DOVE GESÙ DICE BIANCO, RATZINGER DICE NERO.

 

di Enrico Maria Radaelli

Qui si vogliono offrire almeno cinque dei numerosi esempi di totale inconciliabilità, da una parte degli insegnamenti di Sacre Scritture e dogmi della Chiesa, dall’altra degli insegnamenti esposti dal Professor Ratzinger in un suo celebre libro del 1968, Introduzione al cristianesimo, a tutt’oggi vero e unico paradigma del suo pensiero, venduto da cinquant’anni in tutto il mondo, mai smentito, anzi confermato nel 2000 da un nuovo Saggio introduttivo vergato dal suo stesso Autore, all’epoca Prefetto della sacra Congregazione per la dottrina della fede, e, nella sua linea dorsale, ancora ribadito in un’intervista pubblicata su L’Osservatore Romano il 17-3-16, dunque solo due anni fa, e avendo l’augusto Soggetto compiuto già da tre anni la gran Rinuncia al Papato. Libro dunque ancora molto attuale.

Esso costituisce l’oggetto dell’analisi critica del mio  Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondopro manuscripto, Aurea Domus, Milano novembre 2017, pp. 370, disponibile nelle librerie Ancora (Milano e Roma), Coletti (Roma), Hoepli (Milano), Leoniana (Roma), oltre che sul sito di metafisica Aurea Domus.

Si vuole altresì rassicurare il lettore della più ampia contestualizzazione, in questo mio lavoro, delle citazioni del pensiero ratzingeriano, così da poter garantire allo studioso il più largo aiuto per afferrarne, oltretutto, il significato non sempre limpido.

Si ritiene urgente la massima diffusione di Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo affinché sia evidente che il sottoscritto, potendo cominciare a lavorarvi solo dal settembre del 2015, ha fatto di tutto per arrivare in tempo a provare – quantomeno a provare – di convincere l’esimio e mite Autore di Introduzione al cristianesimo della necessità di riflettere su tutti quei suoi assunti prima che sia troppo tardi.

In tale mio studio critico sono stati volutamente proposti anche quattro paragrafi (dal § 76 al § 79) in cui ho voluto esporre all’apprezzamento del lettore cinque importanti pensieri del Professore la cui presenza, pur nell’oceano delle più forti perplessità, permette di capire quanto esso sia scevro da ogni e qualsivoglia apriorismo, a meno che non sia dettato dalla divina e a tutti superiore Norma normans del Logos.

Questi i cinque esempi.

Primo esempio.

Nel 2005, salito da poco al papato col nome di Benedetto XVI, colui che era stato il Professor Joseph Ratzinger insegnava che quella di Dio «rimane l’ipotesi migliore, benché sia un’ipotesi» (Joseph Ratzinger, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena 2005, p. 123).
Ma dire che Dio è «l’ipotesi migliore» significa comunque fondare la fede in Dio – credere Deum – su un’ipotesi, se pur la migliore, ossia su un fatto dubitativo, il che però significa, essenzialmente, fondarla su un fatto umano: è l’uomo che ipotizza l’esistenza di Dio, è l’uomo che dunque, nella sua mente, “produce Dio”, che è tutto il contrario della certezza richiesta dalla fede: la certezza di una conoscenza data dalla testimonianza, altro che ipotesi! e la testimonianza è quella di Cristo, che dice: « Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato  » (Gv 1,18).

Si noti che questo pensiero drammaticamente errante del più recente Ratzinger, che conferma come si debba cercare di correggerne il fideismo di fondo, lo si è potuto raccogliere proprio da chi credeva, con la citazione di quelle sue parole, di difenderlo dal mio dire (vedi qui).

