IL RAZZISMO DEL COLTO PROGRESSISTA

 

di Roberto Pecchioli

Se la cantano e se la suonano. Come sempre. Gli intellettuali “de sinistra”, créme de la crème della nostra fortunata società, stupiscono ogni volta. Le loro prestazioni giornalistiche e letterarie dovrebbero essere raccomandate come esempi da non seguire. Fate e pensate l’esatto contrario di quanto prescrivono lorsignori: vi troverete benissimo. Se non potete fare a meno di accendere la TV, occupata dai loro pensosi pistolotti, meglio sintonizzarsi su documentari di vita animale o innocue televendite. Nell’ultima puntata di DiMartedì, trasmissione cult dei progressisti à la page, il siparietto tra Giovanni Floris e Corrado Augias è stato impagabile.

Il giovine Floris cela dietro risatine continue e il sorriso da bravo ragazzo un po’ secchione un sinistro settarismo, ma il vecchio leone ha avuto la meglio. Augias si è esibito in una breve, ma definitiva intemerata contro gli sventurati di destra. Nessun insulto: l’ex eurodeputato, firma prestigiosa di Repubblica, autore televisivo, giallista e storico, è un signore anziano – va per gli 85 – elegante e misurato. Parla con sussiego, non alza la voce, sembra il compagno ideale di piacevoli conversari: equilibrato, preparato, ostenta bon ton e buona educazione da ogni poro. Ogni tanto, purtroppo, l’istinto prende la mano anche a lui, saggio esponente della sinistra riflessiva, colta, residente nei quartieri alti.

Ha impartito su TV7, pascolo esclusivo della sinistra Made in Capalbio, un’applaudita lezione, migliore di quelle che officia quotidianamente su Raitre. Grazie a lui, sappiamo finalmente cos’è la destra e cos’è la sinistra. Il povero Giorgio Gaber, autore di una famosa canzone sull’argomento – che certo il professor Corrado considera qualunquista – sussulta nella tomba, battuto senza rimedio. La sinistra è nel giusto in quanto “essere di destra è facile, perché essere di destra vuol dire andare incontro a quelle che sono le spinte istintive che tutti, o quasi, hanno “, pontifica Augias dinanzi a un Pierluigi Bersani moderatamente perplesso. “Quelle spinte istintive vengono invece moderate e indirizzate meglio dal ragionamento e dalla conoscenza degli argomenti e da un senso nobile di altruismo, tipico della sinistra.  Essere di sinistra è più difficile, perché gioca su un terreno in cui la conoscenza degli argomenti è fondamentale. Quello di destra dice a me gli immigrati fanno schifo e il suo discorso finisce lì.”

Tiè, piglia e porta a casa. Ci saremmo aspettati di meglio dal pacato argomentare del professore d’altri tempi gentile, rassicurante, il nonno che ogni nipote vorrebbe avere. Potremmo cavarcela, se fossimo come la setta di cui fa parte, chiedendo di deferirlo per odio alla commissione Segre, terrorizzati dal baccano che avrebbero suscitato dichiarazioni analoghe di esponenti dell’esecrata destra. Non basta, non serve. Proviamo invece a confutare l’argomentazione dell’irato Corrado.

Il razzismo antropologico del colto progressista è raggelante. Siamo tutti fratelli, tutti uguali, ognuno ha diritto a libere opinioni, fuorché se è “di destra”.  Facile l’accusa di incoerenza. Il tipo umano progressista – perfino Sir Corrado, gentleman britannico-pariolino in scarpe Clarks, pantaloni di velluto a coste e cravatta intonata- è un totalitario che impone una società a taglia unica. Anche travestito da distinto gentiluomo, resta un personaggio accecato dalla presunzione, da un ostinata ricerca dell’uguaglianza come equivalenza (tranne nel reddito!), disinteressato al bene e al male, concetti irrisori e caduchi, poiché ciò che importa è quello che egli considera giusto. Padroni, per usucapione culturale, della verità, considerano lo scambio di idee una minaccia alla coesione della comunità ideale prefigurata nelle loro menti superiori.

Per costoro, il linguaggio è un’arma letale, non uno strumento di comunicazione. Per questo hanno stabilito il diritto a zittire gli avversari, pardon i nemici. Pensare altrimenti è offensivo, lede il politicamente corretto, ferisce le delicate orecchie progressiste.  Hanno il monopolio della cultura e lo ostentano con spocchia da visconti del Settecento.

E’ semplicissimo contestare la validità delle categorie di destra e sinistra, oggi pressoché inservibili in un tempo e un mondo in cui il conflitto è semmai tra alto e basso, centro e periferia, élite e popolo, identità e globalismo. La distinzione conviene ai padroni del linguaggio, ovvero la sedicente sinistra, per la quale il gesto immediato, l’istinto pavloviano, è squalificare l’avversario con etichette di cui detiene il brevetto. Destra è tutto ciò che non piace a loro. Estremizzando, può esserlo il maltempo, la foratura di un pneumatico in autostrada, la suocera petulante. Se si innervosiscono, danno la stura all’intero repertorio: fascisti, razzisti, omofobi, sessisti, conservatori, reazionari. La new entry è la qualifica di odiatori; ignorante è sinonimo di chi non è membro dell’allegra brigata.

