Francoforte, Grand Hotel Abisso

di Roberto PECCHIOLI

Nessuna scuola filosofica ha avuto nel XX secolo l’influenza dell’Istituto di Ricerche Sociali, Institut fuer Sozialforschung, la scuola di Francoforte. Nessun giudizio, nessuna della milioni di parole scritte sui francofortesi riassume l’esito delle idee diffuse da quel gruppo di intellettuali neomarxisti di origine ebraica, di formazione accademica e dallo stile di vita alto borghese meglio della definizione di Gyorgy Lukacs, un altro cattivo maestro del secolo passato: Grand Hotel Abisso. Il filosofo ungherese era un marxista serio e non sbagliava nel giudizio: i francofortesi vissero in una lussuosa suite del metaforico Grand Hotel Abyss, nel quale potevano dedicarsi a contemplare l’abisso che si apriva sotto di loro, la crisi della modernità che stavano attivamente accelerando, seduti in comode poltrone “tra pasti eccellenti e intrattenimenti artistici” (Lùkacs).

La scuola di Francoforte, con i suoi esponenti più importanti, Theodor W. Adorno, Herbert Marcuse e Max Horkheimer, è stato il tentativo, coronato da successo, di rifondare il marxismo in Occidente, dove pure era sorto, declinandolo in senso individualista, anzi soggettivista e libertario. La libertà collettiva per Marx ed Engels si poteva realizzare solo nel superamento dei rapporti di produzione dominati dalla proprietà privata attraverso la lotta di una classe destinata a diventare levatrice della storia, il proletariato, contrapposta alla borghesia.

La libertà di Francoforte sfumò in liberazione individuale, la dimensione collettiva si sfarinò nel soggettivismo più estremo e la critica alla società capitalistica divenne censura implacabile dell’intera civiltà europea e occidentale. Tutto ciò da ben retribuite cattedre tedesche e, dopo l’esilio, americane, prima del ritorno in Europa. Meglio di Lùkacs hanno inserito nel pensiero rivoluzionario occidentale Sigmund Freud e la psicoanalisi, con la mediazione di Fromm, comprendendone la portata distruttiva, e hanno interpretato in modo politicamente orientato la sociologia di Max Weber, il disincanto del mondo analizzato dall’autore dello Spirito del capitalismo. Sociologia, psicanalisi più marxismo declinato in chiave individualistico- emancipatoria: Il neo illuminismo della famosa Dialettica di Adorno e Horkheimer è soprattutto qui, sfrondato del materialismo più pesante e con qualche spruzzata di irrazionalismo.

Il fallimento del marxismo era, per i francofortesi, provato dallo scarso interesse del proletariato per la rivoluzione. L’operaio aspira innanzitutto a farsi borghese, è una classe paradossalmente conservatrice. Occorreva rintracciare nuove leve rivoluzionarie, poiché l’orizzonte restò sempre marxista, tranne per l’ultimo Horkheimer. A Francoforte compirono una specie di gioco di prestigio, sostituire la lotta sociale con quella generazionale attraverso la contestazione globale della civiltà occidentale. La chiave fu nel concetto di liberazione, sulle piste delle intuizioni pansessualiste accompagnate da robuste dosi di follia di un Wilhelm Reich e della lettura “sociale” della psicanalisi operata da Fromm.

La rivoluzione raggiunse la sfera dell’intimo, passando dal materialismo dialettico di una società rinnovata attraverso l’abolizione della proprietà privata ad una categoria nuova, l’emancipazione dai vincoli. Quelli religiosi, poi quelli della famiglia, di cui Marcuse descrisse la “desolazione”, gli usi e costumi, le appartenenze, i legami sociali non meno che quelli comunitari. Con l’aiuto di Freud, organizzò l’omicidio perfetto, la morte del Padre, quello celeste e quello biologico, il pater familias; soggettivismo assoluto, nel senso di sciolto, liberato, emancipato. In questo senso ci sembra più importante il peso a lungo termine della Personalità Autoritaria di Adorno rispetto al celeberrimo Uomo a una dimensione di Marcuse.

L’elemento centrale dei Francofortesi per frantumare il “mondo di ieri” è stata la critica durissima a ogni principio di autorità. Da quella spirituale a quella paterna, passando per la politica, la filosofia e l’arte. Sono note le “scale” con cui Adorno ha posto dinamite sotto ogni principio precedente: la scala F, ovvero il fascismo potenziale che dorme in ciascuno di noi, la scala A-S per l’antisemitismo, E per l’etnocentrismo, PEC per bollare i tratti del conservatorismo politico economico. Una partizione arbitraria, ideologica, utilizzata poi come modello da Ken Rokeach per descrivere il dogmatismo.

Il fatto è che, smascherata, demistificata e affondata ogni autorità, restano due possibilità estreme: l’individualismo senza confini e il suo contrario, il totalitarismo sottile di chi amministra l’ultima verità rimasta, l’assenza di verità al di fuori del soggetto. Dal relativismo a un nichilismo nutrito di sé che diventa pregiudizio universale. Negata validità alla civiltà, non resta che un presente puntinista, la mens instans di Leibniz. Con L’abolizione del passato, sottoposto non solo all’impietoso tribunale della ragione illuminista, ma al regno dei mezzi scambiati per fini del sedicente progresso, termina anche la tensione verso lo spirito, come sapeva Simone Weil e come lo stesso Adorno sembra paventare nella sua critica alla pratica dell’occultismo da parte di tanti occidentali.