Nelle prime settantatré pagine del suo libro il Professor Ratzinger, ben trentadue anni prima, aveva già steso il concetto fondante della sua fede “ipotetica”, e l’aveva steso con plurime e sempre molto drammatiche espressioni, di cui qui si riportano solo le tre più esemplari e struggenti: «…il credente può vivere la sua fede unicamente e sempre librandosi sull’oceano del nulla, della tentazione e del dubbio, trovandosi assegnato il mare dell’incertezza come unico luogo possibile della sua fede,…» (Introduzione al cristianesimo, p. 37);

«È la struttura fondamentale del destino umano poter trovare la dimensione definitiva dell’esistenza unicamente in questa interminabile rivalità fra dubbio e fede, fra tentazione e certezza» (Introduzione al cristianesimo, p. 39);

«Il credente sperimenterà sempre l’oscura tenebra in cui lo avvolge la contraddizione dell’incredulità, incatenandolo come in una tetra prigione da cui non è possibile evadere,…» (Introduzione al cristianesimo, p. 73).

Ma il Signore, a proposito della certezza e solidità della fede, ci dice: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6); e san Paolo ricorda che « ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto [è manifesto agli uomini]; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa» (Rm 1,19-22). Conclusione: « Senza la fede è impossibile piacere a Dio» (Eb 11,6). Su tali inenarranti basi scritturali, la Chiesa dogmatizza (con proposizione cui si deve obbedienza de fide): «Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto con certezza mediante la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create» (Cost. dogm. Dei Filius, cap. 2, Denz 3004).

Bisogna qui aprire una parentesi di ordine generale che ci permette di notare come il postulato iniziale generalissimo del Professor Ratzinger, secondo cui: «…il credente può vivere la sua fede unicamente e sempre librandosi sull’oceano del nulla, della tentazione e del dubbio», nullifica tutto il libro nonché se stesso medesimo, in quanto circolarmente contraddittorio. Se infatti, per principio, tutto è incerto, allora sarà incerto, per principio, anche il postulato medesimo, che quindi potrebbe essere falso, e saranno comunque incerte, forse false, per principio, tutte le proposizioni del libro e, allora, a che pro non solo scriverlo, ma anche leggerlo? (v., in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, i §§ 11-21 sul dubbio socratico e su quello scettico, pp. 51-82).

Secondo esempio.

In un’intervista del 2016 al gesuita Jacques Servais pubblicata sull’Osservatore Romano, l’augusto Teologo, già Papa, tornato cardinale pur ricusandone la qualifica, riconfermava la linea dorsale del libro ribadendo la sua personale convinzione che la Redenzione come ‘riparazione dell’«offesa infinita fatta a Dio»’ è solo una dottrina che, a causa della «ferrea logica» dovuta, secondo lui, unicamente al vescovo sant’Anselmo d’Aosta, resta «difficilmente accettabile dall’uomo moderno», così mantenendo inalterato il pensiero formulato cinquant’anni prima in Introduzione al cristianesimo, per il quale essa «ci appare come un crudele meccanismo per noi sempre più inaccettabile» (Introduzione al cristianesimo, p. 221). Ma Gesù stesso parla di “ira di Dio”: «Chi rifiuta di credere nel Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui» (Gv 3,36); quale ira? perché ira? L’ira del Creatore per il peccato della sua creatura; e san Paolo chiarisce: «Quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del suo Figlio» (Rm 5,10): nemici per il peccato dell’uomo, che la morte per Olocausto cruento di Cristo riscatta; infatti: «Anche noi tutti,  …  eravamo per natura figli dell’ira » (Ef 2,3); “per natura” a causa del peccato originale trasfuso in noi da Adamo; e l’Apostolo (Dio attraverso l’Apostolo) rincara: «E voi, che già eravate estranei e nemici nella vostra mente e nelle vostre opere malvagie, ora Dio vi ha riconciliati nel corpo di carne di Lui, per mezzo della Sua morte» (Col 1,21-2); cui si aggiunge l’Apostolo prediletto (ossia sempre Dio attraverso stavolta l’Apostolo prediletto): «In questo si è manifestato l’amore di Dio verso di noi: che Dio [Padre] ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo,  In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che Dio ha amato noi e ha inviato il suo Figlio per essere l’espiazione per i nostri peccati» (I Gv 4,9-10).

