L’anno del procione, l’era del coniglio.

di Roberto PECCHIOLI

In Cina, ogni anno è denominato simbolicamente attraverso gli animali. Il 2020 è stato l’anno del topo (il pipistrello di Wuhan altro non è che un topo con le ali…) mentre quello corrente è l’anno del bufalo. In Europa il 2020, anno primo dell‘era pandemica, è stato l’anno del procione. In una grande nazione europea, la Germania, il governo ha diffuso un video ufficiale relativo al Covid 19, diventato popolare anche nel resto d’Europa, ambientato in un lontano futuro, in cui la voce narrante è di un vecchio che racconta un’esperienza giovanile in forma di apologo.

“Era l’inverno del 2020 quando tutti gli occhi del paese si rivolsero verso di noi. Avevo appena compiuto ventidue anni, studiavo ingegneria a Chemnitz quando arrivò la seconda ondata. Ventidue anni, l’età in cui vuoi far festa, studiare, conoscere nuove persone e tutto il resto. Andare a bere con gli amici. Il fato però aveva un piano diverso per noi. Un pericolo invisibile minacciava tutto ciò in cui credevamo. Improvvisamente, il destino del paese fu nelle nostre mani. Radunammo tutto il nostro coraggio e facemmo quello che ci si aspettava da noi, l’unica cosa giusta da fare: niente. Assolutamente niente. Fummo pigri come procioni. Notte e giorno abbiamo tenuto le chiappe a casa. È così che abbiamo combattuto contro la diffusione del virus. Il divano era il nostro fronte, la pazienza era la nostra arma. Sai, ogni tanto sorrido quando ripenso a quel periodo. Quello fu il nostro destino. Così diventammo eroi. Nell’inverno del coronavirus del 2020.”

Pigri come procioni, gli europei terminali diventano per questo “eroi”. Viene voglia di dare ragione a un altro tedesco, il drammaturgo comunista Bertolt Brecht: beato il popolo che non ha bisogno di eroi. Beninteso, se sono di questo tipo. Oblomov sul trono, l’immobilità come epopea, l’obbedienza come sfondo: “facemmo quello che ci si aspettava da noi “. Per riuscirci, dovettero ricorrere a “tutto il loro coraggio”. Tempo di procioni e di conigli, la paura eretta a virtù e la sequela dei padroni del gregge innalzata a modello di comportamento.  Difficile immaginare un inno alla decadenza, alla mediocrità e al conformismo più potente del pistolotto “educativo” dell’ex ragazzo del 2020. Enorme il disprezzo diffuso per l’attività, il lavoro, l’impegno.

Il procione è l’eroe dei nostri giorni per la sua pigrizia, come il coniglio, con il suo timore, il nascondimento e l’indole imbelle diventa l’immagine di un’era che fa della paura, della pura sopravvivenza, un ideale positivo, addirittura un modello proposto ai giovani.  E’ una malattia in più, non solo un effetto collaterale del Coronavirus: l’uomo-procione si sta ammalando di accidia, il settimo peccato capitale, il virus è sparso dall’alto, gli untori sono al potere. Il vero superlavoro non sarà dei virologi, ma degli psicoterapeuti alle prese con generazioni depresse, impaurite, confuse. Si resta esterrefatti per la coincidenza dei nuovi (dis)valori capovolti con la neolingua di Orwell: oggi la paura è coraggio, ieri “la verità è menzogna, l’ignoranza è forza, la guerra è pace”.

L’origine della nostra civiltà è nel racconto del Genesi: Adamo, il primo ribelle, deve procurarsi da vivere col sudore della fronte. Non si tratta di un castigo, ma di una condizione antropologica. A un’attività che sottopone a sforzi, pericoli ed impegno corrisponde un determinato sviluppo cerebrale e morale. Allo stare sul divano ne corrisponde un altro, ben più misero. Stiamo perdendo per sempre una generazione istupidita dallo stop generalizzato, costretta sul divano davanti a uno schermo, passiva, mero recettore di immagini, contenuti e idee elaborate altrove, privata della scuola e del contatto con i coetanei – l’indispensabile “gruppo dei pari “- e con l’educazione dei maestri. Più ignoranti, meno intelligenti e creativi, timorosi della scoperta e dell’esperienza, diventati rischi da evitare. Giovani bloccati e chiusi: colpevoli se affollano le strade della “movida” (che significa esattamente movimento); definiti di volta in volta intollerabili, irrazionali, ingiustificabili i loro “assembramenti” che non sono altro che volontà di vivere. Spaventa la povertà del traguardo imposto. Rinserrato in casa, connesso a pc, smartphone e televisione, l’uomo – e in particolare il giovane – è invitato non avere altri obiettivi oltre alla tutela della salute. Il senso della vita diventa allontanare la morte, l’indumento indispensabile è la maglia di lana.