Francoforte è anche responsabile del tramonto della forma nell’arte, Scrive Adorno: “l’arte moderna produce verità solo attraverso la negazione della forma estetica tradizionale e delle norme tradizionali di bellezza”. Abbiamo visto decadere l’arte da intuizione compiutamente espressa (B. Croce) a semplice creatività, bizzarria, ricerca dello stupore, pugno nello stomaco, gesto ad effetto per épater, stupire quel che resta del bourgeois. Una performance tra le tante, nonostante l’alto là di Marcuse alla società “performativa”. Esauriti i canoni dell’arte e della bellezza, soggettivi come tutti gli altri, si finisce nell’ happening, l’attimo liberatorio fine a se stesso.

I francofortesi hanno forgiato, sulle ceneri del comunismo plumbeo e burocratico d’Oriente e le macerie vetero borghesi, l’Occidente contemporaneo da cui Dio è fuggito dopo aver perso la “D” e anche il Noi sfuma in milioni di atomi diversamente identici. La liberazione individualizzata ha creato una società decomposta e avvizzita – il contratto è sempre revocabile, a piacere e capriccio – che sopravvive a se stessa per trascinarci in un totalitarismo di tipo inedito, fondato sull’adesione a parole d’ordine apparentemente emancipatrici, ma in realtà obbligate, pena l’esclusione sociale e l’allontanamento dal tempo presente, nuovo idolo dell’uomo a una dimensione, il cui orizzonte da oltrepassare è Eros.

Assume importanza decisiva l’immaginazione, per Marcuse unico strumento capace di comprendere le cose alla luce della loro potenzialità. Confessiamo di non aver mai compreso fino in fondo il concetto, diventato uno degli slogan fondamentali del Sessantotto. Herbert Marcuse ne fu uno degli simboli e ispiratori per il suo richiamo alla liberazione sessuale, all’abbandono della famiglia, per la denuncia della società repressiva, per quell’idea di “grande rifiuto” (great refusal) che tanto ha affascinato milioni di giovani. Rifiutare è il primo passo di ogni idea nuova, ma quello successivo è il progetto, l’alternativa. Immaginazione abortita per eccesso?

A quel mondo mancò del tutto la pars construens, per questo è giusta la definizione di Grand Hotel Abisso. Tutto sfociò in anarchismo parolaio, nella decostruzione come unico fine, nei paradisi artificiali, le droghe destinate a estendere e trasportare I’ Io oltre le normali potenzialità, vedere con occhi più penetranti la realtà. Sappiamo bene che non è così, e conosciamo il ruolo decisivo degli apparati riservati americani nel diffondere le droghe per indebolire le generazioni e plasmare, rovesciandolo, quello stesso uomo a una dimensione denunciato da Marcuse nella sua opera più letta.

Non tutto è da gettare, tuttavia. Marcuse denunciò per primo la “tolleranza repressiva” del potere nelle società politiche occidentali e smascherò la tendenza a far coincidere progresso tecnologico e emancipazione umana. Affermò l’impostura delle società democratiche che rendono impossibile ogni forma di opposizione. Celebre è l’incipit dell’Uomo a una dimensione “una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico “. La dimensione unica è oggi pienamente realizzata nella società neoliberale, ultra libertaria nell’esteriorità visibile, repressiva e totalitaria verso ogni modello non conforme all’ideale del consumo e dell’immediato.

La soluzione francofortese alla “società amministrata “(Horkheimer) è tuttavia peggiore del male: la liberazione attraverso l’Eros, la negazione generale del principio di autorità, i paradisi artificiali, infine la chiusura nella dimensione soggettiva. Esattamente ciò che serve al nemico capitalista per perpetuare il suo dominio. Eterogenesi dei fini, o forse no, dal momento che i quattro cavalieri dell’Apocalisse francofortese, Adorno, Marcuse, Horkheimer, da ultimo Habermas, non avrebbero avuto onori, prebende e prestigiose carriere dal sistema se davvero ne fossero stati avversari.

La chiave sta fin una frase di Walter Benjamin che Marcuse pose a suggello del suo testo fondamentale: “è solo per merito dei disperati se ci è data una speranza”. Le idee di Francoforte sono divenute potere, senso comune, persino obblighi. Li abbiamo definiti pregiudizi universali d’Occidente. Le pagine di quei libri, le teorizzazioni vergate nel lussuoso Hotel Abisso a cinque stelle tra camerieri in livrea e amabili conversari, vanno richiuse affinché diventino impolverati documenti del nulla. La parola vada ai veri disperati, ai perdenti di un tempo bastardo. Se c’è una speranza, è nella sconfitta di un mondo di cui i francofortesi sono divenuti un paradossale puntello.

Liberati di tutto, davvero ci è rimasta un’unica dimensione, la contemplazione sterile del nostro ombelico. Gli stessi continuano a comandare. Al potere non è andata l’immaginazione, ma sono rimasti, più saldi di prima, quelli di sempre. Hanno solo cambiato vestito, è simbolico che Francoforte sia oggi la centrale europea dei banchieri, gli uomini a una dimensione dalla personalità autoritaria, indifferenti a qualunque Minima Moralia.