Thierry Meyssan
Tutte le manifestazioni in Iran contro i nemici esterni terminano con l’inevitabile slogan: «Morte al Regno Unito! Morte agli Stati Uniti! Morte a Israele!» È un grido che proviene dalle profonde sofferenze subite dal popolo persiano a iniziare dalla prima guerra mondiale.
• Benché in Occidente non se ne abbia consapevolezza, nel 1917-1919 l’Iran fu vittima del più grande genocidio della prima guerra mondiale [1]. Su una popolazione di 18-20 milioni di abitanti, da 6 a 8 milioni di persone, ossia un quarto o un terzo degli iraniani, morirono di fame. Il neutrale Iran fu stritolato dall’esercito britannico, nel contesto della rivalità con i bolscevichi e gli ottomani. Questo orrore ha lasciato un trauma ancora molto vivo in Iran [2]. Per un iraniano il nemico numero uno del suo Paese è senza dubbio il Regno Unito.
• I britannici, dopo aver usato uno dei loro ufficiali, Reza Shah (1925 al 1942), per colonizzare l’Iran, lo rovesciarono per mettere al potere il figlio, Mohammad Reza Pahlavi (1941-1979). Dietro questi uomini di paglia, gli inglesi saccheggiarono il petrolio del Paese. Tuttavia, nel 1951 lo scià scelse Mohammad Mossadeq come primo ministro. Mossadeq nazionalizzò l’industria petrolifera a danno di Londra. Ne seguì una disputa durante la quale i britannici si distinsero per la propria malafede; nel 1953 organizzarono una rivoluzione colorata con l’aiuto degli Stati Uniti, l’operazione Ajax [3]. Il nuovo regime non fu più gestito da Londra, ma da Washington. L’ambasciata degli Stati Uniti creò un sistema di derivazioni telefoniche per mettere sotto controllo le linee di tutti i ministri e ascoltarli a loro insaputa. La struttura fu scoperta durante la rivoluzione del 1978. Per un iraniano il nemico numero due del suo Paese sono senza dubbio gli Stati Uniti.
• Quando Mossadeq fu rovesciato, i britannici imposero al suo posto il generale Fazlollah Zahedi. Zahedi era un nazista che i britannici tenevano in prigione al Cairo, ma Londra decise di usarlo per ristabilire l'”ordine”. Zahedi istituì una polizia segreta, la Savak, sul modello della Gestapo. Recuperò ex nazisti per addestrarne gli uomini e Yitzhak Shamir, che all’epoca lavorava per il Mossad, inviò diverse centinaia di sionisti revisionisti per inquadrarli [4]. Si possono ancora vedere gli orrori della Savak, la più terribile polizia segreta dell’epoca, al museo ad essa dedicato a Teheran [5]. Per un iraniano il nemico numero tre del suo Paese è senza dubbio Israele.
L’unico nemico di Israele nel XX secolo
Contrariamente a quanto pensa la popolazione israeliana grazie a 25 anni di propaganda sionista revisionista, l’Iran – né quello dello scià né quello della Repubblica islamica – non ha mai avuto l’obiettivo di annientare la popolazione ebraica della Palestina occupata. Come chiarì l’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, l’obiettivo è distruggere lo Stato di Israele, come la Russia distrusse l’URSS [6].
No, l’unico nemico di Israele è quello che da 80 anni sabota ogni tentativo di pace tra ebrei e arabi: il Regno Unito. Come ho sovente spiegato, quando nel 1915 il Foreign Office elaborò il piano intitolato The Futur of Palestina (Il futuro della Palestina), specificò che nella Palestina mandataria avrebbe dovuto essere creato uno Stato ebraico, ma in nessun caso avrebbe dovuto essere in grado di garantire da sé la propria sicurezza. Due anni dopo, il governo britannico di David Lloyd George redasse la Dichiarazione Balfour, che annunciava la creazione in Palestina del Focolare nazionale per il popolo ebraico, e l’amministrazione statunitense di Woodrow Wilson s’impegnò a creare uno Stato indipendente per gli ebrei dell’Impero ottomano.
