Sappiamo fare la manutenzione della civiltà?

Non solo Deutsche  Bank  (18 mila licenziati).  “Il 6, 12 e  25 giugno” scrive  la Frankfurter Allgemeine Zeitung , “a causa della domanda eccessiva Il sistema elettrico tedesco è sul punto di collasso. I grandi utilizzatori industriali sono stati  tagliati fuori dalla rete 100 volte per stabilizzare il sistema”.   Il peggio è stato evitato con forniture d’emergenza richieste dai paesi dell’Est.

Si sono manifestati: grave inadeguatezza di capacità, e l’inadeguatezza  delle rete di trasmissione. “Questo paese cerca di continuare a funzionare  con infrastrutture degli anni ’60”  commenta  Carola Westermeir, ricercatrice all’università di Amsterdam: “si vede dovunque: trasporti pubblici, strade, scuole, università, infrastrutture digitali  tremende…tutto lontano dal loro potenziale. E per cosa? Per perseguire  lo  Schwarze Null”.

“Nero Zero”, come abbiamo già spiegato, è la volontà  del governo tedesco di emanare il bilancio pubblico senza nemmeno un euro di “rosso”, ossia senza passivo, Nessun debito, nessun deficit.  Al costo di far deperire le infrastrutture.

“E  questo, nel paese che, oggi,  potrebbe finanziare  la infrastrutture pubbliche prendendo in prestito  a tassi negativi”  (i “mercati” comprano i Bund anche se rendono meno di zero)  aggiunge Daniela Gabor, docente  di macro-finanza  e banche centrali alla Bristol University:  “”E’ l’ideologia che prevale sul buon senso”.

Chiamare ideologia il vizio capitale cui si abbandona l’intera nazione germanica  – l’ Avarizia –  è  forse troppo nobile.  Che questo vizio nazionale sia ormai  delirante, lo dimostra un recente studio tedesco:  la Germania ha un enorme surplus di valuta con le sue esportazioni;  le sue banche e speculatori (tipo Deutsche) l’hanno investito all’estero, e non  in patria;  è il più grande esportatore di capitali al mondo: ebbene, questi colossali investimenti esteri hanno reso costantemente  malissimo  – le banche tedesche  sbagliando regolarmente investimenti  speculativi (ho detto Deutsche?), da 2 a 5 punti percentuali in meno rispetto agli investimenti esteri degli altri, poniamo,  americani. Peggio: gli investimenti in patria hanno reso costantemente  di più di quelli all’estero, di un 3% l’anno.

Alla Germania, gli investimenti all’estero rendono pochissimo.

http://www.macrohistory.net/wp-content/uploads/2019/07/exportweltmeister.pdf

La neo-barbarie

Ma quando un governo altrimenti oculato finisce per danneggiare la sua stesa base industriale “risparmiando” sulle infrastrutture e la loro manutenzione ed ammodernamento, bisogna chiedersi se qui non si manifesti un sintomo fondamentale di neo-barbarie. Lo stesso, paradossalmente, che si manifesta in Italia fra i 5Stelle , l’ideologia della decrescita felice e del riciclo, che favoleggiano di tecnologie future fantastiche che non consumeranno elettricità, di treni a levitazione magnetica che rendono superata la TAV, del NO alle estrazioni di gas perché  dietro l’angolo ci sono le invenzioni per  cui  l’energia  sarà rinnovabile, pulita e profumata..

Questi neobarbari tendono a ritenere che le infrastrutture “vecchie” – strade, ponti, ferrovie, reti elettriche –  non servano più dato che ora avanzano quelle “nuove”, digitali, immateriali pulite, “sostenibili”.

