In due foto l’essenza di Israele

Di Matteo D’Amico

Ecco due foto di un giovane palestinese di Ramallah, Farouq Khatib che è stato rapito dalle forze di sicurezza israeliane; si tratta di arresti (ma appunto è più esatto chiamarli rapimenti) che avvengono quotidianamente da decenni, fatti spesso, se non nella maggior parte dei casi, senza alcuna colpa da parte dell’arrestato, fermando le persone a caso: si tratta di una strategia volta a scoraggiare e deprimere il popolo palestinese, a farlo sentire sottomesso e schiacciato, a mantenerlo in uno stato di costante terrore. La persona rapita viene detenuta con misure puramente amministrative, senza alcun processo, né udienza davanti a un giudice, senza poter sentire né un avvocato, né i familiari. In pratica gli arrestati sono dei “desaparecidos”, degli scomparsi. In un caso recente in Cisgiordania un ragazzo che si è rivolto a dei soldati per denunciare l’uccisione di suo fratello da parte di coloni armati, anziché essere ascoltato, è stato immediatamente arrestato con l’accusa di sostenere Hamas.

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Per i palestinesi rapiti dall’IDF o dalla polizia israeliana non vale dunque l’ “habeas corpus”, non hanno quindi alcuna tutela giuridica e vengono chiusi senza nessuna speranza in campi di detenzione che spesso sono veri e propri lager. Qui ogni abuso non solo è accidentalmente possibile, ma è norma quotidiana: percosse violente, pestaggi di gruppo, essere lasciati ammanettati mani e piedi per giorni, privazione del sonno con luci molto forti lasciate accese tutta la notte, denudamento e umiliazioni o violenze sessuali sui prigionieri, privazione o grave riduzione del cibo, fornitura di cibi avariati o ripugnanti, privazione dell’acqua, minacce, urla continue, getti d’acqua gelata nelle celle addosso ai detenuti; una particolare tortura è praticata dalle guardie israeliane (la insegnarono anche agli americani ad Abu Graib in Iraq, dove operarono diversi aguzzini israeliani): legare i detenuti alle sbarre della cella, a un letto o a qualsiasi altro oggetto in posizioni particolarmente scomode e dolorose per molte ore o giornate intere, col rischio di portare la vittima a vere e proprie crisi psicotiche oltre che a gravi danni fisici. E queste pratiche sono universali, le usano contro giovani e vecchi, donne e bambini (Israele detiene centinaia di bambini). Particolarmente opprimente il divieto assoluto di parlare fra i detenuti, punito con violenza alla minima trasgressione. A Gaza o nelle immediate vicinanze sono stati apprestati campi di prigionia dove i detenuti sono esposti a violenti getti di aria condizionata o avvolti in grandi fogli di cellophane e brutalmente percossi.

Non raramente fra i prigionieri palestinesi si hanno casi di morte durante le sessioni di tortura o i pestaggi. Fa parte delle tecniche di oppressione dei torturatori israeliani anche non curare i feriti o impedire l’accesso ai medicinali a pazienti di gravi sindromi. Arrivano a non rilasciare prigionieri all’ultimo stadio di forme gravissime di cancro, restituendoli alla famiglia in agonia o pochi giorni prima del decesso o, semplicemente, comunicandone la morte. Fra l’altro istituzioni palestinesi da molto tempo denunciano come nelle carceri israeliane è insolitamente alto il numero di detenuti palestinesi che si ammalano e muoiono di cancro (svariate centinaia) e vi è il fondato sospetto che possano essere fatti ammalare intenzionalmente dalle autorità.