L’autore di questo testo, lord Herbert Samuel, divenne Alto Commissario britannico in Palestina. Coerentemente con il piano favorì da un lato i sionisti revisionisti di Jabotinsky, dall’altro designò l’antisemita Mohammed Amin al-Husseini gran muftì di Gerusalemme. Successivamente Samuel fu nominato segretario di Stato per gli Affari Interni nel governo di Archibald Sinclair.
Questa politica è continuata ininterrottamente fino a oggi: il Regno Unito sostiene da un lato il sionista revisionista Benjamin Netanyahu, dall’altro i Fratelli Mussulmani, di cui Hamas è il ramo palestinese.
Il prolungamento del conflitto tra i sionisti revisionisti e l’Iran
Subito dopo la seconda guerra mondiale, il presidente degli Stati Uniti, Dwight Eisenhower, era preoccupato che l’omologo israeliano, Chaim Weizmann, volesse realizzare il “Grande Israele” – non il Regno di Gerusalemme, in gran parte già incluso nello Stato di Israele, ma l’antico impero assiro, ossia dal Nilo all’Eufrate. Chiese quindi al segretario di Stato, John Foster Dulles, di organizzare un’alleanza tra Siria e Iran per controbilanciare l’influenza israeliana.
Il 24 maggio 1953, su richiesta di Washington, il presidente siriano Adib Shishakli (SNSP-Partito nazionalista sociale siriano) (1953-1954) firmò un accordo di cooperazione militare con il sovrano iraniano, Mohammad Reza Pahlavi [7]. È quindi stupido denunciare oggi questa stessa alleanza, che ora chiamiamo Asse della resistenza, solo perché i due regimi sono stati decolonizzati.
Nel 1979 il presidente Jimmy Carter spodestò lo scià che pretendeva di dominare il Medio Oriente con una bomba atomica fornita dal presidente francese Valéry Giscard d’Estaing e dal suo primo ministro, Jacques Chirac [8]. Per sostituirlo, su suggerimento del consigliere per la sicurezza Zbigniew Brzezinski, Carter riportò a Teheran, dalla Francia, l’imam Ruhollah Khomeini. Inizialmente Israele sostenne l’Iran contro l’Iraq, fornendogli le armi di cui aveva bisogno. Tel Aviv organizzò persino la parte iraniana dello scandalo Iran-Contras. Poi cambiò gradualmente strategia [9], pur mantenendo alcuni reliquati del periodo dello scià. Ad esempio il consorzio EAPC-B, una società posseduta in parti uguali da Israele e Iran che ancora oggi gestisce il gasdotto Eilat-Ashkelon, vitale per l’economia israeliana. Nel 2018 la Knesset adottò una legge che punisce con 15 anni di detenzione ogni pubblicazione sui proprietari di questa società [10].
Dopo l’invasione anglosassone dell’Iraq del 2003, pretestuosamente accusato di aver avuto un ruolo determinante negli attacchi dell’11 settembre 2001, Londra e Washington iniziarono a diffondere voci su una presunta arma nucleare iraniana, come già per le presunte armi di distruzione di massa irachene [11]. All’epoca, Londra e Washington speravano di costringere l’Iran ad aiutarli contro l’Iraq.
Queste macchinazioni sfociarono nel voto delle risoluzioni 1737 del 23 dicembre 2006 e 1747 del 24 marzo 2007 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite [12]. L’allora capo dell’opposizione israeliana, Benjamin Netanyahu, approfittò di questa propaganda: per 25 anni ha costantemente denunciato l’«imminente» fabbricazione di una bomba atomica iraniana, anche quando Teheran presentò alle Nazioni unite una proposta di risoluzione per fare del Medio Oriente «una zona libera da armi nucleari» [13].
Comunque sia, nel 2013, a Oman, William Burns (in seguito direttore della Cia durante l’amministrazione Biden) negoziò con l’Iran, per conto del presidente Barack Obama, il Piano d’azione congiunto globale (JCPoA). Le trattative andarono in scena durante gli incontri dei 5+1 (ovvero le cinque potenze nucleari del Consiglio di sicurezza e la Germania) a Ginevra. Ma la firma avvenne solo due anni dopo, a Vienna, perché gli Stati Uniti e l’Iran si riservarono una lunga sospensione per concordare un allegato aggiuntivo segreto.