Non sanno, non avendo mai studiato il problema, che la civiltà tecnica avanza per stratificazione  e  complessificazione: che le infrastrutture “antiche” sono un patrimonio necessario, che non smette  di esserlo,  che loro hanno il dovere di mantenere. Evochiamo qui la figura del “barbaro verticale” : i figli nostri che non abbiamo  civilizzato e, cresciuto negli agi di un mondo tecnicamente avanzatissimo e socialmente provvidente, “credono  che  tale mondo dov’è facile vivere  sia la Natura stessa, e non il risultato degli sforzi geniali di generazioni di padri e antenati” che  l’hanno costruita con fatica, sacrificio, pezzo per pezzo.

L’uomo-massa vive nella civiltà come il selvaggio vive nella foresta primigenia, godendone i frutti – artificialissimi –  come fossero manghi e banane pendenti dagli alberi,  e che lui nemmeno deve coltivare,   perché tutto è a sua portata di mano senza sforzo.

Pensate solo questo: chi ha meno di quarant’anni oggi non ha  esperienza di  altra realtà commerciale che i supermercati e shopping center: che facilmente scambia come la sua “foresta  originaria” dove trova tutti gli alimentari che vuole, da ogni parte del mondo, ed inoltre tutte le merci durevoli,  tv, smartphone, vestiario alla moda, tutto attuale, fresco e in immensa, allegra abbondanza.

Facile scambiarlo per  la foresta primigenia. Ma non lo è.

Siccome  il neo-barbaro  non  capisce se non ciò che “prova nella propria carne”, non vede  quel che rende possibile la “foresta originaria” di cui lui si serve come fosse “natura”: le centinaia di superpetroliere petroliere  e  migliaia di navi da carico che gli hanno portano le merci a sotto casa  grazie alle infrastrutture “vecchie”; non vede i dazi abbattuti, le norme internazionali, né  le portaerei USA iperconsumatrici, che come proiezione di potenza impongono l’ordine globale senza confini.  Non vede gli sprechi (inevitabili  e titanici) che questa abbondanza di cibi freschi comporta, uno spreco che avrebbe indignato e spaventato i nostri nonni;  il 20-30 per cento che finisce invenduto e va negli incineritori.  All’atto di mettere nel carrello il merluzzo dell’Alaska o il salmone norvegese, l’hamburger o qualunque altro  surgelato, il neo-barbaro non ha nemmeno la più vaga nozione   della immensa, geniale, ininterrotta  “catena del freddo” che dal peschereccio oceanico attraverso  carri frigoriferi a -30 gradi   su binari o gomma, gli porta il pesce esotico in tavola.

Non pensa, soprattutto, alla  “densità  di energia” che viene impiegata per rendergli questo comodo a disposizione, a  lui e ad  altri miliardi di abitanti del mondo sviluppato. Così, se è un grillino (o un ecologista, un Verde, o la Merkel), pensa che il supermercato , la sua foresta originaria, continuerà a dargli a buon prezzo tutti i suoi frutti, anche se farà chiudere  le centrali atomiche  e a carbone  per sostituirle con le pale eoliche.

Il  progresso della civiltà materiale dell’uomo può essere  descritto attraverso dal flusso  di energia sempre più alta e “densa” che la percorre.

Per “densità” s’intenda  che, per ottenere una stessa quantità di energia, si “brucia” una massa sempre più piccola.

L’uomo della caverne prima della scoperta del fuoco poteva contare sull’energia dei propri muscoli, pari a circa 100 watt (per una dieta di  2000 calorie).  Col fuoco ha raggiunto una “densità” decisiva:  l’uomo ha avuto a disposizione 3 mila watt pro-capite  col fuoco da legna, che è bastato per secoli anche ai Romani:  rendendo possibili la metallurgia. Ovviamente si deve tener conto dell’energia dei buoi e dei cavalli. Nel Medio Evo, il flusso della densità energetica  è stato aumentato dalla forza motrice  mulini ad acqua e a vento, che si sono moltiplicati in Europa.