Su tali inenarranti basi scritturali, il dogma ordina (Concilio di Trento, Denz 1743 e 1753) che la Chiesa professi la dottrina della Redenzione come Olocausto di Cristo al Padre, e in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo (§§ 40-3, 155-72) è percorsa tutta la storia del dogma al proposito, che esige che sia obbedito, accettato e creduto proprio ciò che il Professor Ratzinger rigetta.

Terzo esempio.

Il Professor Ratzinger afferma: «Dio è e sarà sempre per l’uomo l’essenzialmente Invisibile  Dio è essenzialmente invisibile» (Introduzione al cristianesimo, p. 42); e ancora: «nell’Antico Testamento questa affermazione – che “Dio non compare né mai comparirà all’uomo” – assume valore di principio: Dio non è soltanto colui che è ora effettivamente fuori del nostro campo visivo …; no, egli è invece colui che ne sta fuori per essenza [marcatura dell’Autore], indipendentemente da tutti i possibili e pensabili allargamenti del nostro campo visivo » (Introduzione al cristianesimo, pp. 42-3).

Ma il Cristo di Sé dice: « Chi vede me vede Colui che mi ha inviato » (Gv 12,45); « Chi vede me vede il Padre » (Gv 14,9); e l’Apostolo prediletto afferma (ossia Dio in lui): « [Dio] lo vedremo così come Egli è» (I Gv 3,2); e san Paolo precisa: «Egli immagine del Dio invisibile» (II Cor 4,4, ma ancheCol 1,15) e ancora: «Egli [il Cristo] è lo specchio della gloria di Dio e l’impronta della sua sostanza» (Ebr 1,3), il che significa che Dio Padre è perfettamente visibile nel Figlio, e ciò basta alla Chiesa ad affermare – al contrario di ciò che insegna, p. es., oltre al Professor Ratzinger, la nozione maomettana – la perfetta visibilità di Dio ai Beati, così chiamati appunto per il fatto che essi godono della visione divina (vedasi, in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, il § 18, pp. 70-4).

 Quarto esempio.

Il Professor Ratzinger sostiene che l’uomo, nella beatitudine del Paradiso, «vivrà nella memoria di Dio» (Introduzione al cristianesimo, p. 343), e precisa che « Paolo insegna – ripetiamolo ancora una volta – non la risurrezione dei corpi (Körper), bensì delle persone, e questa non nel ritorno dei ‘corpi di carne’, ossia delle strutture biologiche, che egli indica esplicitamente come impossibile» (Introduzione al cristianesimo, p. 347).

Ma i Vangeli, parlando dell’incontro tra Gesù risorto e gli Apostoli, notano invece che:«siccome stentavano a credere ed erano pieni di meraviglia, [Gesù] chiese loro: “Non avete nulla da mangiare?” Gli diedero un pezzo di pesce arrostito e un favo di miele. E dopo aver mangiato davanti a essi, prese gli avanzi e li diede a loro» (Lc 24,41-3); per non dire del celebre episodio  di Gv 20,27: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani! Accosta la tua mano e mettila nel mio costato!», da cui si evince che un corpo glorioso non è per questo meno carnale di un corpo mortale; e san Paolo, da qui, insegna: «E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,10-1).

Anche qui, sulla base di tali chiarissime e univoche risultanze poste dalle Sacre Scritture, la Chiesa così dogmatizza: «Tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti» (Concilio Laterano IV, 1215, Definizione contro gli Albigesi e i Catari, Denz 801), (vedasi, in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, i §§ 50-2, pp. 196-213, in cui l’inconciliabile opposizione tra l’insegnamento della dottrina cattolica e quello del Professor Ratzinger è evidenziata anche da plurime altre argomentazioni scritturali e dogmatiche).

Quinto esempio.

Il Professor Ratzinger sostiene che «la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano» (Introduzione al cristianesimo, p. 265), infatti, a suo avviso, la figliolanza divina di Gesù «non è un processo avvenuto nel tempo, bensì nell’eternità di Dio» (Introduzione al cristianesimo, pp. 265-6).

