Il potere assiomatico – di Roberto PECCHIOLI

Il potere assiomatico.

di Roberto PECCHIOLI

Molte cose accadono sotto il sole d’inizio estate, mentre gran parte della popolazione è concentrata sul coronavirus, sulla speranza di esserne fuori, in attesa di un autunno in cui cadranno, insieme con le foglie, moltissime illusioni, a partire dalle due più dolorose. Nulla sarà come prima della pandemia e la ripresa economica non sarà affatto caratterizzata da un grafico a “V”, ovvero con un’impennata positiva uguale e contraria al crollo da Covid 19. L’altra riguarda la libertà. Ci hanno avvertito in tutte le lingue, da Davos, dai governi sino ai grandi poteri di fatto, quelli che comandano davvero, finanza, Big Tech, multinazionali. Sarà l’epoca delle pandemie, ma anche di un cambiamento totale, il Grande Reset, la cancellazione di ieri in nome dell’interesse di lorsignori, spacciato – come sempre- per necessità e bene comune.

Abbiamo letto un’erudita intervista del professor Vaclav Smid, massimo esperto di energia del mondo e autore preferito di Bill Gates, uno dei padroni universali. La conclusione dell’illustre accademico è che il sistema in cui viviamo è “irrazionale”. Strano davvero che gli stessi che lo hanno costruito e imposto oggi dicano il contrario di quanto sostenevano ieri. Intanto, l’ineffabile Unione Europea ha approvato, tra squilli di tromba e con la consueta assenza di dibattito nei parlamenti nazionali, il cosiddetto “green pass”, il passaporto vaccinale. Lasciamo da parte le stucchevoli rassicurazioni circa le garanzie di privatezza e il non utilizzo dei dati personali (diciamo pure intimi) da parte del potere. La verità è che è stato compiuto il primo, decisivo passo verso il feudalesimo del Terzo Millennio.

I servi della gleba del XXI secolo- tutti, eccetto la piccola percentuale di iperpadroni e dei loro vassalli di alto livello- non si potranno più spostare liberamente, se non muniti del salvacondotto vaccinale. Lo stesso Smid consiglia di limitare gli spostamenti per motivi energetici ed ecologici. La Francia ha già deciso di abolire i voli a corto raggio. Le nostre città – anche quelle con strade strette e salite- si riempiono di piste ciclabili, ben al di là delle richieste degli amanti delle due ruote.  La libera circolazione delle persone vale solo per le frontiere aperte dell’immigrazione selvaggia; clandestina non è, giacché è incoraggiata, voluta e finanziata da immensi centri di potere.

Non avrai niente e sarai felice, ripetono dal Forum Economico Mondiale. Basta con il trolley, basta con i viaggi: radicamento obbligato nel luogo dove ci troviamo adesso. Inutile sperare in una reazione – o in una presa di coscienza – della popolazione. Il potere ha lavorato benissimo e la stragrande maggioranza non vede l’ora di esibire agli sgherri che verranno mobilitati, il salvacondotto vaccinale che hanno avuto cura di chiamare “verde” (un tocco di ecologia non guasta mai, anche se il richiamo è piuttosto al semaforo) e di definire in neolingua globish, l’inglese globale ad uso dei gonzi che si credono cosmopoliti e multiculturali.

I servi della gleba sono felici e, come nell’operetta Cin Ci Là, pensano che “le tue catene son fatte di fior”. E’ per il nostro bene, per la sopravvivenza e la salute: un potere benevolo e materno, soccorrevole, amniotico, ci toglie la libertà, ma niente paura: saremo ugualmente felici, come un gregge dopo la pastura. Scriveva Oswald Spengler nel Tramonto dell’Occidente: “meglio morire che essere schiavi, dicono i vecchi contadini frisoni. Rovesciate questo aforisma e avrete la formula di tutte le civilizzazioni tardive”. Mascherati, vaccinati, con il codice QR che attesta la nostra condizione di uomini temporaneamente liberi (il green pass durerà pochi mesi, alla faccia del liberi tutti a cui aspiriamo), camminiamo all’indietro. Il telelavoro furbo (smart) e la terribile DAD- didattica a distanza – completano la formattazione: animali impauriti, casalinghi, dipendenti dal pastore. Così ci vogliono, così siamo. Sconfitta su tutto il fronte.