Ma solo nel ‘700  si situa il grande balzo in avanti: grazie al carbone  fossile (e coke), la densità energetica aumenta (oltre 5 mila watt procapite) e si diffondo i motori a vapore. Le scoperte di Volta e Galvani aumenteranno il flusso di energie che attraversa la civiltà – con motore elettrico solo verso il 1870.  Poi il petrolio,  e  sono diventati a disposizione dell’uomo 10 mila watt, ossia cento volte la potenza dei suoi muscoli.  L’alba dell’era atomica prometteva di far superare i 20 mila watt,  bruciando un quantità di materia fissile misurabile in grammi; ma a questo punto l’Uomo  occidentale  ha detto basta, le scorie nucleari sono pericolose, inquinanti … C’è una parte di vero in questo, ma si può leggere l’evento  come l’incapacità dell’uomo massa – il  neo-barbaro  – di fare  l’ulteriore  balzo scientifico-tecnologico in avanti, la fusione nucleare.

Nell’asse verticale a sinistra, la densità del flusso di energia in milioni di Joule  che ha inondato la civiltà umana.   L’asse orizzontale rappresenta, nella riga superiore,  il tempo  da 0 a 2200  d.C. La riga inferiore  rappresenta la popolazione mondiale,  il cui aumento  (e benesseere crescente)  dipende direttamente dll’intensità di energia resa disponibile dal progresso tecnico-scientifico.  In questo quadro ipotetico si segnala che , una volta che i combustibili fossili di idrocarburi diventeranno  rari, l’umanità dovrà fare il salto verso la fusione nucleare,  altrimenti  la popolazione mondiale si contrarrà a quella dell’età preindustriale nel 1600.  La neo-barbarie ha ritardato questo avanzamento? https://fusion4freedom.com/climate-change-wont-kill-you/

 

Gli italiani hanno detto No al nucleare dopo Chernobyl, e non se ne è più parlato: centinaia di competenze sono state disperse, e anche la possibilità che fra gli ingegneri nucleari nascesse, per la serendipità che  privilegia la sperimentazione,  un Volta o un Ampére capace di far avanzare la tecnologia e  risolverne gli svantaggi. Angela Merkel ha decretato la chiusura delle centrali nucleari, ed ecco che l’industria Germania ha dovuto alimentarsi con la lignite : plastica e concreta immagine di arretramento tecnologico indotto dalla neo-barbarie.

Il neo-barbaro, grillino ma non solo,  vuole le “rinnovabili” e “sostenibili”; ed inutilmente fisici ed ingegneri gli possono ripetere all’infinito che le pale eoliche non forniscono la “densità  energetica” necessaria per far funzionare la civiltà materiale moderna (e portargli il merluzzo d’Alaska al supermercato)  né le alte temperature necessarie alle acciaierie. Facile, chiudiamo l’ILVA, replica il neo-selvaggio.

Le masse “non sono preoccupate se non del loro benessere, e nello stesso tempo, non si sentono solidali  con le cause di questo benessere.  Siccome non “vedono”  nei vantaggi della civiltà una costruzione (artificiale) prodigiosa, frutto  di secolari scoperte  stratificate e strutture  che si possono mantenere solo a costo di grandi sforzi e  previdente sapienza, credono che il loro ruolo si riduca ad esigerli perentoriamente, come fossero diritti nativi”  (Ortega y Gasset, naturalmente).

Il neo-barbaro che non si sente tenuto personalmente a contribuire a mantenere la civiltà,  ricorda i barbari gotici davanti agli acquedotti romani.

