SUL PAPA E I SUOI CONTESTATORI – di Luigi Copertino

SUL PAPA E I SUOI CONTESTATORI

 

“Tutto il mondo moderno si è diviso in conservatori e progressisti.

 L’attività dei progressisti è quella di continuare a fare errori.

 L’attività dei conservatori è quella di evitare che gli errori siano corretti”

 (G. K. Chesterton)

Il grande scrittore inglese, cattolico intransigente che sapeva tirare di fioretto, non poteva meglio di così descrivere il dramma che affligge oggi non solo la modernità ma la Chiesa, che sembra aver dimenticato pur vivendo nel mondo di non essere del mondo. Difetto di memoria, questo, che ha portato nel suo seno allo scontro tra cattolici progressisti/modernisti e cattolici tradizionalisti/conservatori.

A queste mie considerazioni, intese a mettere in luce nel rispetto della Sua vicarietà la problematicità di certe posizioni dell’attuale Pontefice, vorrei premettere una chiara e lapidaria presa di posizione.

Pare che Papa Francesco sia stato contestato, con un libro, dai cattolici conservatori americani e che lui abbia risposto di sentirsi onorato ad essere oggetto di tali contestazioni, vista la loro provenienza. Tra le accuse rivoltegli dai cattolici americani c’è quella di essere critico contro “gli eccessi del capitalismo”. Di contestazioni come questa, sinceramente, non c’è affatto bisogno anche perché esse dimostrano di quanta ignoranza dottrinale, in ordine alla fede ed al magistero sociale, siano vittime questi cattolici conservatori. Tanto gli americani quanto i loro emuli italiani. Essi da conservatori, i quali presumo amino più la Chiesa preconciliare, dovrebbero aver ben presente la denuncia dell’“imperialismo internazionale del denaro” contenuta nella Quadragesimo Anno (1931) di Pio XI o quella dell’“usura divoratrice” nella Rerum Novarum (1891) di Leone XIII. E, poi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ai quali i contestatori di Papa Francesco si richiamano in continuo, non sono stati anch’essi durissimi contro il capitalismo, e non solo contro i suoi eccessi?

Il fatto è che negli Stati Uniti, negli ultimi quarant’anni, l’ambigua opera di equivoci pensatori come Micheal Novak, George Weigel e Richard Nehauss, la cosiddetta “ss.ma trinità del teo-capitalismo”, ha convertito i cattolici alle “virtù del capitalismo” ed alla religione del “libero mercato”. Perciò ora essi vedono in Papa Francesco – che da parte sua non sembra far molto per fugare tale impressione – un seguace della teologia della liberazione sudamericana. Il clima catto-americano, del resto, ha influenzato anche il cattolicesimo conservatore italiano ormai in perenne equilibrio tra fede e culto del mercato.

Per i tipi delle edizioni Bayard è uscito in Francia il 4 settembre scorso, in imminente traduzione italiana, un documentato libro del giornalista Nicoklas Senèze, «Comment l’Amerique veut changer de pape», nel quale viene ricostruita la strategia neoconservatrice messa in atto dall’asse Trump-Bolton per arrivare alla sostituzione dell’attuale Papa con un altro più prono alla politica americana ed al sovranismo liberista alla Bolsonaro ed alla Bannon. Un sovranismo à teté americain che coniuga identità nazionale e liberismo ma sottacendo che l’individualismo di mercato è, filosoficamente e storicamente, il micidiale solvente dello spirito di comunità necessario all’esistenza spirituale, antropologica e politica delle patrie. Senèze, senza indurre al facile complottismo, sfodera fatti e documenti inoppugnabili. Dal quadro che emerge gran parte della gerarchia catto-conservatrice esce molto male per i suoi inciuci ed intrallazzi, anche affaristici, con i circoli ed i potentati neocons.

