«I giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segni ci mostri per fare queste cose?”. Rispose loro Gesù: “Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gli dissero allora i giudei: “questo Tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Ma Egli parlava del Tempio del Suo Corpo». (Gv. 2,18-21).
Il Tempio per l’ebraismo del I secolo era il luogo della Shekhinah di Dio ovvero il luogo nel quale Dio aveva preso dimora. L’unico luogo sulla terra nel quale Dio manifestava la Sua Presenza. La parola “tabernacolo”, in ebraico “mishkan”, deriva dalla medesima radice del termine Shekhinah. Gesù Cristo identificando Sé stesso con il Tempio ha dichiarato la fine dell’Antica Alleanza giacché ora con Lui, attraverso l’Eucarestia, la Presenza di Dio non si manifesta più in un solo luogo. Essa si rivela ovunque nel mondo venga celebrata la Santa Messa. Non c’è più bisogno di un Tempio a Gerusalemme perché il Tempio è Cristo ed Egli è Presente nei tabernacoli delle chiese di tutto il mondo. Infatti nel 70 d. Cr., come da Nostro Signore profetizzato (Mt. 24, 1-2), il Tempio di Gerusalemme, ormai abbandonato dalla Presenza di Dio che lo rendeva inattaccabile dagli uomini, fu distrutto durante la guerra giudaica allorché gli ebrei, infervorati dalla loro ansia messianica intra-mondana, si rivoltarono a Roma. Gli zeloti, ieri come oggi, non capiscono che il Regno di Dio non è un regime politico e che il culto di Dio – culto universale – non è più legato ad un pezzo di terra particolare.
Il giorno del Venerdì Santo, il 7 aprile dell’anno 30 (ovvero il settimo giorno del mese di Nisan secondo il calendario ebraico), nel momento esatto in cui Cristo esalò l’ultimo respiro, proferendo le parole “tutto è compiuto”, il velo del Tempio – la pesante tenda di spesso peltro che chiudeva l’ingresso del Santo dei Santi, la sala centrale dove una volta l’anno solo il sommo sacerdote poteva entrare per il sacrificio di Espiazione– si squarciò di netto dall’alto verso il basso, come se una spada tagliente e affilata l’avesse tagliato. Era il segno manifesto del superamento dell’Antica Alleanza nella Nuova ed Eterna Alleanza nel Sangue dell’Agnello di Dio sacrificato sulla Croce.
Tanto per dare l’idea della straordinarietà del fatto, secondo lo storico ebreo Giuseppe Flavio nemmeno due cavalli legati a quella grande tenda sarebbero riusciti a strapparla. La sua manutenzione era veramente un’impresa: alta quasi venti metri e spessa dieci centimetri, per poterla arrotolare necessitavano una settantina di uomini.
Il giudaismo postbiblico non ha mai accettato l’identificazione che Gesù ha fatto tra Sé e il Tempio. Il giudaismo, sin dai tempi più remoti della diaspora seguita alla sua distruzione, aspira alla ricostruzione in Gerusalemme del Tempio, del quale l’unico residuo rimasto è il cosiddetto “muro del pianto”. Le correnti più spirituali e tradizionali dell’ebraismo aspettano che sia Dio a ricostruirlo quando, giunti i tempi, esso – come la Città Santa dell’Apocalisse per i cristiani – scenderà direttamente dal Cielo. Tuttavia altre correnti del giudaismo postbiblico affermano, e non da ora, che bisogna “costringere Dio” a manifestarsi di nuovo e a tener fede alla alleanza con il popolo di Israele. Per far questo è necessario ricostruire il Tempio anziché attendere che esso scenda dal Cielo alla fine dei tempi. Queste correnti sono quelle oggi rappresentate dai fondamentalisti ultraortodossi e dai sionisti “religiosi” che costituiscono la base di massa del governo Netanyahu.
A partire dal rabbino Abraham Isaac Kook (1865-1935) e da suo figlio, che ebbero una grande influenza sul pensiero religioso ebraico nel XX secolo, gran parte del rabbinato – salvo eccezioni come i Neturei Karta rimasti sulle posizioni tradizionali – ha abbandonato la sua originaria ostilità verso il sionismo, una ideologia atea, convincendosi che i sionisti sarebbero l’inconsapevole strumento della volontà di Dio per riportare in Giudea tutti gli ebrei, ricostruire il terzo Tempio e, finalmente, inaugurare l’era messianica del regno di Israele sulle nazioni del mondo.
Per queste correnti del giudaismo l’eventuale ricostruzione del Tempio di Gerusalemme sarebbe la clamorosa smentita delle parole di Gesù ovvero la caducazione della fede dei cristiani nella Sua Divino-Umanità. La fede cristiana nella Inabitazione nella Persona di Cristo, che per questo si è dichiarato Vero Tempio, della Shekhinah di Dio verrebbe travolta perché il Tempio di Gerusalemme ricostruito, per la dimora di Dio in Israele, mostrerebbe a tutti che l’identificazione proclamata da Gesù tra Sé e il Tempio non può avere fondamento.
Nell’ottica degli ultraortodossi giudaici, ricostruire il Tempio di pietra a Gerusalemme, per “costringere” la Shekhinah a dimorarvi di nuovo, sarebbe la dimostrazione della fallacia del Cristianesimo e, quindi, la sua fine. Avrebbe termine, in tal modo, la scandalosa “eresia” che a suo tempo divise il popolo ebreo consentendo ai gentili, entrandovi attraverso Cristo, di violare l’Alleanza, esclusiva, tra Dio e Israele.
