Chi comanda nel mondo? Parte prima

Un amico, conversando davanti a un caffè, ci ha posto la domanda da un miliardo di dollari: chi comanda nel mondo? Ha aggiunto di non volere una risposta complessa e che gli interessa sapere nomi e cognomi. Vasto, arduo programma, rispondere a un quesito che ci tiene chini sui libri da anni; ancora più difficile indicare persone fisiche in un tempo in cui il potere – più oligarchico e chiuso che mai- ha una dimensione reticolare, in cui ogni snodo, ciascun anello è strettamente legato in una ragnatela che, tuttavia, ha un centro che può essere identificato.

Al nostro amico abbiamo ripetuto un concetto espresso da Giano Accame, grande giornalista e finissimo intellettuale: comandano coloro dei quali non si può dire male. Sembra una battuta – o un’elusione della risposta- e invece è il primo gradino per arrivare alla verità. In ogni ambiente- tutti ne abbiamo esperienza- c’è qualcuno (persona, gruppo, consorteria, grumo di interessi) di cui non si può dir male, pena le rappresaglie, la discriminazione, la punizione. Così funziona il mondo, in basso e in alto, alla faccia delle anime belle. Possiamo allora formulare un primo livello di risposta: comanda chi può far diventare legge o senso comune la propria volontà- applicando sanzioni a chi trasgredisce o dissente- ed è in grado di screditare prima, vietare poi, rendere illegale o pericoloso formulare critiche o sollevare obiezioni nei suoi confronti.

Non è – ancora- una risposta. Un altro livello di riflessione è in negativo: chi non comanda, ossia chi, in fatto e in diritto, non è in grado di esercitare un potere? Qui il setaccio si fa più fitto ed esclude una quantità immensa di soggetti: i popoli, i poveri, chi non possiede beni e istruzione, la stragrande maggioranza degli esseri umani, ma anche gran parte degli Stati teoricamente indipendenti che rappresentano le nazioni, le civiltà e le popolazioni del mondo. La risposta si fa meno opaca. Comandare, ossia decidere, governare, impartire disposizioni che dovranno essere eseguite o imposte coattivamente, significa non riconoscere- di fatto o in diritto- autorità superiori: la vecchia formula latina dell’auctoritas – o potestassuperiorem non recognoscens.

Appare dunque evidente quanto le istituzioni pubbliche, a partire dagli Stati nazionali- non comandino più. Qualche esempio relativo all’Italia: le leggi dell’Unione Europea – promulgate sotto forma di regolamenti- e ogni normativa comunitaria non solo sono inappellabili e immediatamente esecutive, ma abrogano ogni contraria disposizione nazionale. Il fatto più sorprendente è che – nonostante il dettato costituzionale assegni la sovranità al popolo (italiano) – è stata la stessa giurisdizione, con apposite sentenze, a spogliarsi della potestas per statuire la superiorità del diritto comunitario, detto acquis, norma, ma anche conquista acquisita una volta per tutte.

La Repubblica non ha più un potere legislativo autonomo: la costituzione è un foglio di carta o un libro dei sogni. Niccolò Machiavelli, fondatore della scienza politica, riteneva che i fondamenti della sovranità dello Stato fossero l’esercito e la moneta. Nessuno può negare che le nostre forze armate siano dirette dai comandi della NATO, il cui vertice sta negli Usa. Attraverso la copertura atlantica, gli Usa possiedono in Italia almeno cento basi militari, alcune delle quali dotate di armi atomiche che sfuggono al controllo italiano. Tutte sono giuridicamente extraterritoriali e i reati militari non possono essere perseguiti, come sa chi tentò invano di portare alla sbarra gli aviatori americani che distrussero la funivia del Cermis a Cavalese, con vittime e danni. Discutere non diciamo l’appartenenza alla Nato, ma i suoi termini, è sostanzialmente vietato in Italia e pone chi ci prova fuori dal dibattito politico, al limite della criminalizzazione. Basterebbe questo per far disperare Machiavelli.