Fatta questa necessaria e doverosa premessa – che chiedo ai lettori di tenere sempre presente leggendo il resto dell’articolo – bisogna pur dare atto che per altri versi alcune delle critiche rivolte a Papa Francesco colgono nel segno di una, diciamo così, tendenza alla mondanizzazione ossia alla liquefazione dello specifico cristiano nel vasto mare magnum dell’umanitarismo e, per quanto riguarda la fattispecie ambientale, dell’ecologismo “panteista”. Ora per un cristiano – e questo certo lo ricorda, ne va dato pienamente atto!, anche la da molti deprecata “Laudato sì” – il creato è cosa buona e bella perché Opus Magnum del Creatore, non perché è “Gaia”. Quando san Francesco d’Assisi chiama la terra “madre” egli non usa tale espressione nel senso dualista, per il quale la creazione sarebbe la copula tra un Dio Padre ed una Dea madre ovvero tra il lato maschile e quello femminile del Tutto. San Francesco chiama la terra madre nella convinzione assolutamente biblica – si veda il Genesi – per la quale essa è, in senso metafisico, la “materia primordiale”, appunto “matrice”, soggetta all’opera in-formatrice di Dio. Ma, in quanto materia primordiale, anche la terra è stata creata ex nihilo, per partecipazione ontologica, e non emanata da Dio in un processo di graduale decadenza da una supposta unità nichilista ed indistinta.

Se dunque la “Laudato sì” rimane nel solco della Tradizione, tuttavia in una recente intervista, apparsa sulla stampa, Papa Bergoglio si è messo inopportunamente a rincorrere Greta Thumberg additandola ad esempio per i cristiani. Dal Papa ci si aspetterebbe piuttosto l’insistenza su una ecologia spirituale intesa come lotta al peccato che è, in fondo, quello che porta l’uomo a deturpare il creato. Orbene, sono dichiarazioni ed atteggiamenti – erronei – come questi che fanno toccare con mano la mondanizzazione del Cristianesimo, la liquefazione dello specifico cristiano.

Lo stesso potrebbe dirsi per altri interventi, non ex cathedra, del regnante Pontefice come quelli contro i sovranisti additati quali nuovi nazisti, senza distinguere – ed è questo il messaggio passato e fatto passare dai media –  tra amore di patria, o, detto in termini più attuali, senso di appartenenza identitaria, che se rimane sul piano naturale è del tutto cristiano e conforme alla fede, e le forme del nazionalismo idolatrico e neopagano, come appunto fu il nazismo, queste sì anticristiane.

L’intervista rilasciata da Papa Francesco di ritorno dall’Africa è un discorso lungo e complesso nel quale egli ha puntato il dito, giustamente, contro i cattolici conservatori che, in nome della Tradizione, si prestano a fare la parte degli utili idioti dell’egemonia del capitale multinazionale. Tuttavia Papa Bergoglio non si rende conto che l’egemonia del capitalismo globale si combatte ripristinando le identità comunitarie, anche nazionali, contro il globalismo. Lui continua a paragone il sovranismo al nazismo portando – vogliamo sperare inconsapevolmente – acqua alle tesi neopagane di coloro che confondendo l’universalità dello Spirito, che non annulla ma perfeziona ed armonizza le diversità identitarie, con il globalismo umanitario, negatore delle identità naturali e storiche dei popoli, accusano la Rivelazione ebraico-cristiana, perché universale, di essere il supporto teologico della globalizzazione dei mercati, dell’unificazione tecnologica e finanziaria del mondo.

Il problema sta nel confronto in atto tra il “primomondismo”, ossia l’occidentalismo neocapitalista, ed il “terzomondismo”, passato dal socialismo vecchio stampo ad una visione nativista-ecologista in salsa olistico-panteista. Un Papa dovrebbe respingere entrambe queste posizioni, cristianamente inammissibili ed erronee. Invece, a volte, egli da l’impressione di sbandare un po’ troppo verso il terzomondismo ponendosi come antagonista dialettico dei suoi oppositori occidentalisti.

Ma se i conti non tornano per i catto-conservatori, tutti fede e liberismo, non sembrano tornare neanche per Papa Bergoglio quando invece di fare il Papa sembra ergersi a contestatore della globalizzazione capitalista in nome, però – ed è qui il problema –, della globalizzazione terzomondista e non dello specifico cristiano. Nell’intervista al ritorno dal suo viaggio africano, dopo aver dato dei “nazisti” ai sovranisti, è stato costretto tuttavia ad ammettere che proprio in Africa sussiste un atavico e feroce tribalismo xenofobo, tra gli stessi africani, individuandone la causa nel fatto che quei popoli non sono mai diventati, neanche dopo il processo di decolonizzazione, vere nazioni. Constatazione che, nella stessa intervista e dopo – va ribadito – aver deprecato il sovranismo, lo ha indotto a difendere il concetto di “sovranità nazionale” fino ad affermare che il popolo è comunità che dona gioia nell’appartenenza ad iniziare da quella familiare che lo Stato deve sempre difendere.

