GIOIA CHE CURA

Se l’unica preghiera che dovessi recitare in tutta la vita fosse “grazie”, sarebbe sufficiente.

(Meister Eckhart)

 

Willibald Ruch, psicologo e docente all’università di Zurigo ha di recente sottolineato l’importanza terapeutica dell’umorismo, in grado, secondo lui, di connettere noi stessi con qualcosa di più grande mediante un cambiamento di prospettiva. Un atteggiamento positivo in grado di liberarci delle emozioni negative, al contrario, capaci soltanto di restringere la prospettiva, rimarcando quello che non va; cinismo e sarcasmo, afferma, non possono aumentare il benessere, diversamente invece di quanto possa fare la scoperta del lato buffo di ogni situazione che si vive.

Le diverse aree cerebrali interessate dall’humor portano ad un’apertura mentale dai risvolti terapeutici.

Del resto gli studi di Ruch seguono precedenti acquisizioni di carattere scientifico. La gelotologia (cura del “ridere”) è stata già apprezzata oltre Oceano (Indian State University) per le sue efficaci applicazioni: essa si è dimostrata curativa in diverse patologie, dal cancro (“L’effetto della risata sullo stress e la citotossicità della cellula natural killer” conferma l’incremento dell’attività delle “cellule assassine”, in seguito ai miglioramenti dell’umore) fino alle malattie cardiovascolari; ridere si è dimostrato possedere i medesimi effetti vasodilatatori dell’attività fisica aerobica. Tale miglioramento dell’elasticità dei vasi sanguigni (quindi contro ictus ed infarti) è determinato dalla produzione di endorfine da parte del sistema limbico, innescatasi a causa degli impulsi positivi pervenuti alla corteccia cerebrale.

Insomma ridere, come sostenne il noto Patch Adams, come anche il meno famoso dott. Franco Scirpo, è in grado di provocare in noi una serie di reazioni chimiche capaci di mantenere il nostro corpo in un buono stato di salute.

Ruch sottolinea che non si tratta necessariamente di ridere a crepapelle; per ottenere i benefici terapeutici è sufficiente anche solo sorridere.

Queste acquisizioni scientifiche non sono altro, semmai ve ne fosse bisogno, che la prova di quanto la visione olistica dell’essere umano sia fondamentalmente l’unica in grado di assicurare un completo approccio diagnostico e soprattutto sia l’unica a possedere le armi per una totale efficacia terapeutica.

La salute dello spirito influenzerà sempre e necessariamente quella del corpo; dall’ottenimento della stessa, potremmo avere un perfetto stato di salute, ammesso però che, paradosso, “si prenda sul serio”, quanto attestatoci dalla Scrittura.

È incredibile, forse quanto poco noto sia, il numero di passi nei quali l’uomo sia invitato a “prendere parte alla gioia del suo Signore”.

Gioia, letizia e ringraziamento, termini ricorrenti spesso nel sacro Testo. Siate lieti nella speranza (Rm 12,12); [anche se] afflitti, ma sempre lieti (2 Cor 6, 10); Per il resto, fratelli, state lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi (2Cor 13,11); Per il resto, fratelli miei, state lieti nel Signore (Fil 3,1); State sempre lieti (1Tes 5,16); temi quasi del tutto sconosciuti ai più, vittime di riduzionismo ideologico del Cristianesimo , dipinto come mero ricettario di precetti e vincoli, repressione della vera vita.

“ἐν παντὶ εὐχαριστεῖτε· τοῦτο γὰρ θέλημα θεοῦ ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ εἰς ὑμᾶς” “in ogni cosa rendete grazie, poiché tale è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1 Tessalonicesi 5:18)…neutralizzare tutti i malumori, le rabbie latenti, i dispiaceri più o meno repressi, i cattivi sentimenti…tutto quel crogiolo di emozioni negative che costellano l’universo dei cuori; e con tale eliminazione, al contempo consentire che prendano spazio e forma quella amplificazione intima che ama la vita e che fa comprendere che “siamo fatti per l’immensità, la nostra anima si dilata, quando il cielo ed il mare si ingrandiscono sotto i nostri occhi” (H. Hello)

In realtà la capacità di rendere grazie anche nella sorte avversa, “il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore” (Gb 1, 20), è la chiave della propria salvezza interiore, il dono di una libertà magnifica, che apre il cuore ad orizzonti sconosciuti; atteggiamento spirituale strettamente connesso con la gioia di vivere; essere sempre lieti diviene quasi un comando. Non bisogna contristarsi; e la ragione della felicità poggia sulla certezza granitica del fatto che “ogni cosa coopera al bene di quelli che amano Dio” (Rm 8,28).

Questo è innanzi tutto un “atto di consapevolezza”: essere presenti alla propria realtà ed al proprio essere, l’hic et nunc, che dà senso all’istante che ed in cui viviamo, atto che sfocia in una resa del proprio non essere, colmo di gioia per aver compreso la possibile attuazione dell’appagamento massimo delle proprie potenzialità. Questo è il significato profondo del ringraziare in ogni cosa: lasciarsi invadere dallo Spirito, ora. Il ringraziamento è resa, perché dimostra da un lato la propria incapacità di ottenere da sé (chi ringrazia ha ricevuto) e dall’altro apertura alla gioia di vivere, a prescindere dal variare delle contingenze. In profondità si radica una certezza di essere amato e protetto, che supera ogni inquietudine e paura. Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento (Sal 4,8); Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra (Sal 15,11)

Non è lontano da questo neppure il pensiero di Osho, quando parla della necessità di ridere: “Se sei posseduto dalla risata, il pensiero si arresta. La risata può essere una splendida introduzione a uno stato di non pensiero […] Ridere…un modo semplice, rapido e divertente, così totalizzante da riportarci nel presente fuori dalla mente, il posto migliore per osservare con distacco la difficoltà e ricordare che il problema non è noi […] Una risata vera è come quella di un bambino. Guarda come si scuote la sua pancia, tutto il suo corpo sussulta – si rotola sul pavimento. È una questione di totalità. Ride talmente che comincia a piangere; ride così totalmente che la risata si trasforma in lacrime, cominciano a scendergli lacrime dagli occhi.” La risata diviene un meccanismo di meditazione, di guarigione, la via per arrestare la corrente di pensieri che affliggono il cuore; per il Vangelo, questa letizia fonda niente meno che sulla consapevolezza di quanto sia prezioso ogni capello del capo agli occhi dell’Altissimo; ridere senza motivo, solo per cercare di azzerare il flusso mentale (come sostiene Osho), potrebbe in realtà realizzare il vecchio adagio “Risus abundat in ore stultorum”; ridere invece a causa di una gioia che nessuno può togliere (cf Gv 16, 23: καὶ ἐν ἐκείνῃ τῇ ἡμέρᾳ ἐμὲ οὐκ ἐρωτήσετε οὐδέν· ἄν τι αἰτήσητε τὸν πατέρα δώσει ὑμῖν ἐν τῷ ὀνόματί μου, nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà), questa è certezza di aver costruito la casa sulla roccia, senza timori di flutti o tempeste.

Del resto “..se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (2 Cor 5, 17); la novità sta proprio nel capovolgere questo stato mentale di negatività e pessimismo che ci avvolge. L’esperienza della morte viene dal maligno e da coloro che se ne rendono complici.

In questa società che ride soltanto per i pochi istanti della durata di una commedia cinematografica e che predilige la morte alla vita (aborti, eutanasie, ecc.), non sorprende che ci si ammali tanto. Non si vive bene; la gioia di vivere è relegata allo sballo da “droghe leggere”, la cui legalizzazione rappresenta proprio la resa di fronte all’incapacità di essere felici se non attraverso canali artificiosi. Le contingenze economico-finanziarie come anche l’esasperata strafottenza della dittatura sovranazionale del pensiero unico, di fronte al quale la politica esprime servile sudditanza possono essere vere tentazioni per l’uomo di oggi; così come a Caino, il volto potrà quindi essere abbattuto e triste: quella tristezza del cuore, per lui causata dall’invidia, lo porterà ad uccidere il fratello. La cattiveria etimologicamente intesa come “prigionia” è la trappola mortale della nostra infelicità.

Occorre quindi sempre più dimenticare l’ego, il nostro mondo, per tuffarsi con fiducia in quello che è il posto preparato per noi (cf. Gv 14); lì si sperimenta che “hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia” (Sal 29,12).

Ma qual è la condizione per la quale tutto questo si renda possibile? La fiducia, l’abbandono, la ricerca di una gioia profonda, che come acqua che disseta, zampilla per la vita eterna. Un credente che non abbia questa gioia di vivere, deve interrogarsi se abbia mai incontrato Cristo.

Cerca la gioia del Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore.” (Sal 36,4)