CONSIDERAZIONI ESCATOLOGICHE

CONSIDERAZIONI ESCATOLOGICHE

 

«Ascoltate questo, voi che calpestate il povero

e sterminate gli umili del paese,

voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio

e si potrà vendere il grano?

E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,

diminuendo le misure e aumentando il siclo

e usando bilance false,

per comprare con denaro gli indigenti

e il povero per un paio di sandali?

Venderemo anche lo scarto del grano”.

Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:

certo non dimenticherò mai le loro opere.» (Amos 8, 4-7).

Se fossi uno speculatore, un finanziere che vive creando denaro dal nulla per fare altro denaro senza sovvenire all’economia reale, un banchiere che vive sulle fatiche e sulla rovina di molti, un usuraio, tremerei sentendo queste parole. Esse – proferite dal profeta Amos, un semplice pastore che viveva a Tekoa, ai margini del deserto di Giuda, intorno agli anni 783-743 coincidenti con lo splendore del regno di Geroboamo II, che sarà travolto, come ammonito dal profeta, dall’invasione assira – contengono una tremenda promessa di Dio: “Non dimenticherò mai le loro opere!”.

L’Europa delle banche e del primato della finanza sull’economia reale e sul Politico, l’Europa che ha rifiutato qualsiasi richiamo allE “radici cristiane”, impone di lavorare anche la domenica e nei giorni festivi – alla vigilia del Natale come della Pasqua l’attività produttiva e commerciale raggiunge livelli parossistici – perché bisogna aumentare la produttività, vincere la concorrenza, innalzare il profitto ed il pil ma a solo e tutto vantaggio del “servizio al debito”, ovvero per ripagare i creditori che prestano, sì, ma non commisurando né il recupero del capitale né, soprattutto, l’utile dell’interesse alle capacità produttive dei debitori, al tasso di crescita storico e normale dell’economia reale, che in tal modo è costretta a gonfiarsi per onorare il tasso di interesse.

Ezra Pound chiosa il Canto 45 dei Pisan Cantos – quello “contro l’usura” – così «N.B. Usura: una tassa prelevata sul potere d’acquisto senza riguardo alla produttività, e sovente senza riguardo persino alla possibilità di produrre».

Fino a quando l’attività creditizia non sarà legata all’andamento dell’economia reale, sicché il pagamento dei debiti seguirà le sorti della produzione mediante forme di indicizzazione del tasso di interesse ai profitti ma anche alle eventuali perdite della produzione (e senza alcuna copertura in garanzie reali o ipotecarie), in modo da configurare tra prestatore e prenditore del denaro una sorta di società, nessuna autentica differenza potrà sussistere tra lo strozzinaggio e l’attività bancaria, sia che la banca operi nei limiti del tasso legale di interesse sia che fuoriesca da tali limiti.

«Diceva anche ai discepoli: “C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinnanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse:’ Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore’. L’amministratore disse tra sé: ‘Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua’. Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: ‘Tu quanto devi al mio padrone?’ Quello rispose: ‘Cento barili d’olio’. Gli disse: ‘Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta’. Poi disse a un altro: ‘Tu quanto devi?’ Rispose: ‘Cento misure di grano’. Gli disse: ‘Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta’. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Lc. 16, 1-8).

Nostro Signore si è spesso divertito nell’usare il paradosso per insegnare verità eterne. Secondo le regole mondane l’amministratore disonesto della parabola è scaltro ma il padrone avrebbe dovuto consegnarlo alla giustizia dopo avergli tolto la sua fiducia e l’amministrazione. Invece lo loda. Infatti l’invito, rivolto ai “figli della luce”, è ad essere più scaltri dei “figli di questo mondo”. Il Padrone della parabola che minaccia di togliere all’amministratore, ossia all’uomo, l’amministrazione dei beni del mondo, è Dio. Di fronte al Quale deve presentarsi l’amministratore accusato di sperperare i suoi beni ossia di non aver donato, quindi usato con misericordia e giustizia, il potere a lui concesso. L’amministratore, preoccupato della sua sorte, che fa? Rimette almeno in parte i debiti ai debitori del Padrone ovvero dona generosamente i beni del suo Signore. Qui sta il paradosso: l’amministratore accusato di sperperare i beni del Padrone riesce a farsi lodare da lui sperperandone ancora di più. Perché nella logica di Dio, e non in quella del mondo, il buon amministratore è colui che dona, che usa con misericordia e giustizia i beni della terra, non colui che accumula.