Quali imprese, quali progetti, immaginerà la generazione dei procioni, delle pecore e dei conigli? La grandezza degli uomini e dei popoli sta nell’esempio, nell’adozione di modelli elevati da imitare e superare. Se il modello è Oblomov l’immobile, il destino è segnato, virus o non virus. C’è di più: è la prima volta il governo di una grande nazione europea definisce coraggio il blocco, l’inazione, l’attesa passiva di qualcosa di salvifico che sblocca la situazione. Tutto viene da “fuori”, anche la fine del virus, per scomparsa, esaurimento o immunizzazione. Noi aspettiamo, rinchiusi ma connessi. La relazione con l’esterno è la voce del potere, il fischio del pastore, degli impresari del terrore. Ricordate il vecchio logo di una casa discografica, il cane felice accanto a un grammofono dalla cui tromba esce la voce del padrone?

Che uomini e donne si formeranno al tempo del procione? Certo nessun eroe, pochi dissenzienti e ancor meno personalità libere di cuore e di animo. La società che stanno creando – con la complicità di un’epidemia che sempre più appare lo strumento gradito, se non provocato, di un preciso progetto di ingegneria sociale – impedirà, almeno a medio termine, qualsiasi cambio di direzione rispetto al cammino tracciato dall’alto, chiamato Agenda 2030. Ogni popolo, affermò Joseph de Maistre, ha il governo che merita. Nessun vittimismo, nessun destino cinico e baro. Nessun procione è mai andato al potere e ha cambiato il mondo, il coniglio non organizza ribellioni.

Privato di trascendenza e di destino, cancellata l’immaginazione, l’uomo-procione perde la sua identità e la sovranità su se stesso. La parola d’ordine è accettare tutto stando immobili, obbedire con lo stesso zelo con cui ieri si aborriva il divieto. Quanto all’immaginazione al potere, chiusa per cessata attività: che cosa può immaginare il procione, se non attendere il bollettino terroristico quotidiano del virus, rabbrividire, chiudere a doppia mandata finestre e chiamare coraggio la rinuncia a vivere? La parola d’ordine è accettare tutto senza avere in cambio nulla che non sia la speranza della sopravvivenza biologica. Stanno plasmando una generazione di zombie impauriti, ma dimenticano che l’anima umana possiede una volontà e una scintilla divina. Per quanto legioni di pompieri si impegnino a spegnerlo, un fuoco tenace coverà anche sotto la cenere della tana dei procioni.

La vita è un continuo rischio, una prova da superare ogni momento. Non si può evitare il rischio così come non è possibile scansare indefinitamente il dolore, altro incubo della società analgesica. La rimozione del pericolo, dell’incognito, del dolore e della morte per costruire un Eldorado di piacere, sonnolenza e tranquillità restano sogni impossibili: l’immunità che esigiamo è immaginaria. Anche il procione, ignaro eroe dei giorni nostri, alla fine muore. La vita non è una malattia: trascorrerla nel liquido amniotico, a debita distanza dal prossimo, non ci renderà immortali. E’ sicuramente troppo riuscire a far sì che “ciò su cui non possiamo nulla, nulla possa su di noi”, arduo programma esistenziale a cui esortava Julius Evola, ma è vero quanto fa dire Shakespeare a Giulio Cesare: chi ha paura muore mille volte, chi ha coraggio una sola.

Questa incredibile sottocultura della bambagia e della protezione ad ogni costo ha trovato la sua fata turchina, tedesca come i teorici dell’uomo-procione: è la presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, che distilla ovvietà con il tono pensoso di chi enuncia verità ultime e arcane. Stiamo entrando in un’era delle pandemie e anche dopo il Covid il rischio resta, ecco il geniale apoftegma di Ursula, matrigna e padrona premurosa degli europei regrediti a procioni. Malattie e pandemie ci sono sempre state, è ragionevole immaginare che sì, il rischio sanitario resterà un compagno inseparabile della vicenda umana. Sempre ci fu la paura, ma non diventò mai scenario alimentato dal potere. Oggi domina chi riesce a terrorizzare le masse sino a istituire una sorta di potere delle fobie, “fobocrazia”. I virus – ben più letali del Covid 19-  hanno accompagnato ogni epoca, ma è la prima volta che la stravolgono nella pratica e nell’essenza, pur avendo oggi l’umanità strumenti più potenti per combatterli. La signora Von der Leyen-  maschera da fata turchina e condotta da Crudelia Demon- semina panico calcolato ai procioni di ogni età seduti in poltrona per decreto.

