E Goldman Sachs disse: “Draghi al Colle adesso no. Deve completare il lavoro al governo. Ci vuole un Mattarella bis”

Qualche giorno fa, nel tentativo di capire qualcosa in quel guazzabuglio che sta diventando la scelta del nuovo presidente della Repubblica, abbiamo consigliato di dare un’occhiata a che cosa si dice al di là dell’oceano, negli Usa, perché, che ci piaccia o no, l’Amico americano ha sempre una certa influenza (eufemismo) sulle cose italiane.

E la soluzione prospettata dall’Amico americano è piuttosto chiara: l’ideale sarebbe avere mister Mario Draghi sia a palazzo Chigi sia al Quirinale, perché solo Super Mario può garantire la stabilità politica e la credibilità necessarie all’Italia per rassicurare gli investitori e portare a termine il lavoro di attuazione del Recovery Plan.

Tuttavia, siccome clonare Draghi non si può, ecco l’idea: lasciare mister Mattarella al Quirinale ancora per un paio d’anni, per traghettare poi mister Draghi sul Colle più alto una volta stabilizzata la situazione politica.

E indovinate chi ha sposato la stessa idea? Goldman Sachs, la grande e potentissima banca d’affari con sede a Manhattan. Sì, proprio quella Goldman Sachs che ha allevato Mario Draghi prima che Super Mario spiccasse il volo per diventare governatore della Banca d’Italia e poi presidente della Banca centrale europea.

Si è saputo che gli analisti di Goldman Sachs nei giorni scorsi hanno incontrato i propri facoltosi clienti per un’analisi della situazione italiana alla luce dello stallo nella scelta del presidente della Repubblica, e ciò che ne è venuto fuori è presto detto: la confusione attuale, con i partiti totalmente allo sbando, dimostra una volta di più che c’è bisogno di Draghi al governo, perché solo lui può tenere unite tante forze così divise, litigiose e inconcludenti. Dunque, per quanto un Mario Draghi al Quirinale sarebbe auspicabile, meglio per ora andare a un Mattarella bis per consentire a Draghi di concludere il suo lavoro a capo del governo. Dopo di che, diciamo fra un paio d’anni, Super Mario sarà pronto per il Quirinale. Infatti, se trovare un presidente della Repubblica è impresa disperata, ancor più complicato sarebbe trovare, al momento, un nuovo premier al posto di Draghi.

Abbiamo riassunto, ma la valutazione emersa dai colloqui voluti da Goldman Sachs è sostanzialmente questa. Di fatto, è un veto a Draghi al Quirinale, ma un veto a tempo. Si tratta di riempire un vuoto, e la soluzione per riempirlo si chiama Mattarella bis.

Ora, ciascuno è libero di pensare che la scelta dell’inquilino del Quirinale dipenda dalle alte strategie di un Salvini o di un Letta. Ma, forse, tener presenti quali sono le indicazioni dell’alta finanza, specie se consideriamo che al centro dei giochi c’è un Mario Draghi, non è un’opzione da trascurare.

Il mondo della finanza l’ha detto: ora Draghi al Quirinale non ci deve andare. Prima deve completare il lavoro a palazzo Chigi.

Filippo Taddei, capoeconomista per l’Europa Meridionale di Goldman Sachs, ha dichiarato apertis verbis: “L’elezione di Draghi al Colle rafforzerebbe il legame dell’Italia e delle sue politiche con l’Europa, ma al contempo alimenterebbe l’incertezza sul nuovo esecutivo e la sua efficacia politica”. Dunque, vista la caotica situazione politica italiana, la nomina di Draghi al Colle crea “preoccupazione”, e sappiamo che le “preoccupazioni”, quando sono espresse da certi potentati, hanno il loro peso.

Goldman Sachs avverte lo stesso Draghi. Guidare il governo in questo 2022 sarà ancora più difficile che nel 2021, perché nell’ampia coalizione di governo le tensioni saliranno (anche a causa della battaglia per il Quirinale) e tenere insieme la truppa, in vista delle elezioni del 2023, richiederà polso fermissimo. Quindi, poche storie: Super Mario resti ancora un po’ a Palazzo Chigi e poi si potrà aprire il capitolo Quirinale. Capitolo a sua volta importantissimo perché dal Colle Draghi potrà gestire quel passaggio a un nuovo modello politico-sociale che la grande finanza considera decisivo. E per capire di quale modello si tratti, basta dare un’occhiata alle indicazioni che emergono dal World Economic Forum di Davos.

Qualcuno dirà: ma per imporre quel tipo di modello non basta il Quirinale, occorre anche la Corte costituzionale. E infatti verso la presidenza della Consulta chi sta andando? Quel Giuliano Amato che, al pari di Draghi, è assai gradito al mondo della grande finanza e ai teorici del Great Reset. Tutto si tiene.

Il gran rifiuto di Mattarella rispetto a una rielezione è un dato di fatto, ma un cambio di rotta per “senso di responsabilità” non è inimmaginabile. La narrativa in proposito sta già cambiando. Ora si parla dei “tormenti” di Mattarella e non si nasconde l’ipotesi che i partiti vadano a implorarlo per toglierli dalla palude, proposta che si sarebbe diffusa in un lampo subito dopo il naufragio dell’operazione Casellati.