Ma l’Evangelista (Mt 1,18-26) scrive«Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe», ‘promessa sposa’, dice, non ‘moglie’: ‘moglie’ è colei che, col coniugio, ha perso la verginità; ‘sposa’ invece è la donna che, unita in matrimonio, non ha ancora compiuto il coniugio; «prima che andassero a vivere insieme»: l’Evangelista segnala che quanto sta per narrare precede il momento in cui la vergine Maria si accaserà con Giuseppe; «si trovò incinta per opera dello Spirito Santo», come riporta san Luca nel suo Vangelo (1,26-38), «Giuseppe, suo sposo», ‘sposo’, anche qui, e non ‘marito’, a confermare lo stato non ancora coniugale dei due nubendi, «che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di ripudiarla in segreto», ossia di non ripudiarla pubblicamente, ossia che avrebbe provveduto a Maria e al nascituro, dando loro cibo, le vesti, un tetto, ma senza coniugarsi a lei; «Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa”», “di prendere con te”, dice l’angelo, con espressione casta, invece di dire “di maritarti”, per indicare a Giuseppe come egli avrebbe dovuto condurre l’unione con Maria “sua sposa”: proprio come aveva pensato lui, un “giusto”, che dunque ragiona con giustizia, secondo il cristiano discernimento degli spiriti, come dev’essere chi il Signore ha designato a proteggere la Madre del Suo Figlio e Suo Figlio stesso; «perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo», e non da un uomo, così sospendendo il passaggio degli influssi negativi dovuti al peccato originale; «…Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del Profeta: “Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio” »: si noti bene che san Matteo riconosce nella profezia la causa remota, ma non per questo meno efficace, di ciò che stava santamente avvenendo, così riconoscendo a Dio la Sua potenza: ciò che avviene ora è dovuto alla Parola di Dio data allora; in secondo, ricordando la profezia, ne sottolinea il concetto base: il concepimento del Figlio di Dio è dovuto, per parte di madre, a una miracolosa formazione di un embrione in una donna vergine che resta vergine, per cui il Profeta la chiama “Vergine” in quanto lo è per antonomasia, è “Vergine” ontologicamente; e, per parte di padre, è dovuto allo Spirito Santo, per il motivo sopra detto; poi «… Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù».

Ma tutto ciò è impugnato dal Professore Ratzinger, il quale ritiene invece che: primo«la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano»;secondo, che, a proposito del Vangelo ora visto e di quello di san Luca segnalato nel testo, «la formula della filiazione divina ‘fisica’ di Gesù è quanto mai infelice e ambigua», così accusando la Parola di Dio, e dunque Dio stesso, di essere, qualificandola “infelice”, una Parola inetta, e, qualificandola “ambigua”, una Parola falsa, e ciò sostiene in un colpo solo; (per entrambi i punti, si veda, nel mio Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, il § 71, pp. 305-19).

Conclusioni.

Questi cinque esempi, specie il primo, col quale dal 1968 al 2016 l’Autore di Introduzione al cristianesimo persiste nel dubbio dell’esistenza di Dio, che per lui «rimane l’ipotesi migliore, benché sia un’ipotesi », dimostrano l’impostazione mentale scettica, storicista e fideista che le ha originate e che mutano uno per uno tutti gli articoli del Credo, come dimostro nel mio Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, che individua anche le cause che hanno portato il Teologo di Tubinga a quella problematica impostazione.

Si spera che questi cinque esempi possano essere utili a far conoscere la mia disamina al più largo pubblico di fedeli possibile, così da metterli in guardia sulle dottrine insegnate in Introduzione, e sollecitano, come si può riscontrare nelle ultime mie pagine, a trovare presto, e con ogni prudenza, la strada migliore per convincere l’illustre Soggetto a ritenere – almeno – che quel suo libro e le dottrine contenute non siano più proponibili alla Chiesa come sue convinzioni profonde, come a suo tempo il cardinale Dal Poggetto riuscì ad avvicinarsi al letto di Papa Giovanni XXII, a parlargli, a convincerlo, così da raggiungere il santo fine di far cadere ogni pericolo che i cancelli aurei gli restassero per sempre sbarrati.

***


Enrico Maria Radaelli.