Segni dei tempi: la “Festa della donna”

di Enrico Galoppini

Ogni anno si ripete, sempre uguale a se stesso, il rituale dell’8 marzo, “Festa della donna”. Con donne che straparlano di donne, di mondi “al femminile”, dell’“altra metà del cielo” e via recriminando e lamentandosi per quello che non va e che invece dovrebbe essere.

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Piuttosto che perdere tempo con l’autocelebrazione e la sottesa accusa fatta al maschio – “maschilista”, “misogino” e ora anche “femminicida” – di essere la causa prima di tutte le proprie sciagure, credo che le donne, almeno quelle che non ritengono che lo scopo della vita sia fare la manager o “intendersi” di politica (settant’anni fa, il “diritto di voto”, questo feticcio!), potrebbero assai più costruttivamente per se stesse ed i loro uomini (sempre che ne desiderino uno) applicarsi con zelo e dedizione alla pratica di ciò che veniva consigliato loro tra i “doveri delle spose” in una pubblicazione cattolica di qualche tempo fa.

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Avete voglia di storcere il naso e gridare allo scandalo, care “mimose” (e “mimosi”) infatuate delle “conquiste”. Da quest’elenco di doveri si staglia il profilo di una santa, il che è il contrario esatto di quella “donna di mondo” e spigliata “in società” oggi osannata da politica, cultura e pubblicità.

D’altro canto, in questa vita o si anela alla santità o ci si perde nelle illusioni di una “personalità” artefatta ad uso e consumo dei “tempi”, e per questo il matrimonio è da sempre stato indicato come la via maestra, a disposizione di tutti, verso il superamento dei limiti imposti da quel carceriere che non è il marito, bensì l’ego.

Un discorso, questo, che vale anche per gli uomini, beninteso, i quali sarebbero tenuti ad osservare, religiosamente, altri loro specifici doveri nei confronti delle loro mogli per poter cominciare a dire di essere con la coscienza a posto e perciò conseguire quella buona metà di “sottomissione” o “abbandono” (Islâm) che il Profeta stesso vide nella vita coniugale, sconsigliando a tutti il celibato prima che imperversasse la moda dei “single”.

A noi, l’8 marzo, se proprio dobbiamo dedicare un pensiero al “gentil sesso”, piace ricordarlo in questo modo e dedicarlo a quelle donne che anche se non riescono ad osservare integralmente quei “doveri” in cuor loro sentono che, lungi dall’esser “medievali” e “oppressivi”, dovrebbero almeno una volta al giorno, a mo’ di fioretto, entrarvi in sintonia. Se non altro per far felice qualche volta il loro uomo, il quale, anche se non lo ammetterà mai neanche sotto tortura per non apparire “retrogrado”, in fondo è sempre lo stesso e desidera accanto a se una donna premurosa, “di casa” (che non vuol dire coi bigodini e lo straccio in mano), che gli si rivolga “con mansuetudine” (scandalo!) e lo consideri alla stregua di un califfo delle Mille e una notte.

E per chi non la pensa così perché son cose “d’altri tempi” (o di tempi che non si son mai visti), pazienza, tanto è proprio la pazienza che oggi difetta ai moderni, che proprio per questo difetto, e non per questo o quell’altro motivo preso ad alibi, sfasciano i matrimoni e le famiglie portando in questo mondo e nei loro cuori solo rabbia e insoddisfazione, anche quando ritengono di aver esercitato un “diritto”.

I “doveri”, invece, quand’è chiaro Chi e perché li ha stabiliti, una volta meditati, espletati e diventati tutt’uno col nostro modo d’essere, sono l’unica possibilità per realizzare quella libertà che specialmente oggi le donne s’illudono di trovare “fuori di casa” agitandosi e facendosi notare dal primo venuto, ma avendo barattato, per il terrore di fare “da serva” al marito, la possibilità di vivere da regine accanto al loro re.

Il Discrimine, 8 marzo