Acqua, un diritto universale.

                                                              di Roberto PECCHIOLI

La Commissione Ambiente del parlamento europeo ha respinto la richiesta di riconoscere l’acqua come bene comune e universale nel silenzio dei mezzi di comunicazione. La petizione era stata avanzata dal movimento Right2Water, supportata da ben un milione e seicentomila firme di cittadini europei. In compenso a Strasburgo hanno votato una raccomandazione che impegna a disincentivare l’uso delle bottiglie di plastica come recipiente idrico. Guardano il dito e ignorano la luna, gli inutili deputati tanto vicini agli interessi delle lobby.

Al di là dell’orientamento politico di chi ha lanciato la proposta, va gridato alto e forte che l’acqua è per tutti i viventi un bene comune e universale. Non esitiamo a definirlo un diritto naturale. Il mercato misura di tutte le cose non è d’accordo; la ricerca, captazione, conservazione e distribuzione idrica è un grande affare, specie in epoca di cambi climatici e rischio di desertificazione per tratti di territorio che lambiscono la stessa Unione Europea. Non si faranno sottrarre facilmente lo sfruttamento di una risorsa tanto importante, ma occorre ribadire e dichiarare obiettivo politico che l’acqua va sottratta all’arbitrio del profitto e posta sotto il controllo dell’autorità pubblica, cioè dello Stato.

E’ urgente restituire significato concreto al concetto di beni comuni. Vale la pena riportare la definizione tratta dall’enciclopedia Treccani: l’insieme delle risorse, materiali e immateriali, utilizzate da più individui e che possono essere considerate patrimonio collettivo dell’umanità. Si tratta generalmente di risorse che non presentano restrizioni nell’accesso e sono indispensabili alla sopravvivenza umana e/o oggetto di accrescimento con l’uso. Secondo l’economista Giovanna Ricoveri, “in quanto risorse collettive, tutte le specie esercitano un uguale diritto su di esse e rappresentano uno dei fondamenti del benessere e della ricchezza reale.” I beni comuni, necessari per la vita o preordinati a realizzare interessi di particolare rilevanza per le persone, di cui investono diritti fondamentali, si caratterizzano per l’uso generale, con conseguente non assoggettabilità ad un prezzo quale corrispettivo del loro utilizzo. Ciò li sottrae alle logiche del mercato, soprattutto nelle forme della privatizzazione.

Non sappiamo immaginare un altro bene più universale dell’acqua, elemento senza il quale non vi è vita. Il beniamino della superstizione apocrifa del mercato, Adam Smith, scrisse, a proposito dell’avidità, “tutto per noi e niente per gli altri sembra essere stata la vile massima di tutti i padroni del genere umano”. Chi è proprietario dell’acqua, ne controlla prezzo e distribuzione, si converte in padrone del genere umano, dunque non possiamo permettere che sia una società anonima per azioni, magari una multinazionale che irrompe sul mercato di quei beni che vengono chiamati, nella lingua di legno del mondo economico finanziario, utilities, ciò che occorre alla vita.

Un pensatore che mosse dal marxismo per approdare a un intransigente antitotalitarismo, Karl August Wittfogel dedicò il suo capolavoro, Il dispotismo orientale, a spiegare la sua originale “teoria idraulica”, in base alla quale le grandi civiltà africane ed asiatiche si formarono lungo le vie d’acque (Nilo, Tigri, Eufrate, Indo, Fiume Azzurro), con la necessità di controllare la risorsa fondamentale attraverso una forte centralizzazione del potere. Secondo lo studioso tedesco, ciò spiegherebbe la natura autoritaria delle forme di potere orientali, ereditate dal marxismo novecentesco. Oggi l’erede di quel dispotismo è il liberismo economico che concentra in pochissime mani ricchezza e beni, dichiarando naturale la logica sovrastante, ovvero quella di un mercato rovesciato in monopolio o cartello.