In una lunghissima intervista [14] rilasciata poco prima della fine del suo secondo mandato, Obama spiegò che si rifiutava d’impedire preventivamente all’Iran di lanciarsi nella corsa alla bomba atomica, ma di essere pronto a intervenire se Teheran avesse avviato un programma nucleare militare. La sua consigliera per la Sicurezza, Susan Rice, dichiarò: «L’accordo con l’Iran non ha mai avuto l’obiettivo principale di inaugurare una nuova èra di relazioni tra Stati Uniti e Iran. Lo scopo era molto più pragmatico e minimalista: semplicemente rendere un Paese pericoloso molto meno pericoloso. Nessuno si aspettava che l’Iran diventasse più malleabile».
La posizione degli Stati Uniti [15]
non è mutata. Certo, durante il suo primo mandato il presidente Trump si è ritirato unilateralmente dal JCPoA e dall’allegato segreto negoziato da Obama, ma ha detto solo a parole di non voler permettere all’Iran di arricchire l’uranio, mai durante i negoziati.
In quel periodo l’Iran ha iniziato a mobilitare le comunità sciite del Medio Oriente per garantire la propria sicurezza. Poi, con il generale Qassem Soleimani, Teheran è tornata alla dottrina di Khomeini: il sostegno in luogo della strumentalizzazione. Già prima che Israele distruggesse Hamas, Hezbollah e così via, l’Iran non aveva più proxy: ogni comunità è autonoma.
I fatti che hanno scatenato lo scontro
Il 7 giugno Esmail Khatib, ministro dell’Intelligence iraniano, ha reso pubblica un’operazione dei servizi segreti, che sono riusciti a impossessarsi di documenti riservati sul programma nucleare israeliano, proprio come ad aprile 2018 fece il Mossad con documenti sulle ricerche nucleari iraniane [16].
Il 12 giugno il Consiglio dei governatori dell’AIEA – presieduto da Rafael Grossi – ha adottato una risoluzione [17] in cui si prende atto che «il direttore generale, come risulta dal documento GOV/2025/25, non può fornire garanzie che il programma nucleare dell’Iran sia esclusivamente pacifico»; si ritiene quindi che «le numerose inadempienze dal 2019 dell’Iran rispetto agli obblighi assunti di cooperare pienamente e tempestivamente con l’Agenzia riguardo a materiali e attività non dichiarati in molteplici località non dichiarate in Iran, come precisato nel documento GOV/2025/25, costituiscano violazione degli obblighi scaturenti dall’accordo di garanzia con l’Agenzia, ai sensi dell’art. XII.C dello Statuto dell’Agenzia». Di conseguenza il Consiglio dell’AIEA ha deferito la questione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite.
Mentre i documenti sequestrati dal Mossad nel 2018 non rivelavano alcun programma nucleare iraniano [18] – nonostante le dichiarazioni di Netanyahu – i primi documenti israeliani sequestrati e resi pubblici dall’intelligence iraniana gettano un’ombra sulla neutralità dell’argentino Rafael Grossi. Da essi emerge che Grossi ha trasmesso a Israele osservazione dell’AIEA, di cui peraltro Israele non è membro. Tra i governatori dell’AIEA, Russia, Cina e Burkina Faso si sono opposti alla risoluzione.

Rafael Grossi è già stato chiamato in causa per il suo strano silenzio durante l’operazione speciale russa in Ucraina: durante un discorso al Forum di Davos 2022, rivelò che il regime ucraino aveva immagazzinato 30 mila chili di plutonio e 40 mila chili di uranio arricchito nella centrale di Zaporija. Poi più nulla, nonostante le rimostranze russe.
Il giorno dopo la pubblicazione dei documenti sottratti dall’intelligence iraniana, Tel Aviv ha attaccato l’Iran. È esattamente quanto accaduto nel 2006, quando fece guerra al Libano. Israele affermò di aver agito perché diversi suoi soldati erano stati catturati da Hezbollah. In realtà era intervenuto per fermare le inchieste della polizia e della giustizia libanesi su una vasta rete di spie e terroristi israeliani in Libano; inchieste che avrebbero potuto portare a una nuova interpretazione dell’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri, come ho mostrato nel mio libro L’Effroyable imposture 2 [19].