 Il peggio è tuttavia l’inesistenza della sovranità monetaria, ossia il controllo privato e straniero dell’emissione e circolazione della moneta legale. Il bastone del comando è nelle mani di chi crea il denaro dal nulla, attribuendosene la proprietà: i banchieri. Il primato del denaro sulla dimensione pubblica è stato conquistato dai “mercati”, pseudonimo del potere finanziario di pochi giganti, con la creazione delle banche centrali di cui essi hanno assunto il controllo, appropriandosi della fonte primaria del comando: l’emissione della moneta. Finti enti pubblici per mascherarne la natura di giganteschi poteri privati in mano ai signori del denaro, le banche centrali sono controllate dalla cupola della finanza internazionale e godono di privilegi e immunità ben celate al grande pubblico.

Il trucco non è soltanto la difficile comprensione del concetto di monetazione come creazione ex nihilo– ma la diffusione di un’ideologia economica e finanziaria presentata come scienza esatta- benché arcana nei fondamenti- in base alla quale solo le “autorità monetarie”, altro nome d’arte dei signori privati del denaro, hanno le competenze, la capacità e l’esperienza per creare, distribuire e dirigere i flussi monetari. Di qui la pretesa di indipendenza (ossia onnipotenza e assenza di controllo) del sistema delle banche centrali, che, dicono i loro statuti approvati dagli Stati, “non possono sollecitare o ricevere consigli o disposizioni”, formula acrobatica per mettere nero su bianco il diritto di fare ciò che vogliono.

Chi si azzarda a dir male dei “mercati”, totem e tabù del nostro tempo? Tanto meno delle banche centrali, i cui mitizzati centri studi distillano un indiscutibile sapere quasi esoterico, una dogmatica non dissimile da quella della Chiesa del passato. Peraltro – per restare in patria- gran parte dei connazionali non sa che la Banca d’Italia (oggi semplice socio della BCE) mente sin dalla denominazione: non solo non è pubblica- come farebbe pensare il nome- ma non è neppure italiana, giacché i suoi azionisti, detti pudicamente partecipanti, sono in maggioranza istituiti privati controllati da banche estere, a cominciare da Unicredit e Intesa-San Paolo.

Mayer Amschel Rothschild, l’uomo che creò l’immenso potere della dinastia che porta il suo nome- una delle monarchie ereditarie senza corona che dominano il mondo- affermò una volta: permettetemi di emettere e controllare la moneta di una nazione e non mi importa chi fa le sue leggi. Chi osa criticare il sistema bancario e finanziario, padrone degli intoccabili mercati, depositari di un potere arcano e di conoscenze iniziatiche? I mercati, afferma una vulgata indiscutibile, votano tutti i giorni e vogliono la santa “stabilità”, cioè un sistema immobile che perpetua se stesso.

Ovvio: comandano loro e le critiche, gli attacchi, il rancore popolare è opportunamente deviato sui governi e i politici, amministratori delegati pro tempore del potere finanziario. Il voto popolare “libero e universale” è una finzione, una farsa a uso degli ingenui. Il potere del denaro svuota le democrazie: chi pensate che vinca – indipendentemente da programmi e slogan- tra un partito o un candidato provvisto di fondi e un altro che ne è privo? E chi ha più denaro da gettare nella competizione drogata di coloro che lo creano con un tratto di penna, un clic sulla tastiera del mega computer?

Eppure, mentre è possibile, spesso istigato ed eterodiretto, l’attacco ai politici, esecutori di ordini superiori, camerieri e sguatteri dei cosiddetti “poteri forti”, quasi nessuno attacca le intangibili “autorità monetarie”, il sistema bancario, i mercati sovrani e le oligarchie finanziarie che pagano l’orchestra e decidono la musica.

