ECCO QUANTO E’ NORMALE LA VITA DEGLI INVERTITI

La mattina dopo l’omicidio, Prato ha tentato il suicidio rivelando in alcune lettere il desiderio sempre nutrito di operarsi e “diventare” donna. Lo psichiatra Massimo Di Giannantonio, docente presso l’Università di Chieti, ha spiegato che «in questi casi ci troviamo di fronte ad un disturbo grave dell’identità di genere unito a una omosessualità egodistonica, elementi che incidono sull’equilibrio psicopatologico e possono portare l’individuo a un tentativo di ‘automedicazione’ con sostanze psicoattive come la cocaina». Sempre su Dagospia, si legge: «A Prato piacevano assai le “notti sbagliate”. Quelle in cui all’alcol e al sesso si univano abbondanti dosi di coca e di GHB. Quest’ultima è la droga “frocia” che in questo periodo va per la maggiore tra l’upper-class gaya meneghina e capitolina». Non va meglio a Milano, al noto locale gay Muccassassina: «al primo piano esiste una vasta e accogliente dark room, dove si consumano rapporti sessuali fugaci e anonimi, squallidi e sudati, ma che sono parte integrante, almeno per alcuni, di un rito settimanale che ha la sua liturgia», rivela Il Fatto Quotidiano.
Quello che è arrivato alle cronache nazionali è uno spaccato reale di vita gay, dello stile di vita di molti omosessuali militanti. Lo ha ammesso il già citato Marco Pasqua, omosessuale dichiarato e vice capo della cronaca de Il Messaggero: «Sono preoccupato, così come lo è la comunità LGBT romana. Marco era “uno di noi”. Nel senso che faceva la vita che molti gay facevano, al netto di certi eccessi: penso a quello della droga». E’ stato Pasqua a legare il caso alle folli serate arcobaleno: «Racconto un mondo che  tutti i gay conoscono. Un mondo in cui navigano anche gli etero (repressi), quelli a caccia di transessuali, ma che potrebbero anche passare una notte con dei ragazzi gay. E’ una realtà borderline. La comunità ha paura che si raccontino cose che tutti conoscono. Che si scoperchi il vaso di Pandora. Tutti sanno, ma è meglio non parlarne».
Non sembra essere soltanto una caratteristica italiana. Simon Fanshawe, importante scrittore omosessuale e inglese, ha affermato: «noi uomini gay viviamo la vita da adolescenti, ancora ossessionati dal sesso, dai corpi, dalle droghe, dalla gioventù, e dall’essere “gay”. Abbiamo combattuto discriminazione e pregiudizio, ma solo per arrivare distruggere noi stessi con droghe e sesso selvaggio. Abbiamo normalizzato la prostituzione. E’ praticamente un percorso obbligato per qualsiasi ragazzo. Siamo assetati di vanità, abbiamo organizzato la nostra identità intorno al sesso e questo è deleterio. Così la promiscuità e la droga sono diventate la norma». Lo stesso ha rivelato Matthew Todd, drammaturgo e redattore della rivista gay inglese “Attitude”: «C’è questo luogo comune che passiamo tanto tempo a fare festa, ma in realtà noi lo sappiamo bene e le ricerche ora lo dimostrano: c’è un inferno di gay infelici, un alto numero di depressi, ansiosi e con istinti suicidi, che abusano di droghe e alcol e che soffrono di dipendenza sessuale, tassi molto più elevati di comportamento auto-distruttivi. La vita gay è incredibilmente sessualizzata. I ragazzi entrano in questo mondo sessualizzato dove c’è un sacco di alcol e un sacco di droga, non c’è nulla di sano, dolce o rilassato». Pochi giorni fa, altro esempio, il più noto attivista Lgbt in Germania, il politico Volker Beck (leader dei Verdi), è stato arrestato mentre lasciava l’appartamento di uno spacciatore, con addosso 0,6 g di Crystal Meth, droga usata nel “chemsex”, una sorta di sesso estremo e compulsivo praticato sopratutto in ambito omosessuale (lo stesso che praticava Marco Prato). Beck è anche noto per aver inneggiato alla depenalizzazione dei contatti sessuali con i bambini.
Queste persone, al di sopra di ogni sospetto, parlano ed accusano esplicitamente la “vita gay”, la “comunità gay”, mentre sappiamo bene che non esiste una vita o una comunità etero. Possono farlo perché quella omosessuale è una realtà numericamente piccola, dove pochi casi diventano statisticamente rilevanti, sopratutto se accade quello che questi attivisti Lgbt raccontano. In ogni caso, tornando all’omicidio del giovane Varani, seppur nella cronaca degli ultimi dieci anni esistano pochi casi di tale efferatezza psicopatica, ha comunque ragione chi chiede di non generalizzare, di non colpevolizzare tutti gli omosessuali per quanto avvenuto (anche se poi chi lo chiede è il primo a colpevolizzare tutti i sacerdoti quando qualcuno di essi commette il crimine della pedofilia). Sarebbe ingiusto e irragionevole.
Ma è evidente che il tema qui è lo stile di vita di molti attivisti Lgbt, quello di chi si trova per picchiare le Sentinelle in Piedi, per impedire i convegni sulla famiglia, di coloro che diffondono odio sui Twitter (e che poi magari pretendono pure l’adozione dei bambini). Se non fosse così, la comunità gay non sarebbe preoccupata «che si raccontino cose che tutti i gay conoscono», come affermato dal giornalista omosessuale de Il Messaggero. Uno stile di vita, leggiamo, che solitamente crea «un inferno di gay infelici» ma che in questo caso ha prodotto anche due mostri umani. Anzi, l’inferno vero e proprio, colorato dalle gioiose tinte della bandiera arcobaleno.