Ecco perché Gesù, alla fine della parabola, ammonisce coloro che cercano di seguire la sua via ad essere più scaltri di quanti invece seguono la via del mondo e credono di salvarsi accumulando, speculando, creando denaro ex nihilo per usarlo speculativamente:

«Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.» (Lc. 16,9).

La “disonesta ricchezza” è quella “sperperata” ossia donata, o almeno usata con misericordia e giustizia verso il prossimo, quella che ottiene all’amministratore disonesto la lode del Padrone e che gli procura di essere accolto “nelle dimore eterne” dagli “amici” – gli angeli, le anime dei giusti e quelle purganti che pregano per noi – la cui amicizia in tal modo ha conseguito.

Infatti «Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?» (Lc. 16, 10-12).

La fedeltà e la disonestà sono tali sia nel poco che nel molto. Non è la quantità di beni a mutare l’essenza dell’una o dell’altra. Il ladro è tale tanto se ruba uno spillo che se ruba un diamante. Ma – continuando nel paradosso cristiano – Dio non darà la “ricchezza vera”, il Cielo, a chi non è stato “fedele nella disonesta ricchezza” ossia a chi non ha “sperperato” i beni del mondo per il prossimo e per il bene comune, compreso il bene comune politico ed economico. Colui che non è stato fedele nella “ricchezza altrui”, la “ricchezza di Dio” perché il mondo è opera Sua, usando con misericordia e giustizia dei beni che la Provvidenza gli ha messo a disposizione, non avrà diritto neanche alla “ricchezza propria” ossia alla salvezza eterna.

Ed è qui che cade come un macigno la nota ammonizione evangelica, troppo spesso citata senza l’intera sua premessa sopra richiamata e quindi troppo spesso ridotta ad una massima moralista

«Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona.» (Lc. 16, 13).

L’evangelista Luca, discepolo di san Paolo, era stato a diretto contatto con gli apostoli, dai quali aveva tratto molte delle notizie che, poi, insieme a quelle raccolte da Paolo stesso compendierà nel suo Vangelo, ed era stato in particolare in contatto con Maria, la Madre di Gesù, dalla quale ha desunto direttamente le notizie sulla nascita di Cristo (Luca è l’unico che le riporta in modo dettagliato, come chi ne ha ottenuto una segreta confidenza allo scopo di divulgarla). Sicché quando ci dice subito dopo aver riportato l’ammonizione di Cristo a guardarsi dal servizio a mammona, è indicativo della reazione che le Sue parole provocarono tra gli astanti

«I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui.» (Lc. 16, 14).

Esattamente come oggi: speculatori, banchieri, finanzieri, politici, multinazionali – ma anche, e non da oggi, cristiani “timorati di Dio” ma senza carità per il prossimo e perfino uomini di Chiesa – si beffano di Lui.

Ma san Luca riporta le dure parole di Cristo di fronte all’atteggiamento di sufficienza dei farisei

«Egli disse: “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio.» (Lc. 16, 15).

Sembra dunque che per i servi di mammona non ci sia nulla da sperare, che essi sono inesorabilmente dannati. In realtà, Nostro Signore, checché ne abbiano pensato eretici come Lutero e Calvino, non condanna nessuno per predestinazione, a tutti lasciando la libertà di scegliere tra la salvezza o la dannazione. Anzi, in generale, Dio non condanna nessuno ma sono gli uomini a scegliere, essi, da soli, la dannazione quando rifiutano l’Amore di Dio che si manifesta nell’amore del prossimo.

Agli apostoli che, preoccupati dopo quanto Egli aveva ingiunto al giovane ricco come condizione per la salvezza («Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel Cielo; poi viene e seguimi … difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli … è più facile che una gomena fatta di peli di cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» Mt. 19, 21-24), gli chiedevano chi mai avrebbe potuto salvarsi a quelle condizioni, Gesù rispose «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile» (Mt. 19, 26). E, commenta Matteo che fu presente agli avvenimenti narrati, dicendo questo Egli li fissava intensamente con lo sguardo. Ossia li penetrava nell’intimo con gli occhi.