Non facciamoci impressionare: più credono di squalificare, marchiare d’infamia, più mostrano paura e incapacità di rispondere alle tesi altrui. E’ toccato anche a Corrado Augias: buon segno. Informati lorsignori sul fatto che sappiamo, leggere, scrivere e far di conto, è agevole replicare nel merito. Essere di destra è facile? Ridicolo. A parte la pessima fama della parola, la discriminazione subita per oltre mezzo secolo dai malcapitati che osavano dichiararsi “destri”, è ben più comodo preferire i diritti ai doveri, l’uguaglianza alla distinzione, la materia allo spirito, l’orizzontale al verticale, l’interesse immediato all’applicazione costante, l’irresponsabilità alla responsabilità, il caos anarchico al principio d’ordine e di gerarchia, la sottocultura del “tutto e subito” alla conquista faticosa. Altrettanto, è più comune praticare l’invidia – sociale e personale – che impegnarsi seriamente a migliorare la propria condizione, prediligere la quantità alla qualità.

L’istinto, professor Augias, conduce a sinistra, se le categorie hanno senso, perché è immediato, parla alla pancia e non al cervello. In quanto all’altruismo, è virtù non associabile alla politica, a meno di non credere alle panzane collettiviste. Via, sapete bene che si tratta di storielle per il popolaccio sudato e maleodorante, favole non più credute. Eppure, resta qualcosa di vero nelle esternazioni del professore. Esiste, nel progressista, un’incontenibile ansia di regolare tutto, bandire il senso comune secondo astrazioni che Augusto Del Noce chiamò perfettismo. Vogliono cambiare la natura, rovesciare il corso degli eventi in base a teorie precostituite, elucubrazioni intellettuali che cancellano la realtà in nome di utopie trasformate in incubi.

La destra accoglie la realtà, è sensata poiché sa che esistono il bene e il male, spesso intrecciati nello stesso evento, nella medesima persona. Governare una società non è rovesciarla ogni giorno come un calzino, ma dare continuità, regolare principi e interessi, stomaco e cuore, poiché questo è l’uomo.  La presa d’atto che l’uomo è ragione e passione, che ciascuno è diverso dall’altro, che vadano alternati premio e castigo, fermezza e indulgenza esclude il buonismo, la credenza ingenua che l’uomo sia naturalmente buono corrotto dalla società cattiva. Se vi è un pensatore che la cosiddetta destra aborre è Jean Jacques Rousseau. Non esiste la volontà generale, anticamera del totalitarismo, non è solo l’educazione, l’ambiente a determinare le condotta umana. Nel conflitto tra natura e cultura deve prevalere la prima in nome del realismo nemico dell’intellettualismo.

Un motto spiegare meglio di ogni trattato l’animus destro: si vis pacem, para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra, tieniti pronto ad affrontare il male. Di qua vige il senso dell’onore, sentimento verticale del rispetto di sé frutto di comportamenti elevati. Di là il culto dell’immagine, la sofisticazione di ciò che appare.  Il ragionamento non è di destra né di sinistra, ma si attaglia più a chi possiede il senso della realtà che la fascinazione per utopie regolarmente rovesciate in brutti sogni. A destra “non conoscono gli argomenti”, dunque sono ignoranti. Provi, dottor Augias, a cambiare disco. La conoscenza, la cultura non sono, perdonate il sintagma equivoco, “cosa vostra”. E se invece soffriste di suprematismo, arroganza, convinzione di appartenere ad un’aristocrazia eletta? Ohibò, se la sinistra fosse di destra?

Ricordiamo le rimostranze di personalità della vostra parte contro il suffragio universale, quando il verdetto del popolo non vi piace. Sareste dunque per la disuguaglianza, per una pseudo democrazia censitaria o legata all’esibizione di titoli accademici? Che ne è degli operai, dei diseredati, beniamini della vostra giovinezza? Siete sicuri che un diploma di laurea appeso in salotto sia sempre sinonimo di intelligenza e cultura? Chissà che le statistiche da voi elaborate non vi facciano prendere un abbaglio: magari a destra ci sono fior di accademici e persone dall’elevato quoziente di intelligenza. La vostra spiegazione è che si tratta di gente in malafede, egoisti avidi di ricchezza e potere, malvagi intenti a sfruttare il prossimo.

Non ve ne accorgete, accecati dalla autoproclamata bontà di anime belle, ma state ritraendo voi stessi: de te fabula narratur. Nel Vangelo di Matteo è scritto che l’albero si giudica dai frutti. Se foste tanto in gamba, se veramente “conosceste gli argomenti”, il mondo non funzionerebbe così male.  Vivete nel sovrano disprezzo dell’altro. Che cosa è, se non disprezzo, la frase tranciante, pronunciata con smorfia di disgusto, secondo cui “quello di destra dice a me gli immigrati fanno schifo e il suo discorso finisce lì. “La lingua batte sempre dove il dente duole, a comprova che il tema migratorio è questione dirimente nella nostra società, ma delle due l’una: o essere di destra coincide esclusivamente con l’antipatia per gli stranieri – e non ci credete neppure voi- oppure vi repelle talmente “l’altro” che tendete a ritrarlo come un bestione, una macchietta, un simbolo negativo.

Si chiama manicheismo, tutto il bene di qua, tutto il male di là. Non è realista, non è “ragionamento”, “padronanza degli argomenti”, ma regressione, tendenza a vedere i baffetti di Hitler in tutti coloro che non capite. Per utilizzare i codici verbali da voi imposti, la parrocchia radical chic somiglia a una destra malriuscita. L’ umile scrivano, stremato dal torcicollo a sinistra, si permette una cattiveria, rammentando una considerazione attribuita a André Malraux, ex comunista che finì ministro con De Gaulle, gran nemico del maggio francese del 68. “Ho conosciuto molti comunisti intelligenti e molti comunisti in buona fede. Non ne ho mai conosciuto uno intelligente e in buona fede”