Oro in cambio di petrolio iraniano: il misterioso triangolo antiembargo USA-Turchia-Iran

Sputnik News:

Di là dalle migliori intenzioni, le variabili nel mondo fatto dagli uomini sono sempre così tante e impreviste che gli avvenimenti possono, a volte, contraddire gli scenari più precisi elaborati a tavolino.

Perfino gli Stati Uniti, da anni la più grande potenza mondiale, possono essere vittima di queste contraddizioni e l’ex Presidente Trump lo ha dimostrato in più occasioni.

  • Chi l’avrebbe mai detto, ad esempio che lui, dichiarato nemico dell’Iran e fautore delle più estese sanzioni contro quel Paese potesse aiutare gli ayatollah ad evadere quelle stesse sanzioni?
  • E chi avrebbe mai pensato che gli stessi USA che stanno facendo il possibile (e l’impossibile) per impedire la realizzazione del raddoppio del North Stream adducendo la necessità di “punire” la Russia e colpire le sue esortazioni di gas e petrolio abbiano, contemporaneamente, raddoppiato proprio le importazioni di petrolio russo?

Le parole sono qualcosa ma le cifre sono cifre e la Energy Information Administration, ente statale americano, ha ammesso pubblicamente che, nel 2020, le importazioni statunitensi di greggio e di prodotti raffinati russi sono aumentate del 3,5%, raggiungendo i massimi livelli degli ultimi dieci anni.

Se andiamo più in profondità scopriamo che, nello stesso anno in cui attraverso le “sanzioni secondarie” si colpivano le società europee che stavano lavorando alla posa dei tubi per il completamento (mancano pochissimi chilometri) del North Stream 2, gli USA hanno importato dalla Russia più olio combustibile che dall’Arabia Saudita.

Non si tratta di volumi enormi poiché non si arriva nemmeno ai 600.000 barili al giorno ma il totale in un anno fa più di 100 milioni di barili.

La ragione? Semplicemente la diminuzione della produzione americana di petrolio generato dal “metodo scisto”.

Le società americane che sono ricorse ai russi per nutrire le proprie raffinerie sono soprattutto la Exxon e la Valero Energy.

La contraddizione tra le intenzioni e la realtà è ancora maggiore se pensiamo alle sanzioni contro l’Iran.

Il triangolo USA-IRAN-TURCHIA

Qui la storia comincia da lontano e coinvolge non solo l’Iran e gli USA ma anche la Turchia. È il 2017 quando un tribunale di New York mise ufficialmente sotto accusa la banca statale turca Halkbank accusandola di aiutare l’Iran ad evadere le sanzioni per almeno venti miliardi di dollari di valore.

Addirittura con la connivenza dei massimi vertici del governo di Ankara. Appena l’accusa fu formulata, il Presidente Erdogan, temendone le conseguenze politiche ed economiche, chiese personalmente a Trump di arrestare la procedura.

Il motivo era evidente: un verdetto del tribunale che avesse trovato la banca colpevole avrebbe portato al congelamento di tutti i beni della banca stessa raggiungibili dal sistema finanziario americano e avrebbe avuto, vista l’importanza e la dimensione di quell’organo statale turco, importanti conseguenze sull’economia di tutto il Paese.

Trump, probabilmente sottovalutando la questione e nell’intento di fare un favore personale all’uomo Erdogan, che lui ammirava, cercò di intervenire come gli era stato chiesto, senza nemmeno porsi il problema della divisione dei poteri e del fatto che un suo intervento sarebbe apparso incostituzionale.

È difficile affermare se si trattò di una pura coincidenza ma, nel Marzo 2017, il procuratore Preet Bharara che aveva seguito il caso della banca turca fu rimosso dal suo posto.

In verità, la questione era cominciata ancora prima e più esattamente nel 2012 quando un trafficante turco-iraniano, tale Reza Zarrab, fu accusato di favorire l’evasione dalle sanzioni americane accettando di pagare in oro (quindi evadendo il sistema dei pagamenti Swift) l’export di gas e petrolio iraniano.

Già in quel momento fu lanciato un avvertimento alla Halkbank affinché cessasse la propria collaborazione su quelle operazioni e la banca parve obbedire.

Secondo fonti americane, anche Zarrab riuscì a cavarsela, seppur in modo non del tutto legale, e il caso sembrò chiuso nel 2014. Dopo pochi mesi, tuttavia, secondo lo stesso Zarrab fu Erdogan a istruire la banca affinché riprendesse le operazioni come nel passato. Nel Marzo 2016 il faccendiere turco-iraniano fu arrestato a Miami e il governo di Ankara intervenne chiedendo all’allora presidente americano Obama di rilasciarlo e non continuare nell’indagine.

Obama rifiutò affermando di non poterlo fare causa proprio la divisione dei poteri che esiste in una democrazia.

Nel febbraio 2017 l’avvocato Rudy Giuliani, che aveva nel frattempo assunto la difesa di Zarrab, si incontrò con Erdogan per discutere la faccenda.

Tuttavia, nel marzo successivo un alto funzionario della banca turca fu arrestato negli USA con l’accusa di evasione delle sanzioni anti-iraniane (fu poi condannato a tre anni nel 2018 e, rientrato in Turchia fu premiato con un alto incarico presso la Borsa turca) e il Presidente turco ne parlò all’allora Segretario di Stato Rex Tillerson.

Lo stesso Tillerson ha dichiarato in seguito di aver respinto la richiesta di intervenire sulla cosa e di aver fatto lo stesso con il Presidente Trump che gli aveva formulato la medesima domanda.

A Foreign Policy il Tillerson ha dichiarato di non essere “realmente sicuro che Trump avesse capito l’importanza del caso Halkbank” e di aver cercato di spiegarlo al presidente senza successo. Trump e Giuliani si indirizzarono quindi all’allora Attorney General Jeff Sessions che pure rifiutò.

Durante il G20 di Buenos Aires il 1° dicembre 2018, Trump ed Erdogan discussero ancora del caso che stava continuando nei tribunali americani. Secondo l’ex collaboratore del Tycoon John Bolton, Trump avrebbe assicurato il turco che “si sarebbe occupato della cosa”.

Erdogan consegnò anche un memo scritto dagli avvocati difensori King & Spalding, documento che avrebbe dimostrato “l’innocenza” della banca.

Sempre secondo Bolton, Trump scorse le pagine molto velocemente e poi disse di essere convinto dell’estraneità della Halkbank:

“Io posso dirvi che Trump non lesse le pagine. Letteralmente si limitò a sfogliarle…… io non ho bisogno di leggere quelle pagine, disse, mi basta la sua parola, e lui mi sembra molto persuasivo”.

Il ruolo di Erdogan

Nell’Aprile 2019 Trump assicurò Erdogan di aver coinvolto nella questione il segretario di stato Steven Mnuchin e, assieme a quest’ultimo, incontrò il genero di Erdogan Berat Albayrak, allora Ministro del Tesoro.

Il fatto era che, dai dati raccolti dal tribunale fino ad allora, proprio lo stesso Albayrak sembrasse coinvolto nell’operazione di evasione delle sanzioni a favore dell’Iran.

Mnuchin ebbe altri sei incontri con alti funzionari turchi tra il 2017 e il 2019 ma, poiché il procedimento continuava, nel 2020 Trump ordinò una nuova sostituzione del Procuratore incaricato dell’inchiesta.

Sembrerebbe assurdo che proprio colui che aveva fatto di tutto per mettere in ginocchio l’economia iraniana, perfino inventarsi le sanzioni secondarie a carico degli alleati, abbia cercato di fermare un processo contro chi violava quelle disposizioni ma i dati e le testimonianze lo confermano.

Secondo l’atto di accusa redatto dall’attuale procuratore degli Stati Uniti Geoffrey Berman, funzionari governativi di alto rango, in Iran e Turchia, avrebbero partecipato a questo schema fraudolento, ricevendo anche tangenti del valore di decine di milioni di dollari per proteggere le persone coinvolte e aiutare a tenere nascosto il sistema agli osservatori statunitensi.

Lo scorso 1° marzo, comunque, a New York il processo è cominciato e si attende la possibile sentenza per maggio. Da voci uscite dal tribunale sembra che uno dei testimoni più importanti sia il faccendiere Zarrab e che lui abbia più volte menzionato il nome di Erdogan come persona perfettamente al corrente di quanto si stesse facendo.

Il ruolo di Erdogan

Nell’Aprile 2019 Trump assicurò Erdogan di aver coinvolto nella questione il segretario di stato Steven Mnuchin e, assieme a quest’ultimo, incontrò il genero di Erdogan Berat Albayrak, allora Ministro del Tesoro.

Il fatto era che, dai dati raccolti dal tribunale fino ad allora, proprio lo stesso Albayrak sembrasse coinvolto nell’operazione di evasione delle sanzioni a favore dell’Iran.

Mnuchin ebbe altri sei incontri con alti funzionari turchi tra il 2017 e il 2019 ma, poiché il procedimento continuava, nel 2020 Trump ordinò una nuova sostituzione del Procuratore incaricato dell’inchiesta.

Sembrerebbe assurdo che proprio colui che aveva fatto di tutto per mettere in ginocchio l’economia iraniana, perfino inventarsi le sanzioni secondarie a carico degli alleati, abbia cercato di fermare un processo contro chi violava quelle disposizioni ma i dati e le testimonianze lo confermano.

Secondo l’atto di accusa redatto dall’attuale procuratore degli Stati Uniti Geoffrey Berman, funzionari governativi di alto rango, in Iran e Turchia, avrebbero partecipato a questo schema fraudolento, ricevendo anche tangenti del valore di decine di milioni di dollari per proteggere le persone coinvolte e aiutare a tenere nascosto il sistema agli osservatori statunitensi.

Lo scorso 1° marzo, comunque, a New York il processo è cominciato e si attende la possibile sentenza per maggio. Da voci uscite dal tribunale sembra che uno dei testimoni più importanti sia il faccendiere Zarrab e che lui abbia più volte menzionato il nome di Erdogan come persona perfettamente al corrente di quanto si stesse facendo.