Amos è stato, forse, il primo tra i profeti a parlare del “Giorno del Signore” non nei termini trionfalistici nei quali Israele, che si riteneva sempre giusto come se l’elezione fosse un proprio diritto e non un dono di Dio, lo immaginava ossia quale gloria politica della Nazione sui popoli gentili. Amos, invece, ne parlò in termini come questi

«Guai a coloro che attendono il giorno del Signore!

Che sarà per voi il giorno del Signore?

Sarà tenebra e non luce.

Come quando uno fugge davanti al leone

e s’imbatte in un orso;

entra in casa, appoggia la mano sul muro

e un serpente lo morde.

Non sarà forse tenebra e non luce

Il giorno del Signore,

e oscurità senza splendore alcuno?

Io detesto, respingo le vostre feste

e non gradisco le vostre riunioni;

anche se mi offrite olocausti,

io non gradisco i vostri doni

e le vittime grasse come pacificazione

io non le guardo.

Lontano da me il frastuono dei tuoi canti:

il suono delle tue arpe non posso sentirlo!

Piuttosto scorra come acqua il diritto

e la giustizia come un torrente perenne.» (Amos 5, 18-24).

Quanto Dio ha minacciato, mediante Amos, agli israeliti vale ancor di più, nella sua estensione universale, per noi tutti, non solo per i cristiani – caso mai per essi con maggior peso sulla bilancia della Giustizia divina – ma per tutta l’umanità che, dopo l’Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione di Nostro Signore, non ha più scuse.

Il discorso escatologico di Gesù riprende, e perfeziona, i temi già apparsi nella predicazione profetica dell’Antico Testamento. Il Giorno del Signore non sarà un trionfo dell’umanità “adulta” ma quello del Giudizio di Dio. Il metro che l’Altissimo userà ci è stato rivelato: l’amore a Dio ed al prossimo

«… dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.  Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avut sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai  ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a trovarti? Rispondendo … dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.» (Mt. 25, 34-40).

La scena si ripeterà in maniera analoga ma con esiti invertiti per coloro che, alla Sua sinistra, non hanno dato da mangiare all’affamato, non hanno dato da bere all’assetato, non hanno ospitato il forestiero né visitato il malato ed il carcerato. Anche costoro chiederanno, nel tentativo di discolparsi, quando mai lo hanno incontrato affamato, assetato, forestiero, malato o carcerato e non lo hanno soccorso. Ed anche a loro sarà risposto che Lui era in tutti gli affamati, assetati, forestieri, malati e carcerati che essi nella loro vita hanno incontrato nell’indifferenza.

«Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.» (Mt. 25, 41).

Perché nel Giorno del Signore

«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli  in ansia … le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.» (Lc. 21, 25-26).

Raccontano che, nel 312, prima della decisiva battaglia contro il rivale Massenzio, presso ponte Milvio, Costantino sognò o vide un “segno nel sole”. Leggenda? Suggestione? Allucinazione? Dalla psicologia oggi sappiamo che l’allucinazione può essere solo individuale, mai collettiva. Secondo la testimonianza di migliaia di persone che furono presenti all’evento, a Fatima, ed in molte altre apparizioni mariane, i “segni nel sole” ci sono già stati. Nel 1917 la Santissima Vergine Maria annunziò l’espansione del comunismo ed in genere dei totalitarismi ma anche il Trionfo del Suo Cuore Immacolato. Un Trionfo che, sebbene universale, non avrebbe non potuto riguardare in particolare proprio la “Santa Russia”, la nazione nella quale la devozione a Maria è forse la più forte. Il Trionfo annunziato nel 1917 a tre pastorelli portoghesi, che non sapevano neanche cosa fosse la Russia (pensavano fosse una donna particolarmente malvagia), lo possiamo oggi vedere già in atto nella rinascita spirituale e civile della Russia di Putin, nonostante l’odio per essa nutrito dall’Occidente protestante, ateo e nichilista.