Quest’ultimo passaggio sicuramente non sarà dispiaciuto ai suoi critici catto-conservatori. I quali d’altro canto, avvezzi all’immagine falsificata di un Wojtila esclusivamente anticomunista, non avranno gradito la difesa dello stesso Papa Francesco per la quale, sul piano del magistero sociale, egli si limita a ripetere la lezione di Giovanni Paolo II (se però avesse, nell’occasione, ricordato anche i tanti riferimenti al concetto di “nazione”, intesa in modo cristiano, dei quali proprio Papa Wojtila ha riempito le sue encicliche sociali, la sua difesa sarebbe stata ancor più fondata).

Tuttavia il punto che, nelle interviste del Papa, costituisce il tasto dolente è un altro. Ad esempio, in quella di ritorno dall’Africa, alla quale abbiamo fatto riferimento, non una sola volta è citato Nostro Signore Gesù Cristo! Si parla di questioni certo importanti ma secondarie nel senso che pace, giustizia, solidarietà sono cose che restano puri enunciati retorici se non sono il frutto della trasformazione del cuore che solo Cristo opera. Un Papa dovrebbe premettere e ricordare ad ogni occasione al mondo che senza conversione del cuore non ci saranno mai pace, giustizia, solidarietà. Perché queste sono soltanto le conseguenze etiche della purificazione del cuore dal peccato. Un Cristianesimo senza Cristo è solo una parodia, un “nuovo umanesimo” come quello che piace al premier Giuseppe Conte.

Si tratta, in altri termini, di porre al primo posto, sempre e comunque, lo specifico cristiano senza del quale i cristiani diventano anonimi e sostanzialmente inutili come il sale che perde il sapore e che è buono solo per essere gettato via e calpestato.

E’ stato annunciato, per il prossimo 6 ottobre, un sinodo sull’Amazzonia. Sin dai tempi di Isabella di Castiglia, la Corona ispanica e la Chiesa hanno lottato contro gli abusi dei coloni e dei conquistadores. Non importa se l’azione contro i colonizzatori riuscì pienamente efficace o meno. Importa che la Chiesa e la stessa corona cattolica non furono silenti. L’epopea dei Gesuiti nel Guaranì, che la Chiesa minacciata di scisma dalle corti massoniche settecentesche dovette abbandonare per perfino momentaneamente sopprimere l’Ordine di Sant’Ignazio, non sarebbe stata possibile senza il precedente nel XVI secolo dei Re cattolici e senza la “Sublimis Deus” di Papa Paolo III. Ne citiamo un passaggio fondamentale: «…consideriamo tuttavia che gli stessi indios, in quanto uomini veri quali sono, non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma, come ci hanno informato, anelano sommamente la stessa; e, desiderando di rimediare a questi mali con metodi opportuni, facendo ricorso all’autorità apostolica determiniamo e dichiariamo con la presente lettera che detti indios e tutte le genti che in futuro giungeranno alla conoscenza dei cristiani, anche se vivono al di fuori della fede cristiana, possono usare in modo libero e lecito della propria libertà e del dominio delle proprie proprietà; che non devono essere ridotti in servitù e che tutto quello che si è fatto e detto in senso contrario è senza valore».

Come si vede in questa bolla pontificia si difende gli indios dai colonizzatori ma senza nascondere o sminuire lo specifico cristiano. Infatti, in essa, l’umanità degli indiani è commisurata alla loro capacità razionale, comune a tutti gli uomini, di ricevere la fede in Cristo. Nessun indigenismo, dunque, o nativismo neopagano o, diremmo oggi, terzomondista.

Ora, se è vero, almeno da quanto si legge nelle cronache, che i testi preparati per il Sinodo sull’Amazzonia grondano di ambientalismo alla “Gaia” e di nativismo da “buon selvaggio” – che oltretutto è una elaborazione culturale nata nell’odiato Occidente negli alambicchi delle Università “fricchettone” del ‘68 e che con la realtà storica ed antropologica dei nativi americani poco ha a che fare – assisteremo ad un altro passo verso la mondanizzazione della fede che consiste per l’appunto nella riduzione dello specifico cristiano, nel nasconderlo, per un malinteso senso di pace con il mondo, nel rincorrere idee non cristiane con l’illusione che i portatori di quelle idee possano essere recuperati mentre invece si sta perdendo il sano orientamento della fede.