A questo quadro già mostruoso di crimini -lo ripetiamo, commessi fra l’altro verso persone spesso semplicemente sospettate e non condannate da alcun tribunale, ovvero, in pratica, verso innocenti- si aggiunge la distruzione con i bulldozer della casa della famiglia del sospettato, che con un preavviso di mezz’ora o di un’ora viene invitata a lasciare l’abitazione. E ciò prima di ogni sentenza di condanna. E tutto questo avviene dalla Nakba del 1948, da 75 anni senza interruzioni, anzi con violenza crescente. Non solo dunque Israele occupa terre non sue che ha rubato al popolo palestinese, ma opprime i palestinesi a casa loro, imponendo un regime d’occupazione che ricorda le peggiori realtà coloniali africane dell’Ottocento. Oggi Israele è l’unico stato del mondo formalmente razzista e fondato sull’apartheid della popolazione nativa palestinese.

Ora tornate a guardare il volto di questo giovane palestinese: guardate il suo sorriso, la sua floridezza di ventenne nella prima foto, il suo gioioso aprirsi alla vita. Guardate ora la seconda foto: dopo solo tre mesi nei campi di concentramento israeliani è dimagrito paurosamente, è un fantasma, ma questo non è il peggio; guardate i suoi occhi, come sono spenti, opachi, vuoti; il suo sguardo è assente, perso forse nel ricordo degli orrori che ha dovuto vedere e subire a vent’anni, senza motivo e senza colpe, se non quella di essere palestinese. E’ un uomo distrutto nell’anima, prima che nel corpo dalle torture e dagli abusi, dalle umiliazioni e dai maltrattamenti che ha subito senza potersi opporre e senza capire il perché. L’inferno, a volte, è l’impossibilità della ragione.

Ecco ciò in cui è davvero specialista l’ “unica democrazia in Medio Oriente”: la tortura e la distruzione morale degli “animali in forma umana”, delle razze inferiori; lo sterminio, ora più lento e nascosto, ora a Gaza più rapido e scoperto, del popolo palestinese.

Durante le prime sei settimane di guerra a Gaza, Israele ha usato abitualmente una delle sue bombe più grandi e distruttive in aree che aveva designato sicure per i civili, secondo un’analisi di prove visive del New York Times.

L’indagine video si concentra sull’uso di bombe da 2.000 libbre in un’area del sud di Gaza dove Israele aveva ordinato ai civili di spostarsi per sicurezza. Sebbene bombe di queste dimensioni siano utilizzate da diversi eserciti occidentali, gli esperti di munizioni affermano che non vengono quasi più sganciate dalle forze statunitensi in aree densamente popolate.

Alla fine, l’indagine ha identificato 208 crateri nelle immagini satellitari e nei filmati dei droni. A causa delle immagini satellitari limitate e delle variazioni degli effetti di una bomba, è probabile che ci siano stati molti casi che non sono stati catturati. Ma i risultati rivelano che le bombe da 2.000 libbre rappresentavano una minaccia pervasiva per i civili che cercavano sicurezza nel sud di Gaza.

In risposta alle domande sull’uso della bomba nel sud di Gaza, un portavoce militare israeliano ha dichiarato in una dichiarazione al Times che la priorità di Israele è distruggere Hamas e “questioni di questo tipo saranno esaminate in una fase successiva”. Il portavoce ha anche detto che l’I.D.F. “prende precauzioni fattibili per mitigare i danni ai civili”.

Ma i funzionari statunitensi hanno detto che Israele dovrebbe fare di più per ridurre le vittime civili mentre combatte Hamas. Il Pentagono ha aumentato le spedizioni a Israele di bombe più piccole che considera più adatte ad ambienti urbani come Gaza. Tuttavia, da ottobre, gli Stati Uniti hanno anche inviato più di 5.000 munizioni MK-84, un tipo di bomba da 2.000 libbre. https://www.nytimes.com/2023/12/21/world/middleeast/israel-gaza-bomb-investigation.html

NY Times (https://www.nytimes.com/2023/12/21/world/middleeast/israel-gaza-bomb-investigation.html)
A Times Investigation Tracked Israel’s Use of One of Its Most Destructive Bombs in South Gaza
A Times visual investigation reveals that one of Israel’s largest munitions was regularly being dropped in areas designated safe for i