I distruttori di immagini

BARBARIE E STRATEGIA

Nimrod era uno dei siti archeologici più incredibili del mondo, con le sue sculture ciclopiche erette al centro di un anfiteatro di cime montane desolate e bellissime. Dico “era”, eppure continuo a sperare che si possa continuar a dire “è”, che i danni arrecati alcuni giorni or sono al complesso storico-archeologico dai fanatici dell’IS non siano totali e definitivi. Si è ripetuto, quattordici anni dopo, l’innominabile e imperdonabile scempio dei colossali Buddha di Bamiyan in Afghanistan, voluto dai talibani: e anch’esso teso, attenzione!, formalmente a cancellare le tracce dell’”idolatria” dal mondo, sostanzialmente ad allibire e indignare gli occidentali.

Le ragioni teologiche e religiose dell’infamia sono tanto evidenti quanto fallaci: Il Corano, proseguendo in ciò la linea aperta della Torah ebraica, proibisce qualunque tentativo di rappresentazione materiale della divinità. La giurisprudenza musulmana, concorde sulla proibizione di rappresentare in sculture o in pitture l’immagine di Dio, si mostra discorde nel valutare la liceità delle immagini riproducenti figure umane o animali. La cultura musulmana ha prodotto notevoli rappresentazioni artistiche. Dalle pitture e addirittura dalle vere e proprie statue dei califfi umayyadi di Damasco (secc. VII-VIII) a quelle del mondo iberico medievale che era appunto in rapporto con la civiltà espressiva siriana umayyade (a sua volta debitrice all’arte bizantina) fino alle numerose e preziose scuole di miniaturisti persiani e indiani dei periodi abbaside, irano-tartarico e moghul. Non solo vi si rappresentano uomini e donne, ma lo stesso profeta Muhammad il volto del quale appare tuttavia coperto da un velo o fasciato da una fiamma.

In effetti, nel passato l’Islam ha sostanzialmente sempre rispettato le opere d’arte dell’antichità: se alcune cose sono andate perdute in seguito a eventi bellici, non tutti questi episodi vanno certo attribuiti al fanatismo musulmano; del resto noialtri occidentali, tra iconoclasti, ugonotti, giacobini e incursioni aeree a tappeto – spesso inutili, come quella che condusse alla distruzione dell’abbazia di Montecassino; talvolta puramente terroristiche, come quella che spianò Hildesheim, gioiello dell’architettura ottoniana, il 20 aprile del 1945 -, non hanno nulla da insegnare a nessuno. Dall’Hindu Kush dei Buddha di Bamiyan alla piana nilotica delle piramidi e della sfinge, siamo in presenza di terre sulle quali l’Islam ha ininterrottamente dominato per tredici secoli senza che a nessun musulmano venisse in mente di attentare a opere d’arte che in alcun modo potevano essere interpretate come un’offesa a Dio. Che cosa sta dunque accadendo?

Premettiamo di trovarci dinanzi a un fenomeno a sua volta non proprio nuovo. Quella della distruzione della biblioteca di Alessandria per volontà di un califfo musulmano è una leggenda priva di fondamento per quanto ancora continua ad esser narrata (si sarebbe allora detto che i libri erano inutili se dicevano la verità, in quanto essa era tutta nel Corano; e dannosi se invece dicevano bugie). La Bibbia, nel nome dell’opposizione rigorosa a qualunque forma d’idolatria, è a sua volta insofferente verso la pittura e la scultura in quanto vi scorge il concreto pericolo del cedimento al paganesimo ch’era proprio di tutti i popoli che circondavano Israele. I cristiani a loro volta, per quanto la loro fede avesse avuto modo di sia pur problematicamente convivere con le forme pagane più varie proposte dai molteplici culti pagani presenti nell’impero, una volta che la loro fede fu divenuta alla fine del IV secolo d.C. l’unica religione lecita nell’impero, si dettero con sistematica violenza a distruggere le immagini divine: scomparvero così dalla faccia della terra innumerevoli preziosissime opere della stragrande maggioranza delle quali non sappiamo nulla. Qua e là sappiamo però che quelle distruzioni provocarono orrore e proteste. L’ultimo episodio ragguardevole sotto il profilo storico è dato dalla fortuna e dalla posizione egemonica attribuita alla corrente ereticale detta appunto “iconoclastica”, tra VIII e IX secolo, che scosse con lotte dinastiche feroci la stessa stabilità del potere imperiale bizantino. Ancor oggi si discute se gli iconoclasti, che agirono soprattutto in Asia minore, potessero essere rimasti influenzati dalle dottrine musulmane: tuttavia pare di no, anche perché l’eresia iconoclastica coincise nella sua diffusione con l’età dei califfi umayyadi, fin troppo inclini ad accettare la tradizione della figura umana nel suo complesso.