Il problema, appunto, dello specifico cristiano – per il quale san Francesco non è Greta Thumberg – sembra finora troppo sottovalutato dall’attuale Pontificato. Infatti se il Cristianesimo coincidesse con quella sua parodia che è stata rappresentata nel film “Jesus Christ super star” per quale motivo si deve essere cristiani? Meglio, in tale sciagurato caso, l’originale ovvero l’ecopacifismo umanitario. Meglio, in tal caso, Greta Thumberg che un Cristianesimo senza Cristo. Ed è questo, il Cristianesimo senza Cristo, l’Anticristo.

Ma, si badi!, è un Cristianesimo senza Cristo anche il globalismo occidentalista, l’umanitarismo liberista che spesso si trasforma in “cristianismo” aggressivo e rigorista per il quale, ateisticamente ma devotamente, conta soltanto la civiltà “giudeo-cristiana” presunta identità di un’Europa che in realtà, a partire dal XV-XVI secolo, è diventata gradualmente anticristiana nella misura in cui si trasformava in Occidente. Soros, l’espressione finanziaria, umanitaria e cosmopolita dell’Occidente, è favorevole a “Gaia” ed all’unificazione del mondo, ma senza Cristo, ed è fautore della pace come la dà il mondo, senza poi, come già l’umanista ed umanitario Voltaire socio della famigerata Compagnia delle Indie, farsi troppi scrupoli nel fare i suoi affari speculando nelle borse ed usando i migranti per aprire le frontiere ai capitali internazionali. Della sorte di quei poveracci, che finiscono nelle mani della malavita organizzata e delle donne africane che finiscono come manovalanza della prostituzione, nulla gliene importa. Anzi, nella prospettiva del globalismo capitalista, come già rilevava ai suoi tempi Marx a proposito della funziona economica dell’immigrazione, quei poveracci sono utili al Capitale allo scopo di innescare la guerra tra poveri, abbassare i nostri salari ed avere a disposizione un esercito industriale di riserva.

Papa Bergoglio, giustamente, si erge a severo critico dell’individualismo liberista ma, poi, confondendo universalismo e globalismo, finisce, certo senza volerlo e contro le sue più pure intenzione cristiane, per portare acqua al mulino di Soros e di una sinistra cosmopolita che ha abdicato alla difesa del lavoro. Lascia l’amaro in bocca l’atteggiamento di un Papa che invece di indicare nell’idolatria nazionalista il limite cristiano al senso naturale, e benedetto, di appartenenza nazionale ha preferito andare contro di esso in nome di una distorsione esegetica che confonde l’Universalità con il globalismo. Piacerebbe, invece, un Papa Francesco che brandisca il pastorale citando, contro l’egemonia globale del denaro ossia di Mammona, un Pio XI e meglio ancora Nostro Signore. C’è assolutamente bisogno di una critica cristiana al male diffuso nel mondo per opera umana ma non in termini vagamente solidaristici ed umanitari bensì nei termini forti, teologicamente ed anche escatologicamente forti, della fede cristiana con il suo specifico. Il quale non ha bisogno di pescare dal sacco ideologico altrui.

Non si pensi che i problematici temi trattati in questa sede siano cose di competenza dei teologi ed altri prelati perché essi non toccano la vita e la fede dei semplici cristiani, i quali pertanto possono continuare tranquillamente una esistenza fatta di preghiera e frequenza dei sacramenti lasciando ai “competenti” di tracciare le rotte verso le quali la Barca di Pietro dovrà veleggiare in futuro. Intanto, pur nel rispetto dei differenti ruoli e carismi, nella Chiesa nessuno è estraneo alla Sua Vita, sicché i laici, quali “milites Christi in mundo”, se non di più certo quanto il clero sono tenuti ad occuparsi e preoccuparsi di quel che si muove nella Chiesa. In secondo luogo, non credano i laici di essere così intonsi dalla diffusione, spesso per non fedele mano clericale, di errori in ordine alla fede ed ai modi nei quali essa deve essere vissuta.

Faccio un esempio personale. Giorni fa, appena rientrato a casa mio figlio, che sta preparando l’esame di Storia della Chiesa, mi legge un passo del testo sul quale sta studiando. Il passo in questione dice, in sostanza, che il grande merito del Concilio Vaticano II è quello di aver reso i cristiani anonimi, aperti e dialoganti con tutti, abbandonando lo “spirito missionario” troppo spesso presentatosi in passato come “spirito di crociata”. Insomma, stando al testo sul quale studia mio figlio, non c’è più da convertire nessuno e tutti siamo d’accordo su quel che ci unisce – i “valori umani” – mettendo da parte quel che ci divide. Senza però dire chiaramente che “quel che divide”, nel senso di differenziare, il cristiano dal non cristiano altri non è che Gesù Cristo. Orbene, indovinate chi è l’autore del libro di testo di mio figlio? Il gesuita padre Antonio Spadaro, attuale eminenza grigia di Papa Francesco. Il testo in questione porta il titolo di “La Riforma e le Riforme nella Chiesa” e Spadaro lo ha firmato insieme a Carlos Maria Galli.