Il comunismo ed i totalitarismi sono oggi ricordi del passato mentre domina in tutto il mondo l’ultimo nemico, una nuova forma, leggera e virtuale, di totalitarismo non per questo meno pericolosa di quelle passate: la finanza apolide e transnazionale, la finanziarizzazione del mondo che ha costruito la sua torre di babele chiamandola globalizzazione.

Un grande Papa del XX secolo, Pio XI, al secolo Achille Ratti, scrisse, profeticamente, tre encicliche. La prima, la “Mit brennender Sorge (“Con viva preoccupazione”) (10 marzo 1937), condannava il nazionalismo neopagano, con chiaro riferimento al nazismo ed, infatti, non a caso fu scritta in tedesco per essere portata di nascosto in Germania ed essere letta da tutti i pulpiti delle chiese cattoliche tedesche durante la Messa, per la rabbia di Hitler. La seconda, la “Divini Redemptoris” (19 marzo 1937), ammoniva i fedeli a guardarsi dal pericolo comunista ed in particolare dallo stalinismo. Nella terza, la “Quadragesimo Anno” (15 maggio 1931), pur dedicata ai problemi sociali, affrontati nell’ottica del suo tempo ma con postulati che lo superano e che pertanto sono perennemente validi, Papa Ratti individuò un terzo nemico che all’epoca già si era manifestato, provocando la grande crisi del 1929, ma che ai cattolici del momento, ed a quelli delle generazioni successive fino ad oggi, soverchiati dalla preoccupazione per gli altri due non è sembrato subito il più pericoloso. Che esso fosse il più pericoloso, perché più subdolo e suadente, possiamo capirlo oggi quando ormai le forme passate dell’Avversario, individuate e condannate nelle encicliche del 1937, sono venute meno e sono state storicamente superate. Ecco come Papa Ratti descriveva questo terzo nemico

«Nell’ordine poi delle relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò … non meno funesto ed esecrabile, l’internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro» (Quadragesimo Anno, n. 109)

aggiungendo a rinforzo

«E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento … Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare … Una tale concentrazione di forze e di potere, che è quasi la nota specifica della economia contemporanea, è il frutto naturale di quella sfrenata libertà di concorrenza che lascia sopravvivere solo i più forti, cioè, spesso i più violenti nella lotta e i meno curanti della coscienza» (Quadragesimo Anno, nn. 105, 106, 107).

In perfetta assonanza con la parabola evangelica dell’amministratore disonesto, Pio XI, nella “Divini Redemptoris”, ricordava che

«Tutti i cristiani, ricchi o poveri, devono sempre tener fisso lo sguardo al cielo, ricordandosi che “non abbiamo qui una città permanente, ma cerchiamo quella avvenire”. I ricchi non devono porre nelle cose della terra la loro felicità né indirizzare al conseguimento di quelle i loro sforzi migliori; ma, considerandosene solo come amministratori che sanno di doverne rendere conto al supremo Padrone, se ne valgano come di mezzi preziosi che Dio loro porge per fare del bene; (…). Altrimenti si verificherà di loro e delle loro ricchezze la severa sentenza di San Giacomo Apostolo: “Su via adesso, o ricchi, piangete, urlate a motivo delle miserie che verranno sopra di voi. Le vostre ricchezze si sono imputridite e le vostre vesti sono state ròse dalle tignole. L’oro e l’argento vostro sono arrugginiti; e la loro ruggine sarà una testimonianza contro di voi, e come fuoco divorerà le vostre carni. Avete accumulato tesori d’ira, per gli ultimi giorni…”» (Divini Redemptoris, n. 44).

Ma dove il riferimento profetico di Pio XI all’“imperialismo bancario ed internazionale del denaro” trova la sua perfetta assonanza con la Rivelazione, è in quanto l’Apocalisse, ossia il Libro dello svelamento del senso ultimo del dramma storico dell’umanità, ci dice della forma ultima e più compiuta, quella finanziaria, del Potere Globale che si oppone a Cristo, del Potere che è Anti-Cristo

«Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere quel marchio …» (Apocalisse, 13 – 16,17).

                                                                                                                          Luigi Copertino