L’Islam moderno aveva accettato e continua ad accettare nel suo complesso ogni forma di rappresentazione umana: nel campo religioso, specie sciita, circolano perfino immaginette sacre, veri e propri “santini” dedicati ai martiri della lotta contro i sunniti. Altre forme espressive comportanti l’immagine umana, dalla fotografia alle arti plastico-visive, circolano abitualmente e sono comunissime nella vita quotidiana.

E allora, dove vogliono arrivare gli uomini del califfo? Il loro conclamato proposito è quello di far tabula rasa di qualunque tradizione non appartenente alla loro: per far ciò, d’altronde, bisogna costringere il mondo musulmano a distinguersi in tutti i modi possibili dalle stesse “religioni sorelle”, cioè cristianesimo ed ebraismo. Ma questo non basta ancora. Non c’è alcun modello nel passato della storia musulmana che possa giustificare la barbarie attuale. Non siamo in presenza di un Islam “tornato al medioevo”, in quanto nel medioevo o più tardi nulla del genere si è mai visto. Questa è una barbarie postmoderna. Il jihadismo è un Islam futurista e modernista: e l’iconoclastia è difatti, come tutti sanno, parte dell’etica e dell’estetica futuriste. Lo scopo è intimidire, scandalizzare, atterrire, indignare, scatenare delle reazioni. Nimrod non è stato distrutto in quanto luogo “pagano”, ma in quanto si sa quale valore la Modernità occidentale attribuisce all’arte e al passato. E, d’altronde, a indignarsi sono state anche persone che, mentre avrebbero potuto visitare nelle loro vacanze il sito di Nimrod, lo ignoravano e gli preferivano le Mauritius; o che non lo avevano mai sentito nominare. Se il califfo, i consiglieri mediatici del quale sanno bene quanto peso nominalistico e teorico abbia la cultura in Occidente ma forse anche quanto scarso ne abbia di reale, s’illude di scandalizzarci poi troppo, si ricreda.

C’è comunque del metodo, nella follia dell’IS. Esso, obbedendo alle disposizioni dei suoi patroni, sta facendo di tutto per obbligarci ad attaccarlo, magari ripetendo i medesimi errori del 2001 e del 2003 o facendone addirittura di peggiori (al peggio non c’è mai fondo). Ma questa è politica culturale e strategia militare. L’Islam non c’entra. Siamo dinanzi a una spregiudicata strategia dell’orrore, che nessuna fede religiosa può giustificare ma che una dura Volontà di Potenza sta lucidamente dirigendo. Attenzione a non cascarci. L’Islam, il vero Islam, è Dio misericordioso e compassionevole, è Maria che veglia amorevole su Gesù, è la saggezza di Avicenna, è la magnanimità del Saladino, è il coraggio di Sindbad, è la Cupola della Roccia di Gerusalemme, è l’Alhambra di Granada, è il Taj Mahal, è la serena saggezza dei sufi, è la poesia di Omar Kayyam e di Rumi: non la follia distruttiva di una banda di fanatici imbottiti di petrodollari e incapaci di proporre se non l’oscura forza di un Dio del Nulla.