Un’altra lezione di Accame sull’identificazione di chi comanda riguarda coloro a cui paghiamo, in un modo o in un altro, le tasse. Teoricamente, lo Stato. In realtà gran parte del denaro che ci viene sottratto legalmente è destinato a pagare il debito pubblico, anzi gli interessi da cui è gravato. Infatti, nonostante l’esproprio a monte, ossia la sovranità monetaria conferita al sistema finanziario privato e il relativo, gigantesco falso in bilancio, l’Italia ha un saldo primario (la differenza tra le entrate e le uscite) attivo sin dagli anni Novanta, mentre il debito pubblico continua ad aumentare a causa degli interessi, estorti con la truffa del debito, dovuto a chi si è arrogato la proprietà iniziale del denaro. Gli interessi pagati nell’ultimo trentennio al sistema usurario sono quasi pari all’intero debito accumulato. Nessuno Stato, dal dopoguerra, lo ha mai ripagato interamente: ragioni aritmetiche.

Napoleone, che pure esportò in armi la rivoluzione francese borghese e mercantile, disse: “quando un governo dipende dai banchieri per il denaro, questi ultimi, e non il governo, controllano la situazione, dato che la mano che dà è al di sopra della mano che riceve”. E il generale corso aveva l’esercito e lo Stato…  Un grande politico e legislatore, Thomas Jefferson, padre della costituzione americana, lottò con tutte le forze contro il potere finanziario che allungava gli artigli sulla nuova nazione. “Credo che, per la nostra libertà, le istituzioni bancarie rappresentino un pericolo più grande degli eserciti. Se i cittadini americani permettessero ad esse di controllare l’emissione della valuta, le banche toglierebbero loro ogni proprietà, fino a quando i loro figli si sveglierebbero senza più una casa. “

Il sistema finanziario è un’oligarchia “estrattiva”, nel senso che estrae la ricchezza dei popoli e dei cittadini comuni per trasferirla a se stessa, un drenaggio verso l’alto che tutto divora. Un esempio è la recente norma dell’UE- voluta dalla lobby finanziarie e industriali convertite per interesse a un’equivoca ideologia green – che esproprierà di fatto la casa di abitazione se non verranno eseguite costose innovazioni “energetiche”. Chi non ci riuscirà- dopo essersi indebitato con i soliti usurai- dovrà cedere per quattro soldi la sua proprietà agli iperpadroni, che stanno cercando di convincere che non avere nulla è la suprema felicità, alla quale però essi si sottraggono. Singolari filantropi.

In Italia vi è un’ulteriore tassa, un’estrazione in più: il pizzo pagato dalle attività economiche alle mafie. Chi può esigere tasse comanda e naturalmente, non gradisce che si parli male di lui. Pericoloso è contrastare le mafie, ma anche rivelare il potere del sistema finanziario e lo storico inganno del debito con cui stringe ogni giorno il cappio attorno al collo degli Stati, dei popoli, delle persone. Per non parlare della difficoltà di parlar male di un’altra estrazione a nostro danno, l’inganno del denaro elettronico. Al di là di ogni considerazione legata alla libertà e alla sorveglianza, pochi citano l’immenso profitto di milioni di commissioni- anche piccole e minime- applicate alle nostre transazioni. I beneficiari sono i soliti, ed è a loro che paghiamo un’ulteriore imposta.

Un saggio amico di origini contadine usa ripetere: se non paghi a lino, paghi a lana; le vittime siamo sempre noi che non comandiamo.

Tuttavia, per costruire un antagonismo c’è bisogno di identificare i volti di chi comanda. La risposta vaga, impersonale, che il mondo – e naturalmente l’Italia- è in mano dell’oligarchia finanziaria non soddisfa e non significa molto agli occhi della gente, vittima dei giochi di prestigio, delle menzogne e di un raffinato bombardamento psichico e mediatico al cervello rettiliano e all’area limbica, istintuale, dell’encefalo. Inoltre, è una verità parziale. Il potere è ramificato e raffinatissimo: non può essere liquidato con un’accusa a carico del solo sistema finanziario. Il dominio ha molti rivoli e comanda chi è in grado di determinare le opinioni, le visioni del mondo, le parole per esprimerle, le agende da seguire in economia, politica, nella società e nella vita quotidiana, nei gusti e nella cultura in senso lato. Ancora una volta, sono coloro di cui è vietato, sconveniente e pericoloso dire male. Ne parleremo nella seconda parte del presente elaborato, con la sconsiderata promessa di non censurare noi stessi.

Immagine fuori testo: