UNA BOLLA CHE VIENE DA LONTANO (parte prima) – di Luigi Copertino

IL DEFAULT CINESE COME SEGNO DEL FALLIMENTO DELLA GLOBALIZZAZIONE MERCATISTA

Tre date “significanti”

Correndo l’anno 1807, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, nella “Fenomenologia dello spirito”, all’indomani dello sconquasso napoleonico, descrivendo il “sentimento di ignoto” che si era impossessato dei popoli europei, osservava che « … l’intera massa delle rappresentazioni, dei concetti che abbiamo avuto finora, le catene del mondo, si sono dissolte e sprofondano come in un’immagine di sogno». Oggi, dopo la fine del mondo bipolare fuoriuscito dal secondo conflitto mondiale, mentre incede la baumanniana “modernità liquida”, siamo anche noi presi da un sentimento di ignoto e ci sembra che le catene del mondo, del mondo che abbiamo conosciuto, si siano dissolte ed esso sia svanito come un sogno all’alba. E non possiamo neanche ergerci ad uomini in piedi in mezzo alle rovine perché non sono, quelle che ci circondano, le rovine del mondo – platonicamente e cristianamente organizzato secondo la tripartizione Santo/sacro, Politico, Economico – che molti di noi avevano per modello.

Raghuram Rajan è stato uno dei pochi economisti al mondo ad avvertire la comunità internazionale della crisi economica imminente prima che essa si manifestasse (1). Lo ha fatto, anzi, in un momento in cui il paradigma “mercatista” dominante era al suo apogeo. Egli ha mostrato, già in tempi non sospetti, come l’ordine finanziario globale fosse scorretto. Dunque, non un ordine ma un dis-ordine che aveva generato, a causa del venir meno dei controlli sui capitali, un sistema in cui gli incentivi al rischio erano incredibilmente fuori misura rispetto ai pericoli che tale rischio comportava. Uno dei fattori di pericolo, segnalati a suo tempo dall’economista di origini indiane, è l’accesso disuguale sia all’educazione sia alla tutela della salute negli Stati Uniti che, in assenza di un Welfare all’europea, ha creato, mediante il sistema delle “assicurazioni private” e del “credito bancario facile”, il clima favorevole all’espandersi di una finanza incontrollata e quindi alla crisi scoppiata nel 2008.

La storia umana è spesso costellata di date “significanti”, le quali di solito assumono appunto significato soltanto a posteriori, non tanto per un ricostruzione ideologica quanto piuttosto per il pieno, successivo, svelarsi delle virtualità potenzialmente insite negli avvenimenti che i contemporanei, salvo gli spiriti più “profetici”, non sono in grado di percepire con immediatezza.

Nel passaggio dal secondo al terzo millennio, tre sono state le date significanti. La prima, il 9 novembre 1989, corrisponde all’abbattimento del muro di Berlino, troppo frettolosamente salutato da tanti vecchi europeisti cattolici, tradizionali o “terzaforzisti” come un evento di liberazione e di restituzione dell’Europa a sé stessa. La seconda è stata il 15 aprile 1994, data della stipula, a Marrakech, in Marocco, dell’accordo del World Trade Organization (WTO), l’accordo sul libero commercio mondiale che sanciva, per volontà e decisione certo politica ma ispirata ed imposta da circoli transnazionali e club tecno-finanziari, dunque volontaristicamente e decisionisticamente, a dimostrazione che la globalizzazione non è stata un processo naturale o voluto dai popoli, l’inizio della formazione del mercato-mondo transfrontaliero. Un mercato globale pensato soprattutto, pochi all’epoca lo notarono, per il “commercio finanziario” ossia per il libero movimento dei capitali e per il libero scambio dei prodotti finanziari derivati. La terza data è stata l’11 dicembre 2001: quel giorno la Cina divenne membro del WTO a suggello del trionfo del “mercatismo”, la nuova ideologia, post-ideologica, che con Francis Fukujama, già immediatamente dopo il 1989, aveva annunciato l’hegeliana “fine della storia” e prospettato all’umanità secoli di noia ora che il capitalismo aveva trionfato sui suoi nemici, ossia le società “chiuse” tradizionali, i fascismi nazional-sociali ed il comunismo.

«Sono occorsi decenni – ha scritto Giulio Tremonti – per integrare il mercato europeo. Il Trattato di Roma è … datato 1957. Le frontiere interne europee, però, sono definitivamente cadute, e unicamente per le merci, solo all’alba del 1° gennaio 1993. Perché il mondo si trasformasse in un mercato unico ci sono voluti invece cinque anni. In ogni caso, è solo una coincidenza … se l’11 dicembre 2001 viene appena tre mesi dopo l’“11 settembre”? E’ in questo modo che inizia la nuova storia … retta da una nuova ideologia. Dal mercatismo. Il 1989 … segna la crisi sia del comunismo sia del liberalismo. Sostituiti entrambi da un’ideologia nuova: il mercatismo, l’ultima follia ideologica del Novecento … (che è) la loro sintesi. (…). Il mercatismo fa infatti convergere a forza e sulla stessa scala offerta e domanda, produzione e consumo, e per farlo normalizza tutto, standardizza e spazza via tutti i vecchi differenziali. Postula e fabbrica prima un nuovo tipo di pensiero, il “pensiero unico”, e poi un nuovo tipo ideale di uomo-consumatore. E così sintetizza un nuovo tipo di materialismo storico: “mercato unico”, “pensiero unico”, “uomo a taglia unica”» (2).

