancora più drammatici. Carige, Banca Etruria, le banche venete, e sopra tutti, lo scandalo di Monte dei Paschi di Siena, con l’acquisto di Antonveneta a prezzo gonfiato dal gruppo Santander e gli eventi successivi, i crediti facili concessi gli amici degli amici che hanno messo in ginocchio l’intero sistema bancario, ne hanno minato ogni credibilità, rovinato migliaia di persone con fattura finale di almeno 20 miliardi di euro a carico del contribuente chiamato a salvare il salvabile a piè di lista.

Dov’erano il dottor Visco, i suoi strapagati funzionari e consulenti, quali misure hanno preso per difendere, con il sistema finanziario, il risparmio degli italiani e lo stesso bilancio pubblico? In questo senso, ben venga la mozione dei parlamentari democratici. E tuttavia, un invito alla verginità pronunciato da Cicciolina risulta, al minimo, poco credibile. Dove si trovavano, infatti, gli esponenti PD, se non nei consigli di amministrazione e nelle stanze dei bottoni di quelle stesse banche che hanno fatto strame del denaro dei risparmiatori? MPS e Banca Etruria erano forse dirette da personaggi estranei al sistema di potere del partito di Renzi? Forse che nelle casse di risparmio fallite non sedevano esponenti del medesimo giro, e gli avventurieri in grisaglia che hanno affossato le banche venete erano sconosciuti al potere politico?

Il cosiddetto Giglio Magico, il cerchio dei più vicini a Renzi, a partire dalla splendida badante di Paolo Gentiloni, onorevole Maria Elena Boschi, non si è mai occupato né di nomine né di banche, né conosce alcuno degli amministratori di Banca Etruria a cui il liquidatore ha appena richiesto 400 milioni di euro, corrispondenti a circa 800 miliardi del vecchio conio? Boschi senior non è che un omonimo di Maria Elena e la mozione degli onorevoli democratici non ha come prima firmataria Silvia Fregolent, vicinissima alla sottosegretaria alla presidenza del Consiglio.

Questo indigna e turba in questo paese in svendita: anche gli atti condivisibili sono compiuti per i motivi peggiori e dai soggetti meno rispettabili. Renzi deve recuperare un’immagine macchiata e contemporaneamente intende regolare i suoi conti con Visco, che risalgono almeno alla vicenda della Banca del Chianti, una cassaforte del Giglio Magico. Agli italiani ingannati dal sistema di potere nelle sue varie componenti – finanziarie, industriali, politiche- resta un pugno di mosche e la precisa sensazione che non ci sia via d’uscita al regime vigente. In più, si diffonde ed alimenta un’ulteriore confusione, quella che riguarda ruolo, proprietà e funzioni della Banca d’Italia, l’unico vero potere forte – per delega europea – rimasto in sella dopo la decadenza di alcuni gruppi industriali e le innumerevoli cessioni di sovranità che hanno reso la politica un semplice terminale esecutivo di decisioni altrui.

Cerchiamo allora di fare un minimo di chiarezza, quanto meno di dissipare la cortina di silenzi, omertà, deliberate confusioni e vere e proprie falsificazioni che accompagnano vicende, poteri e comportamenti dell’istituto di Via Nazionale. Iniziamo dal quadro normativo e dalla composizione degli azionisti di Bankitalia. Oltre il TUB (Testo Unico Bancario), approvato con decreto legislativo 385/1993, la legge nazionale che regola le nomine ed il ruolo di quello che ormai impropriamente è chiamato istituto di emissione, ovvero la banca che stampa e distribuisce la moneta legale, è la numero 262 del 2005.  In essa si legge, all’art. 9, comma 2 che la banca è un istituto di diritto pubblico.

Per questo le sue funzioni di vigilanza devono essere accompagnate dalla “trasparenza, naturale complemento dell’indipendenza” e comportano il dovere di riferire periodicamente all’autorità politica. Poiché tali adempimenti sono stati formalmente compiuti, il cittadino medio ha il diritto di pensare che Banca d’Italia abbia vigilato assai male, ovvero che non abbia riferito il vero. Del pari, l’italiano della strada potrebbe immaginare che politica e governo non abbiano saputo o voluto ascoltare, capire ed agire di conseguenza. Comunque sia andata, i fatti dimostrano che il sistema bancario è stato terremotato da una serie infinita di comportamenti dalle conseguenze drammatiche per la nazione.