Ora sappiamo tutti che nella storia “crociata” e “missione” si sono spesso confuse ed accavallate (sappiamo, però, pure che le peggiori guerre sono state fatte in nome dei “valori umani”, tuttavia questo si tende a dimenticarlo) ma nel suo libro Spadaro non invita a distinguere ma dice chiaramente che la missione, in quanto tale, è cosa superata, da bandire dalla Chiesa. Finito di leggere il passo, mio figlio osserva a mo’ di domanda: «scusa ma non accadeva anche in passato che i cristiani incontrassero le altre culture e con esse si confrontassero – i gesuiti in oriente si vestivano persino come cinesi per avvicinare i nativi della Cina – ma sempre con il fine ultimo della missione e della conversione? In questo passaggio del libro invece sembra che ora i cristiani devono rinunciare al mandato missionario esercitato sin dai tempi apostolici». Che potevo rispondergli se non «Hai capito perfettamente la crisi odierna della Chiesa».

Su iniziativa di alcuni circoli cattolici conservatori e tradizionalisti, è stata indetta a Roma, vicino piazza san Pietro, per il 5 ottobre prossimo, in concomitanza con l’apertura del Sinodo sull’Amazzonia, una giornata pubblica di preghiera per la Chiesa. Ottima e benvenuta iniziativa che tuttavia ricade nei limiti e negli errori del conservatorismo e tradizionalismo cattolico degli ultimi anni. Sono stati pubblicati i dieci punti che costituiranno le intenzioni di tale corale e pubblica preghiera. Tutti condivisibili. Tuttavia in ordine al decimo allo scrivente sembra evidente che torna a far capolino, aggiungendo confusione a confusione, lo sbandamento americanista e neoconservatore dal quale, da qualche decennio, il tradizionalismo cattolico è afflitto. In detto punto mentre giustamente si prega per “i cristiani perseguitati nel mondo, che affrontano torture e morte in nome di Cristo” tuttavia, in ossequio all’ideologia huntigtoniana dello “scontro di civiltà” ed all’ignoranza della storia secolare, complessa ed estremamente articolata dei rapporti tra le due fedi, si individua, sostanzialmente, in quella islamica il “nemico metafisico” della Chiesa negando, contro l’evidenza storica, la comune radice abramitica di Cristianesimo ed islamismo. Se non fossero ignoranti della storia dello stesso Cristianesimo, ed in particolare della sua mistica, questi tradizionalisti e conservatori avrebbero formulato così quel punto 10: «Che gli islamici, i quali secondo la visione di Santa Caterina da Siena, entreranno nel Costato trafitto di Cristo in una fila separata ma parallela a quella dei cristiani, si convertano riconoscendo la Divino-Umanità di Nostro Signore Gesù Cristo, implicitamente attestata, a loro insaputa, anche dal Corano». E, se non fossero succubi della neo-teologia modernista, diffusasi insieme alla nuova religione olocaustica ed ormai incapace di distinguere tra vero ebraismo e giudaismo postbiblico, questi tradizionalisti avrebbero poi aggiunto una undicesima intenzione di preghiera così formulata: «Che gli ebrei, secondo la profezia del Vangelo e quella di san Paolo, riconoscano Gesù Cristo Dio-Uomo, si convertano ed approdino finalmente alla Verità già annunciata dal Vecchio Testamento, riscoprendo nella fede cristiana il vero ed autentico ebraismo di Abramo che in Cristo si è universalizzato affinché tutte le genti entrassero, per la Sua Divino-Umanità, nell’Alleanza Primordiale perduta da Adamo e ristabilita dal Sacrificio della Croce di Nostro Signore».

Di una cosa sola, tuttavia, i cristiani devono essere certi e sicuri: prima o poi, come tante volte già accaduto nel corso della storia, anche questa bufera passerà e la Chiesa ritroverà se stessa nell’Amore di Cristo.

Luigi Copertino