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[2] «8-10 million Iranians died over Great Famine caused by the British in late 1910s, documents reveal», Sadegh Abbasi, Khamenei.Ir, November 4, 2015.
[3] Countercoup, the Struggle for the Control of Iran, Kermit Roosevelt, McGraw-Hill (1979). The British Role in Iranian Domestic Politics (1951-1953), Mansoureh Ebrahimi, Springer (2016). Mohammad Mosaddeq and the 1953 Coup in Iran, Mark J. Gasiorowski & Malcolm Byrne, Syracuse University Press (2004). The CIA in Iran: The 1953 Coup and the Origins of the US-Iran Trade, Christopher J. Petherick, American Free Press (2006). Iran and the CIA: The Fall of Mosaddeq Revisited, Darioush Bayandor, Palgrave Macmillan (2010).
[4] « SAVAK : A Feared and Pervasive Force », Richard T. Sale, Washington Post, May 9, 1977. SAVAK oder der Folterfreund des Westens. Aus den Akten des iranischen Geheimdienstes, Harald Irnberger (1978).
[5] Fotografie di leader iraniani in visita al museo sono state usate dai Mujahiddin del popolo per far credere che le torture ricostruite erano state eseguite da loro.
[6] « Comment Reuters a participé à une campagne de propagande contre l’Iran », Réseau Voltaire, 14 novembre 2005.
[7] Syria and the United States, David W. Lesch, Westview (1992).
[8] The Carter Administration and the Fall of Iran’s Pahlavi Dynasty: US-Iran Relations on the Brink of the 1979 Revolution, Javier Gil Guerrero, Palgrave Macmillan
[9] The Secret War With Iran: The 30-Year Clandestine Struggle Against the World’s Most Dangerous Terrorist Power, Ronen Bergman, Simon and Schuster (2008).
[10] “Israele e Iran sfruttano insieme l’oleodotto Eilat-Ashkelon”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 3 gennaio 2018.
[11] “Chi ha paura del nucleare civile iraniano?”, di Thierry Meyssan, Traduzione Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 4 luglio 2010.
[12] Checking Iran’s Nuclear Ambitions, Henry Sokolski & Patrick Clawson, University Press of the Pacific (2004). Iran and the Bomb: The Abdication of International Responsibility, Thérèse Delpech, Columbia University Press (2009). The Rise of Nuclear Iran: How Tehran Defies the West, Dore Gold, Regnery Publishing (2009). Nuclear Politics in Iran, Judith S. Yaphe, Institute for Nartional Strategic Studies, National Defense University (2010). Nuclear Iran, David Patrikarakos, Bloomsbury (2012).
[13] « Création d’une zone exempte d’armes nucléaires au Moyen-Orient », Réseau Voltaire, 4 mai 2010.
[14] “The Obama Doctrine”, by Jeffrey Goldberg, The Atlantic (USA) , Voltaire Network, 10 March 2016.
[15] Crescent of Crisis: U.S.-European Strategy for the Greater Middle East, Ivo H. Daalder & Nicole Gnesotto & Philip H. Gordon, Brookings Institution (2006). The United States and Iran: Sanctions, Wars and the Policy of Dual Containment, Sasan Fayazmanesh Routledge (2008). US Foreign Policy and Iran: American-Iranian Relations Since the Islamic Revolution, Donette Murray, Routledge (2009). Losing an Enemy: Obama, Iran, and the Triumph of Diplomacy, Trita Parsi, Yale University Press (2017). President Obama and Iran: Engagement, Isolation, Regime Change, Raymond Tanter, Iran Policy Committee (2010).
[16] “Benjamin Netanyahu reveals the “Iranian secret nuclear program””, by Benjamin Netanyahu, Voltaire Network, 30 April 2018.
[17] «Accord de garanties TNP avec la République islamique d’Iran», Résolution adoptée le 12 juin 2025, à la 1 769 e session, AIEA.
[18] Shock Wave Generator for Iran’s Nuclear Weapons Program: More than a Feasibility Study, David Albright & Olli Heinonen, Foundation for defense of democracies, May 7, 2019.
[19] L’Effroyable imposture 2 : Manipulations & Fake News, Thierry Meyssan, Alphée et Demi-Lune (2007).