La moschea di Al Aqsa, che fa parte del complesso della Cupola della Roccia e che fu, nel medioevo sotto dominazione cristiana, sede dei Cavalieri Templari, è il terzo luogo sacro dell’islam perché costruita sul monte Moria, dove è custodita la roccia del sacrificio di Isacco (secondo l’islam si trattava di Ismaele) che Abramo stava per compiere, e perché da lì, secondo la tradizione islamica, Muhammad è stato assunto in Cielo nel suo “viaggio notturno” a cavallo del mistico cavallo Buraq. Il fatto che il Tempio dovrebbe essere ricostruito nel luogo dove ora sorge la Cupola della Roccia evidenzia, insieme a quella contro il Cristianesimo, anche la polemica teologica, delle citate correnti giudaiche ultraortodosse, contro l’islam il quale, biblicamente, nasce dall’eredità di Ismaele ovvero del figlio che Abramo ebbe non dalla legittima moglie Sara, madre di Isacco, ma dalla schiava egiziana Agar e che contendeva a Isacco la leadership della famiglia abramitica.
Certamente, come è facile intuire, lo smantellamento della Cupola della Roccia, per far posto al terzo Tempio, scatenerebbe un conflitto mondiale. I “sionisti religiosi”, tuttavia, convinti che Dio è dalla loro parte, non si curano delle possibili conseguenze della profanazione della moschea di Al Aqsa. Quando il 28 settembre 2000 Ariel Sharon effettuò la sua provocatoria “passeggiata” sulla Spianata delle moschee, a rivendicazione della sovranità esclusiva di Israele sull’area templare, causando la reazione palestinese nota come “seconda intifada”, non mostrò alcuna preoccupazione per le conseguenze del suo irritante e criminale gesto.
Gli ebrei dell’esilio hanno già provato una volta a ricostruire il Tempio. Accadde all’epoca dell’imperatore Giuliano l’apostata (331-363) il quale, nella sua politica intesa a restaurare l’antico paganesimo (in realtà un misto di mitraismo e neoplatonismo), in odio a Cristo consentì ai capi di Israele di avviare i lavori di riedificazione del Tempio. Giuliano si spinse persino ad aiutarli finanziariamente affidandone i lavori ad Alipio di Antiochia. Ma – è cosa attestata dalle cronache del tempo raccolte dallo storico Ammiano Marcellino, contemporaneo di Giuliano – la ricostruzione, pur iniziata, fu abbandonata in quanto le fondamenta più volte edificate cedevano ogni volta a causa di esplosioni di bolle di gas che fuoriuscivano dal terreno e delle frane conseguenti. Così Ammiano Marcellino narra i fatti che impedirono la ricostruzione: «Alipio si dedicava con impegno all’opera e lo aiutava il governatore della provincia: ma globi di fuoco paurosi che eruppero vicino alle fondamenta con assalti continui, resero quel posto inaccessibile agli operai, che ne risultavano a volte bruciati. Il fuoco ricacciava indietro dovunque con ostinazione assoluta, pertanto l’impresa fu messa da parte». Giuliano stesso si convinse che il Dio degli ebrei era adirato con loro e non voleva che il Tempio fosse ricostruito, sicché revocò i finanziamenti concessi.
La maggioranza dei cristiani occidentali oggi non comprende più il significato degli eventi che hanno coinvolto e che potrebbero ancora coinvolgere, in un futuro forse non tanto remoto, il Tempio, luogo della Presenza gloriosa di Dio, che Gesù ha identificato con la Sua Persona. I cristiani nominali dell’odierno Occidente, apostata come Giuliano, vivono in un mondo secolarizzato e la stessa Chiesa sembra aver dimenticato l’importanza dell’escatologia inseparabilmente intrinseca alla Rivelazione cristiana.
Sarà la nostra l’epoca a vedere la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, con tutto ciò che un tale evento rappresenterebbe di ambiguo, sul piano dello spirito, e con tutto ciò che esso comporterebbe, di conseguenza, sul piano geopolitico?
Difficile dirlo con certezza.
Però è innegabile che le correnti più oltranziste e fondamentaliste del giudaismo postbiblico sono ad un passo dalla realizzazione del loro sogno secolare. Un folle progetto millenarista. L’intera vicenda vicino-orientale è intrisa di questa problematica “escatologica” che in Occidente non siamo più in grado di cogliere dato che alle nostre latitudini si presume di poter fare a meno di qualsiasi prospettiva metapolitica, impedendoci così una vera comprensione a 360 gradi delle vicende umane che tenga insieme gli orizzonti umani e quelli divini.
Orbene, facciamoci come cristiani la domanda: “chi oggi si frappone tra il giudaismo fondamentalista e la concreta realizzazione del suo obiettivo che vanta la pretesa di smentire le parole di Cristo”?
La risposta purtroppo è: “non noi cristiani”. Qualcun altro sta subendo violenza e sterminio per difendere anche la nostra fede.
Per verificare che non stiamo parlando di fantasie a sfondo teologico basta leggere, tra le tante che su questo tema trapelano oggi da Israele, le dichiarazioni ufficiali dei ministri del governo Netanyahu espressioni dei partiti ultraortodossi che lo sostengono. Qui nel link le dichiarazioni di Bezalel Smotrich, attuale ministro delle finanze di Israele.
Luigi Copertino (dalla pagina Facebook dell’autore)