Sesto Giulio Frontino (40 d.C -103)  aveva 57 anni quando l’imperatore Nerva lo nominò curator aqueaductis:  lui stesso racconta come ispezionò personalmente le decine di acquedotti romani secolari, il più antico essendo stato costruito da Appio Claudio nel 312 avanti Cristo (l’Aqua Appia, lunga 16  chilometri),  andando con personale alle sue dipendenze a controllare le sorgenti e  da lì tutto il percorso,  ricalcolando le quote e le portate, facendo ripulire le incrostazioni  calcaree dei canali nelle  sommità  degli archi,  reprimendo   con  forza della legge i furti e le derivazioni abusive  lungo il percorso, commesse da privati e dal personale;  riparando le vasche  sotterranee  di decantazione dai fanghi (piscina limaria) e  mantenendo la sorveglianza dei 247 castelli terminali, ossia le strutture a camera da cui si dipartivano le tubature che portavano l’acqua  agli utenti a pressione;  il controllo delle valvole in bronzo  prodotte in serie a cera persa.

L’opera di Frontino

Spesso i 247 castelli terminali erano anche fontane fastose ed abbondanti, di cui la gente romana  poteva attingere l’acqua. Altri  disponevano di  pompe  a  valvole e pistoni per il sollevamento.

Nel primo secolo Agrippa, il braccio destro di Augusto, si assunse in proprio il prezzo del biglietto che i cittadini avrebbero dovuto pagare per i 170 bagni pubblici, e  quindi  l’entrata gratuita alle terme.

Nel quarto secolo, quasi alla fine dell’impero , gli acquedotti – alcuni quasi millenari –    alimentavano a Roma 1352 tra vasche e fontane, undici teme maggiori, 856 bagni pubblici, 15 ninfei, cinque naumachie. Ciascun abitante disponeva di  mille litri al giorno, contro i 459 di oggi.  “Le  tue fontane consumano interi laghi”,  cantò Rutilio Namaziano.

Ma la stessa abbondanza d’acqua raggiungeva in Gallia Lione (Lugdunum) che era servita di quattro acquedotti  di cui i due più lunghi prendevano l’acqua a 75 e 66 chilometri di distanza. Di 32 era quello che portava l’acqua a Naumausius, Nimes, ma  attraverso l’incredibile Pont Du Gard.  Civiltà romana fu l’abitudine al bagno quotidiano e generalizzato, pulizia degli abiti, corpi e case, irrigazione dei giardini e  vigneti.

Opere prodigiose e inventive, sorvegliate, riparate e mantenute costantemente da centinaia di addetti: vilici, castellarii, libratores…

Nel 537 Vitilige re degli Ostrogoti, per vincere Belisario in Roma assediata, fece tagliare gli acquedotti. Roma  come Urbs  morì veramente allora,  riducendosi ad un borgo assediato dalle campagne.  I germani, che pure volevano essere romani e militavano in gran numero nelle legione, non seppero  né curarono di riattare quelle grandi opere. Probabilmente nemmeno sentivano la necessitò di tutta quell’abbondanza d’acqua, di fontane e  di  terme e bagni  artificiali, dato che  sapevano  la vita delle selve teutoniche e dei gelidi fiumi.

I neo-barbari che vivono nel grande shopping center globale credendo sia la foresta primigenia , coi suoi frutti gratuiti che pendono dall’altro,  senza sentirsi obbligato  contribuire alla manutenzione della civiltà – per esempio, se è magistrato italiano, slabbrando il diritto (che è una infrastruttura delle più importanti)  – chissà come reagirà quando, in seguito ad una crisi epocale, ad un rincaro del greggio o alla vaporizzazione della moneta-debito ex nihilo, ai saccheggi delle torme di immigrati non integrati né  integrabili, scoprirà che gli scaffali sono sguarniti  –e correrà all’accaparramento che li svuoterà definitivamente? Si accorgerà che  la sua ideologia progressista e permissiva, i “diritti” che si è limitato ad esigere perentoriamente,  hanno minato le basi stesse della civiltà – quella che consente a  lui, uomo di second’ordine,  inerme, senza coraggio né preparazione alla lotta nella  giungla e nella penuria,  senza protezioni legali né sociali, senza virtù  personali né conoscenze particolari (quest’uomo vive di idola fori) di vivere comodamente e senza soffrire il caldo e il freddo, la fame e la violenza?