Il potere sottilmente dispotico delle oligarchie economico finanziarie sottrae risorse, cancella la libertà e persino la proprietà. Non vi è poi molto da stupirsi, se rileggiamo un passo della mitizzata dichiarazione giacobina dei diritti dell’uomo e del cittadino, che proclama la proprietà diritto “inviolabile e sacro”. Sorprende tutt’al più l’utilizzo di un termine, sacro, tipico del lessico religioso e spirituale, per definire un elemento tanto materiale.

Immuni da pulsioni collettiviste, siamo convinti che alcuni beni non possano essere definiti che in termini di diritto pubblico. L’acqua è il primo e più importante di tutti, per le ragioni dette, tanto evidenti da non richiedere dimostrazione.  L’accesso all’acqua è un diritto naturale, un bene comune di valore universale. Usi, consuetudini, scelte politiche, valutazioni di opportunità possono certamente affidarne la gestione pratica a soggetti privati, ma sempre nella supremazia del pubblico interesse.

Una volta ancora, l’Europea reale si schiera contro la logica e contro i popoli che ne hanno forgiato la civiltà. Più in profondità, oltre le scelte improvvide di membri di un simil-parlamento prigioniero di gruppi di interesse, si impone una riflessione amara sulla fase discendente della nostra civilizzazione. Ogni gesto, ogni scelta dell’uomo occidentale, ribattezzato dal grande psichiatra Vittorino Andreoli homo stupidus stupidus, si rivela come una lotta contro l’ordine della natura. Si nega il carattere di bene comune dell’acqua, l’elemento senza il quale la vita cessa, negando la sua evidente qualità di diritto universale, ma si definisce diritto ogni capriccio o desiderio.

Un brano del rapper J-Ax diffonde l’idea che avere figli è un diritto da realizzare con qualunque mezzo; Obama considerò “diritto umano fondamentale” le nozze omosessuali; potenti settori del femminismo radicale negano l’evidenza biologica della maternità femminile, attribuendola al potere patriarcale. Avanza da ogni lato, nell’Occidente terminale, una visione anti naturale dell’esistenza umana, dietro la quale c’è la mano, tutt’altro che invisibile, del dominus Denaro. Tutto deve essere oggetto di scambio economico, compravendita, nulla è sottratto alla logica meccanica del profitto che si fa ideologia di dominio, schiavitù, abolendo qualunque limite, a partire dell’oggettività della Natura.

Privato della “coscienza infelice”, l’uomo nuovo si allontana dalla consapevolezza della propria caducità e dal desiderio di immutabile, si sottrae al giudizio morale, si disfa di ogni retaggio etico e si consegna a un destino di bestia intelligente, ma non più ragionevole.  Nulla di tutto questo, ovviamente, ha sfiorato la mente degli europarlamentari sulla questione dell’acqua, ma il dispotismo oligarchico da cui siamo pervasi sottrae quotidianamente spazi di libertà che attribuisce a se stesso, l’Iperpadrone Globale in grado di derubarci dell’acqua, al limite di determinare la vita e la morte chiudendo rubinetti e paratie.

Viene in mente il tema della morte per acqua nella Terra desolata di T.S. Eliot. La figura è quella di Fleba il fenicio, “che un tempo è stato bello e ben fatto”, l’uomo che trascorse la vita intera secondo la logica del “guadagno e della perdita”. Una futile vita cui pose fine l’annegamento durante un viaggio commerciale.

Tale sarà il destino dei padroni dell’acqua; annegheranno in ciò che ci sottraggono, se prenderemo atto che la tirannia progressiva in nome del finto mercato, divinità inesistente, non è inevitabile ma vincente solo in quanto da noi accettata. L’Homo Stupidus Stupidus, sembra posseduto, insieme con una febbrile ebbrezza di libertà, da un oscuro desiderio di schiavitù, la servitù volontaria che ci consegna ai detentori di un composto chimico molecolare vitale, l’unione miracolosa di due atomi di idrogeno legati a uno di ossigeno.

Roberto PECCHIOLI