I fatti, altresì, parlano di un colossale conflitto di interessi tra la Banca d’Italia ed il sistema su cui è incaricata di vigilare. Gli azionisti di Via Nazionale (con un espediente semantico chiamati partecipanti) sono infatti gli stessi istituti di credito. Traiamo dal sito ufficiale di Bankitalia alcuni dati: le quote di partecipazione sono 300.000, un terzo delle quali in capo direttamente a Unicredit e Intesa; il parterre du roi è costituito da tutte le altre banche presenti in Italia, oltreché dalle loro fondazioni e persino da alcuni fondi ad esse legati. Solo il 6 per cento è in capo a soggetti pubblici come Inps e Inail. Carige e Monte dei Paschi di Siena partecipano in misura ragguardevole al capitale: i genovesi con oltre 12mila quote, pari al 4 per cento, Rocca Salimbeni con 7.500. Chi controlla chi, dunque? Inoltre, molte banche formalmente italiane, a partire dalle due maggiori, sono in realtà possedute o ampiamente partecipate da soggetti esteri, come dimostrano le deleghe delle assemblee di Bankitalia, talché non soltanto quella di Via Nazionale è una banca privata (sia pure di diritto pubblico), ma non è neppure, nella sostanza, italiana.

Conosciamo tutti la vecchia distinzione italiota tra Costituzione formale (ossia ciò dice la legge) e Costituzione materiale (le norme non scritte che vigono nella realtà). Ebbene, Bankitalia ne è l’esempio più lampante: la legge 262 prevede infatti che la proprietà delle quote di partecipazione sia in mano a soggetti pubblici, come le vecchie BIN – banche di interesse nazionale – del regime giuridico precedente. Nessuno si è mai attivato per applicare la legge, e sì che in parlamento sono depositati da anni specifici progetti al riguardo. Il tabù delle “autorità finanziarie” è altrettanto forte del potere che esercitano.

Anche per questo appare poco credibile l’iniziativa dei democratici, giacché è ben vero che la nomina del governatore deve essere formalizzata con un decreto del presidente della repubblica, su proposta del presidente del Consiglio, come si conviene ad un istituzione di diritto pubblico, ma la deliberazione relativa è di pertinenza del Consiglio Superiore della Banca d’Italia, organo dei partecipanti/azionisti, talché il livello politico svolge funzioni notarili di ratifica. Inoltre, l’indipendenza dell’istituto è sancita dai trattati dell’Unione Europea, in particolare dal Trattato di Maastricht che istituisce il Sistema delle Banche Centrali Europee di cui Bankitalia è parte. Lo Statuto della Banca Centrale Europea addirittura vieta esplicitamente l’intervento delle autorità statali nelle materie demandate alla BCE ed alle banche centrali degli Stati membri.

Ciò include anche la vigilanza sul sistema finanziario e bancario, regolato dalla direttiva UE 2013/36, recepita con il decreto legislativo 572/2015, oltreché dal regolamento UE 575/2013, norma gerarchicamente superiore a quelle del diritto interno. Di che cosa stanno parlando, dunque, i rappresentanti del popolo (bue) appartenenti al partito di governo? Costoro, inoltre, non possono ignorare che leggi internazionali proteggono il sistema delle banche centrali ed i loro dirigenti, assegnando status diplomatico, immunità, tutela assoluta da ispezioni, perquisizioni e molto altro.