Tzvetan Todorov faceva notare, ne L’arte nella tempesta, l’ossessione dei dittatori di controllare la creazione artistica per metterla al servizio dei loro obiettivi di dominio. Trascurava il dominio sulle parole – declinata oggi nell’imposizione del linguaggio politicamente corretto- e sulla “narrazione”, nel lessico di Jean François Lyotard. Il potere, diventato biocrazia per aver assunto il controllo dei corpi fisici e essersi ormai insediato nelle coscienze, avanza verso mete insospettabili. Elon Musk, il guru della tecnoscienza, ha annunciato esperimenti con impianto di microchip nel cervello umano. Che cosa volete che sia l’”innocuo “ green pass, che consentirà, a insindacabile giudizio dei superiori, di muoverci o di stare fermi.

In alcuni paesi – gli altri seguiranno a ruota – il prezzo dell’elettricità aumenta significativamente: è il primo prezzo da pagare per la “transizione ecologica” voluta dai nuovi onnipotenti. I servi della gleba abbozzano e annuiscono. Le prestazioni richieste – tasse, tariffe, vaccini, cambio di abitudini esistenziali- assomigliano alle corvè imposte dai feudatari nel Medioevo, i quali, almeno, avevano l’obbligo di provvedere al sostentamento dei servi.

Arte e cultura – a cominciare dalle parole che usiamo- sono mezzi di accesso alla verità. Lo hanno spiegato, tra gli altri, Heidegger, Alain Badiou, e prima di loro Schopenhauer. Di qui la necessità del controllo, che nel tempo post moderno si manifesta con la cancellazione delle discipline non “strumentali”, storia, geografia, filosofia, letteratura, e la degradazione delle espressioni artistiche. Più ignoranti, più schiavi.

L’Agenda 2030 prospetta un’alleanza diseguale, un patto leonino tra l’alto e il basso, basata sulla promessa di sempre: un mondo “migliore”. Incredibile che ogni generazione cada nelle stesse trappole. Cambiano soltanto le parole chiave: oggi l’obbligo è essere sostenibili, inclusivi, equi. Come sempre, non si spiega il significato dei concetti e ancor meno si chiarisce chi ci guadagnerà e chi ci perderà. Le promesse globaliste – dal naso più lungo di quello di Pinocchio – si traducono in debiti che oltrepassano individui, nazioni e generazioni, nonché in una serie infinita di limitazioni: patrimoniali, (noi non avremo nulla e non “saremo” nulla, “loro” avranno tutto) ma anche personali, morali, spirituali, culturali.

Agenda 2030 è l’opera d’arte globalista che dobbiamo ammirare e amare obbligatoriamente. Un’operazione di ingegneria sociale tra le più profonde e sofisticate della storia, da realizzare su scala planetaria, a partire dalla civiltà occidentale. Gli obiettivi sono tanto ambiziosi quanto poco dissimulati: hanno capito che possono dire una parte della verità, tanto non siamo in grado di capirla, ancor meno discuterla o contrastarla. Gli ultimi cultori della filosofia potrebbero riconoscervi il rovesciamento del progetto abbozzato da Hegel nella Filosofia del diritto, un avanzamento progressivo della libertà a favore del maggior numero di persone. Indietro tutta, ma un passo alla volta. Dopo il virus- l’esperimento in corpore vili – qualunque ne sia stata l’origine- ha dimostrato che l’umanità, in particolare l’Occidente terminale, è pronta a cedere su ogni principio, abdicare a ogni libertà in nome di zòe, la nuda vita che aspira esclusivamente a durare ancora un po’.

La rana è bollita a puntino, la riduzione progressiva delle libertà passa inavvertita o viene applaudita in nome di Zòe; il mondo si trasforma con velocità crescente (motus in fine velocior) in distopia neofeudale. Pochi “signori” (le grandi corporazioni industriali e finanziarie, i giganti della tecnologia e il livello più elevato di un paio di superpotenze) impongono un modello di vita basato sostanzialmente sulla mera sussistenza, resa sopportabile dallo scatenamento provocato degli istinti. La condanna è per la stragrande maggioranza, ma la dialettica “servo-padrone “non è più percepita (anzi, è nascosta in quanto è negato l’accesso a gran parte della cultura “che non serve”). Lo schiavo fa fatica a vedere le catene. Una sconfitta epocale.

Pensatori come Deleuze e Guattari, nell’Anti Edipo, accolgono un’intuizione di Nietzsche. Il debito nelle società primitive non deriva da una relazione di scambio, ma da un’alleanza, in virtù della quale il popolo (l’indebitato) si impegna a corrispondere alla esigenze del Signore. Tra le popolazioni primitive quell’alleanza aveva una traduzione materiale, il marchio sul corpo fisico che ricordava indefinitamente il debito contratto con il presunto benefattore. Non è diversa l’Agenda 2030, una promessa e un’alleanza contro natura, logica e interesse che il globalismo fonda sul riconoscimento imperituro di un debito il cui pagamento si traduce in una serie di limitazioni di cui cominciamo a sperimentare il peso. Sistemi fiscali e tariffari di confisca, restrizioni nei movimenti, compressione a tappe forzate della libera espressione di idee contrarie al “consenso” globalista, sono le manifestazioni concrete del pagamento del debito primigenio stabilito dai poteri globalisti, dei quali i governi non sono che la manovalanza ben pagata.