Se “il rischio resta”, vaccino o no, immunizzazione di gregge o meno, non si tornerà alla “normalità” di ieri. Ad ascoltarli restando svegli, non assopiti nella tana, i superiori parlano chiaro. L’ incubo virale rimarrà e, attraverso la dolce signora della Commissione Ue, l’oligarchia ci offre la sua “protezione”. Non è lo stesso atteggiamento della mafia nei confronti di coloro a cui estorce il pizzo? La loro protezione passa per il nostro silenzio e la riduzione a conigli impauriti. La leva è la stessa della criminalità organizzata: la paura. Potere del panico, fobocrazia in cui domina chi diffonde, alimenta e gestisce il timore di massa. L’apocalisse durerà a tempo indeterminato perché così hanno deciso in alto loco: che bello- per chi sta lassù- un mondo di procioni in maschera!

Chi vive nel panico non ragiona, obbedisce in nome della pellaccia. E’ la fifa, la vecchia fifa. Il potere lo sa e spegne con secchi d’acqua gelata il fuoco della speranza generata dai vaccini. La tecnica non è nuova: creare paura, diffondere ansia, minacciare e poi in qualche misura tranquillizzare. Il poliziotto buono e quello cattivo. Chi ha seminato il veleno, possiede l’antidoto, ma esige sottomissione. Studia da quasi un secolo le tecniche di persuasione di massa, ha elaborato strategie di dominio raffinatissime, in fondo facili da mettere in pratica, se si possiede o controlla l’istruzione, la cultura e si impone, come si dice dopo Lyotard, la “narrazione”.

Le regole del controllo sociale sono note: Noam Chomsky ne ha elencate dieci. La prima è la strategia della distrazione – la possiamo anche definire dell’ignoranza pianificata- e consiste nel deviare l’attenzione dai cambiamenti decisi dalle élites economiche e tecnologiche e messi in pratica dal sottostante livello politico, inondando il pubblico di informazioni insignificanti o addirittura false, credute per ripetizione. Essenziale è creare problemi, per offrire poi le soluzioni, che devono essere invocate ed introiettate con un sospiro, inevitabili e necessarie. Ci si deve rivolgere la pubblico come a dei bambini – o a dei procioni – per determinare una reazione infantile, facilmente controllabile e manipolabile.  Si deve usare il registro emotivo, non invitare alla riflessione, provocare un cortocircuito di istinti che allontani l’analisi razionale. L’uso del registro emotivo permette di aprire la porta dell’inconscio per impiantarvi idee, desideri e paure e timori.

Occorre mantenere la gente nella mediocrità che impedisce di comprendere, perfino di sospettare l’esistenza di tecniche e i metodi per il controllo e la dominazione. Indurre ad essere volgari, stupidi ed ignoranti- procioni addormentati- è un’altra delle tecniche del potere, che rafforza la colpevolizzazione di sé. Il procione è responsabile delle sue disgrazie: non è rimasto abbastanza fermo, non si è “distanziato” sufficientemente, non ha seguito a dovere le istruzioni diffuse a reti unificate. Senza azione, peraltro, non c’è rivoluzione, o almeno dissenso organizzato. Nessun cambiamento è mai stato provocato da popolazioni chiuse tra le mura domestiche.  L’ultima regola di Chomsky è una constatazione: il potere ci conosce assai meglio di quanto noi stessi ci conosciamo.  Questo è ancora più vero al tempo della sorveglianza digitale, della profilazione e della predittività dei comportamenti attraverso l’uso delle tecnologie informatiche e dalla generalizzazione di modelli matematici sempre più sofisticati.

Ha una certa importanza anche l’introduzione di concetti come la cosiddetta piramide di Maslow.  Lo psicologo statunitense Abraham Maslow teorizzò una gerarchia di bisogni o necessità posti su cinque livelli crescenti. Il potere ha lavorato con grande successo per intrappolare la stragrande maggioranza degli esseri umani nei due livelli di base; la soddisfazione dei bisogni fisiologici (fame, sete e simili) e i bisogni di salvezza, sicurezza e protezione. Viene progressivamente estirpata la parte più nobile della natura umana, che richiede appartenenza, affetto, identificazione, e, sempre più su, stima, prestigio, successo e autorealizzazione.

All’animale bastano i bisogni alla base della piramide: per questo dall’alto hanno diffuso il modello del procione.  Lo stesso Chomsky, ben prima dell’attuale crisi, osservò che se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni, ci accorgiamo che stiamo subendo una lenta deriva alla quale ci abituiamo. Un sacco di cose che ci avrebbero fatto orrore venti, trenta o quarant’anni fa, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate e oggi ci disturbano solo leggermente o lasciano indifferenti gran parte delle persone. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente e inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute”.

L’accelerazione impressa da febbraio 2020, inizio dell’era virale, è impressionante. Abbiamo ancora la capacità di accorgercene e reagire o- per restare alle metafore zoologiche- la rana è bollita a puntino e non è più in grado di saltare fuori dalla pentola? Dalla risposta dipende il successo della nostra riduzione a plebe animalizzata in cattività. Da uomini a procioni.