Nel 1994 tutti magnificavano il WTO perché l’ideologia mercatista, con il suo sotteso millenarismo hegeliano, prometteva la pace e la prosperità globali. Ne “Il Manifesto” Marx ed Engels, a proposito del vecchio capitalismo delle ferriere, ironizzavano sul fatto che « … lo stregone non può più dominare le potenze sotterranee da lui evocate …». Allo stesso modo gli apprendisti stregoni del WTO non immaginavano quali potenze sotterranee stessero evocando e quali terremoti finanziari stessero preparando. Perché il WTO era una cosa sostanzialmente diversa dal vecchio GATT (General Agreement on Tariffs and Trade). Quest’ultimo era un sistema inter-statuale di accordi commerciali che mirava, con prudenza, a far salire lentamente l’acqua in modo che tutte le barche fossero sollevate insieme. Il Gatt corrispondeva alle ragioni prudenziali del vecchio liberalismo classico che se, da un lato, spingeva verso una graduale apertura dei mercati, dall’altro, richiedeva prudenza per non destabilizzare i mercati nazionali interni. La sua base di partenza erano i dazi di ingresso e le quote commerciali, destinate poi, quando le condizioni di tendenziale parificazione dei mercati nazionali si fossero conseguite, ad essere gradualmente eliminate.

Il WTO, invece, è stato pensato come un comitato d’affari delle multinazionali, come la centrale di “modernizzazione” del mondo prodotta dalla sola libertà assoluta del mercato globale. E’ stato, in altri termini, pensato in funzione di quanto interessava al capitale apolide e transnazionale il cui obiettivo era l’emancipazione dal controllo degli Stati e la sua totale autonomia dal Politico inteso come primato del Bene Comune. Benché molti ammonivano che fosse una follia pensare ad una apertura globale dei mercati la quale, sul presupposto del presunto spontaneismo armonizzatore della “mano invisibile”, si realizzasse in modo lineare e senza creare squilibri sociali ed economici sia nei Paesi occidentali che in quelli emergenti, il progetto fu perseguito con insistenza ed a modello del progetto fu indicata proprio l’Europa dell’integrazione dei mercati nel mercato unico europeo, della quale il WTO voleva essere la replica su scala globale.

Le conseguenze di tale follia, soprattutto dopo l’ingresso della Cina e del suo potenziale demografico e di mercato, non tardarono a farsi sentire: esportazione occidentale di ricchezza in cambio di importazione di povertà, concorrenza dei salari occidentali con quelli orientali e quindi abbassamento delle tutele per i lavoratori occidentali senza il corrispondente abbassamento in Occidente del costo della vita, delocalizzazione imprenditoriale per l’attrattiva che sul capitale esercitava il dumping salariale orientale, soprattutto cinese, e quindi perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro in Occidente, crisi dello Stato sociale occidentale, accrescimento delle tendenziali asimmetrie di mercato, squilibri abissali nelle bilance dei pagamenti con estrema polarizzazione tra surplus e deficit finanziari e commerciali, sfruttamento disumano della manodopera nei Paesi emergenti spesso assicurata – a dimostrazione che non esiste alcun nesso tra democrazia e capitalismo e che quest’ultimo si adatta a qualsiasi regime politico che non gli impedisca l’assoluta libertà di movimento – da regimi dittatoriali non escluso quello del Partito Comunista Cinese.

Ma le conseguenze più rilevanti, che solo ora con l’esplosione in questi mesi della bolla cinese, succeduta alla crisi globale ed europea del 2008, stanno producendo i loro dannosi effetti, sono state principalmente due.

La prima è stata il contributo determinante che l’ingresso della Cina nel WTO ha dato al completamento del processo di finanziarizzazione dell’economia già da tempo in atto. La seconda è stata il ri-orientamento delle economie nazionali verso i mercati esteri a tutto discapito di quelli interni, verso una dipendenza assoluta, quanto pericolosa, dalle sole esportazioni, secondo i canoni di un libero-scambismo transnazionale, senza alcun governo politico dell’economia, nell’illusione che la mano invisibile del mercato tutto alla fine aggiusta. La spasmodica ricerca di cambi monetari fissi, di cui prima lo Sme ed ora l’euro sono stati gli esempi più eclatanti, serviva proprio a questo ossia ad orientare le economie verso la dipendenza dall’estero senza alcun contro-bilanciamento in termini di mercato interno, di domanda aggregata interna, e di quel tanto di autocentricità alla quale, senza cadere nell’illusione opposta, quella dell’autarchia assoluta, che è l’errore dialetticamente contrario, nessun popolo può rinunciare. Anche sotto questo secondo profilo la Cina ha giocato un ruolo fondamentale, fino a quando il gioco ha funzionato.

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da www.domus-europa.eu