La dittatura globalista impone la sua agenda di trasformazione – cancellazione, formattazione, reset-  in vista di un ‘umanità nuova di schiavi tecnologici. La definizione più pregnante è espressa da un pensatore neo comunista, uno degli intellettuali che si sono messi al servizio del potere che fingono di criticare, lo sloveno Slavoj Zizek: governo, o meglio potere “assiomatico”. Con questa espressione Zizek descrive una forma di governo autoritario che prescrive e definisce indiscutibili tutta una serie di idee e di questioni. Attraverso tale analogia matematica, Zizek prende posizione a favore della forma contemporanea del terrore giacobino che, con l’alibi di salvaguardare la forma democratica, instaura una dittatura facendo passare una dopo l’altra varie misure contrarie alla libertà e alla stessa democrazia. Un paternalismo dispotico esercitato sulla paura, la debolezza, la fragilità, l’ignoranza da essi stessi diffusa.

Oggi il Dominio ci sta privando del Logos (la parola che viene dal giudizio ed è principio di tutte le cose) e ci confina nel mero possesso di Phoné, la voce che esprime suoni di tipo animale. Il popolo in senso alto, nobile (il làos greco) diventa dèmos, popolo-massa, privato del pensiero e dell’espressione. La politica si trasforma in polizia o pura amministrazione che nasconde e nega, a partire da ineguaglianze davvero intollerabili.  Tutto ciò che interessa al Dominio diventa assioma, verità o principio da ammettere senza discussione, evidente di per sé.  Non si può discutere che due più due faccia quattro. L’assioma esclude il dibattito, irrazionale perdita di tempo, follia ed errore per autoevidenza.

La politicizzazione dell’assioma inibisce la cultura e il dissenso, conducendo verso una dittatura impegnata a sottrarre al popolo il pensiero. Il globalismo diventa un apparato i cui principi/assiomi sono indiscutibili, una forma di Stato etico capovolto. L’Agenda globalista è l’enunciazione di principi assiomatici, che diventano assiologici, la nuova etica unica globale. Non si discute: si applica. La pretesa non è l’applauso delle vittime, ma il loro consenso entusiasta.

In tutto questo, desta stupore che la dittatura incipiente non trovi oppositori nella tradizione liberale, vanto occidentale. A ben guardare, tuttavia, il liberalismo non è in grado di opporre resistenza. Perdute due lettere, si è ridotto a liberismo, la privatizzazione del mondo: nessun intervento statale in economia e neppure nelle questioni etiche e valoriali. Nulla di strano che da parte liberale non si percepisca la pericolosità della cultura della cancellazione, del Reset, dell’identitarismo forsennato di “genere” e di infinti pezzetti di società tesi a rivendicare il loro “particulare”, né della follia woke, l’ideologia dei “risvegliati”, ma, al contrario, le consideri manifestazioni dell’autodeterminazione soggettiva, base del liberalismo. Esiste un’assiomatica liberale che non crede alle tesi sul biopotere (Foucault) di chi configura e ridetermina le soggettività al di fuori della volontà consapevole dell’individuo e della comunità: tesi false, paranoiche, complottiste. La parola chiave, nel solito stucchevole globish, è fake news.

La società liberale, nella sua stagione migliore, cercava modi per permettere la coesistenza di identità plurali, ma non ha gli strumenti per revocare in dubbio la legittimità di certe pretese sulla base di principi che ritiene astratti o falsi, la natura umana, la legge naturale, lo spirito, la tradizione. Alla fine, la prassi liberale, non priva di una sua nobiltà-  per Ortega, la volontà di convivere con il nemico- si è degradata al punto di difendere ed esaltare una globalizzazione che ha gettato la maschera e produce mostri totalitari: la cupola finanziaria (i creatori del denaro, i sedicenti creditori del mondo) e i giganti tecnologici.

In nome dell’unico Dio sopravvissuto, il Mercato, ha battezzato un universo assoggettato a controllo, sorveglianza, dominio da parte di una minoranza i cui assiomi sono l’  accumulo, il divieto, la sottrazione delle libertà, il controllo dei corpi e della menti. Assiomatica del biopotere uguale totalitarismo biocratico.