Il lato positivo della vicenda è che si sia aperta una finestra di discussione e di chiarificazione. Un organo di stampa non certo sospettabile di populismo, bolscevismo o estremismo di destra, come l’Huffington Post apre il fuoco con un intervento assai interessante, impensabile in altre stagioni politiche. L’autore, Lorenzo Marsili, arriva a richiedere, oltre alla rimozione di Visco, la cui azione di vigilanza è indifendibile, una certa “democratizzazione” della banca centrale limitandone l’indipendenza, e spara la bomba finale ricordando che la proprietà andrebbe ricondotta, secondo logica e legge, in mano pubblica. Ricorda anche che il compito ufficiale della BCE di cui Bankitalia è parte, stabilito esplicitamente dai trattati internazionali, è quello di mantenere la “stabilità” finanziaria, ciò che, tradotto in parole semplici, significa rendere eterno il falso dogma ideologico della scarsità intrinseca della moneta. Ufficialmente, la Federal Reserve americana ha tra i propri obiettivi anche il perseguimento della piena occupazione. Possiamo chiedere, da sudditi europei, almeno l’equiparazione della BCE alla sua sorella maggiore della capitale dell’impero?

Non succederà nulla, ovviamente. Visco resterà al suo posto, il santuario di Via Nazionale resterà inviolato, tutt’al più potremo ringraziare Giulio Tremonti che riuscì a imporre un massimo di due mandati di sei anni ciascuno per i governatori, Renzi e il Partito Democratico fingeranno di aver lavorato per il bene dei cittadini e dei bilanci pubblici dopo essere stati attori protagonisti di un sistema i cui esiti sono sotto gli occhi di tutti. Nel frattempo, gran parte del ceto politico italiano corre in soccorso della Banca d’Italia. Il coro è assordante, capitanato dagli esponenti della sinistra, sempre più proni a volontà ed esigenze dei signori del denaro, da Bersani alla Boldrini, da Giorgio Napolitano a Valter Veltroni. Nel centrodestra, come sempre, fanno i pesci in barile, con l’unica speranza di trarre vantaggio elettorale dal vicolo cieco in cui si è andato a cacciare Matteo Renzi.

Un giornale lancia una provocazione, chiedendo che Bankitalia sia chiusa. Premesso che va semmai restituita, attraverso le leggi vigenti, al controllo pubblico, chiarendo anche la non piccola questione delle ingenti riserve auree italiane (oltre 2.200 tonnellate, il cui proprietario è indubbiamente il popolo italiano e di cui non si sa con certezza l’attuale intera dislocazione), l’idea non è del tutto balzana. Ridotta ad un’appendice della BCE, controllata da banche il cui forziere, in buona parte, è lontano dall’Italia, è scavalcata anche nell’ambito della vigilanza creditizia e finanziaria dal Meccanismo di Vigilanza Unico dell’Unione Europea SSM (Single Supervising Mechanism). Confessa testualmente il sito ufficiale che “le competenze regolamentari [sono] circoscritte entro gli ambiti di discrezionalità molto limitati, previsti dallo stesso Reg. UE 575/2013”.

A che servono, allora, le sfarzose sedi, gli appartamenti prestigiosi riservati ai dirigenti, gli elevati stipendi di funzionari e dipendenti di ogni ordine e grado, ben 6.800 in tutta Italia? Anche nei compiti di supervisione dei mercati, Bankitalia è solo uno degli attori in campo, affiancata da altri organismi nazionali ed europei, della cui funzione peraltro ci permettiamo di dubitare fieramente. Resta l’importante servizio di Tesoreria dello Stato, che potrebbe essere svolto anche da altri soggetti, come Cassa Depositi e Prestiti ovvero da una banca pubblica del tipo di quella immaginata e mai realizzata dallo stesso Tremonti.

Infine, bene ha fatto Renzi a gettare uno sasso nello stagno del potere assoluto della Banca d’Italia, ma è evidente che ha agito unicamente per motivi tattici e di immediato tornaconto politico, oltreché nel tentativo assai goffo di ricrearsi una smarrita verginità politica. Perderà questa battaglia, che probabilmente non gli verrà perdonata da coloro che contano davvero, ma almeno ha posto al centro del dibattito il sistema bancario, la sua gestione, l’onnipotenza della banca centrale e dei suoi referenti internazionali.

Si avvicina la campagna elettorale: qualcuno avrà il coraggio, morale, politico e financo fisico, di dire la verità su ciò che rappresenta Via Nazionale, e porrà nel suo programma l’applicazione della legge dello Stato che ne prevede da dodici anni la proprietà pubblica?

 

ROBERTO PECCHIOLI