Da Bruxelles, il sesso degli angeli

di Roberto PECCHIOLI

Si dice che nel 1453, l’anno della caduta di Costantinopoli-Bisanzio, mentre Maometto II intimava la resa a Costantino XI, i consiglieri intellettuali dell’ultimo imperatore d’oriente discutessero del sesso degli angeli e della posizione di Gesù alla destra del padre: seduto o in piedi? Vero o meno, la storia ci ha consegnato la capitolazione di Bisanzio, divenuta turca, l’odierna Istanbul. Gli ultimi anni della civiltà europea, in attesa di Romolo Augustolo, non sono diversi.

L’ Europa terminale, ridotta a propaggine dell’Occidente, odia e nega se stessa, discetta e legifera seriamente sul nuovo sesso degli angeli, la folle  ideologia della correttezza politica nelle sue varie ramificazioni.
I suoi gesti, le sue scelte, le sue priorità sarebbero umoristiche, se potessimo osservarle
dall’alto, su una nuvola inespugnabile. Purtroppo sono realtà e non provengono da gruppi
di disadattati o da pochi estremisti, ma dal più alto consesso europeo, il parlamento
dell’Unione. Andiamo con ordine: la più inutile e costosa istituzione del (davvero) Vecchio
Continente ha pubblicato, ad uso dei suoi burocrati ed impiegati – una casta assai folta e
privilegiata – oltreché dei deputati, una guida per comunicare “con la massima attenzione
nell’ambito delle questioni delle disabilità, delle persone LGBTI+, dei gruppi etnici, delle
migrazioni e della religione”. Se ne sentiva l’urgente bisogno, a partire dal criptico +
aggiunto all’acronimo LGBT, a cui era stata già unita la “I” di intersessuale. Il
provvidenziale segno lascia impregiudicata l’addizione di ulteriori gruppi sessuali “non
binari”, come si deve dire in ossequio all’inclusività obbligatoria.
I neolinguisti europoidi non hanno trascurato nulla e nessuno, così il diabetico dovrà
essere chiamato, nel vocabolario multilingue di Bruxelles, “persona con diabete”; gli zoppi
saranno felici di essere indicati come “utenti del deambulatore”. Nel documento
comunitario, redatto da funzionari pagati con il nostro denaro, si definiscono inappropriate
parole o espressioni come “cambio di sesso” consigliandone la sostituzione con
“transizione di sesso”. Non siamo in un film di Sacha Baron Cohen, l’inventore di Borat,
ma nel serissimo “Glossario del linguaggio rispettoso per la comunicazione interna ed
esterna” dell’europarlamento.
Viene voglia di invocare la rapida venuta dei barbari per chiudere con una civilizzazione
che ha ormai aggiunto alla decadenza il ridicolo. Gli uffici dell’UE ordinano ai funzionari di
richiedere “a membri dei gruppi rappresentativi della diversità come preferiscono che ci si
rivolga loro. Ove non sia possibile farlo, preghiamo che sia consultato il presente
glossario”. Dubitiamo assai che i diabetici evitino l’insulina se ci si rivolge loro come
“persone con diabete” e purtroppo gli “utenti del deambulatore” non cammineranno spediti.
Cancellare i fatti non cambia in meglio la condizione umana, ma l’obiettivo della neolingua
è negare la coincidenza tra realtà e intelletto. Non dobbiamo più credere ai nostri occhi e
al nostro giudizio.
Il vocabolario è stato realizzato “con somma attenzione” da un areopago di savi chiamato
Unità di Uguaglianza, Inclusione e Diversità della Direzione Generale del Personale
dell’Unione Europea, in collaborazione con la Direzione Generale di Traduzione. E’
piuttosto aneddotica l’esistenza di un ufficio che si occupa contemporaneamente di
uguaglianza e diversità. Schizofrenia? No, purissimo distillato ideologico politicamente
corretto, nella forma di quello che Eugenio Capozzi definisce “relativismo diversitario”,
ossia la dittatura ossessiva delle minoranze in nome di un’uguaglianza declinata come

equivalenza di ogni scelta, identità o visione, unita al divieto di giudizio. E’ l’ideologia
ufficiale dell’Unione, con l’approvazione e l’acquiescenza del Partito Popolare (una volta di
ispirazione cristiana) e del variopinto mondo liberale.
Il glossario è diviso in tre parti: la prima raccoglie la terminologia da usare per riferirsi
“correttamente” ai disabili; la seconda è per le “persone LGBTQ+”; la terza per “i gruppi
etnici, le migrazioni e la religione “. Insomma, l’agenda di genere, la correttezza politica,
l’ossessione “inclusiva” e l’immigrazione “li vuole l’Europa”, esattamente come l’austerità
economica, il potere della finanza, la privatizzazione di tutto, l’indifferenza spirituale, la fine
della sovranità dei popoli, la distruzione dello Stato sociale. Nella prima sezione del
glossario si sconsigliano termini come disabile o invalido, a favore di laboriose
circonlocuzioni del tipo persona con invalidità o disabilità, o anche persona con difetti
congeniti o con malformazioni. Non riusciamo davvero a cogliere la maggiore inclusività o
il superiore tasso di uguaglianza e rispetto delle nuove definizioni, tra le quali spicca
“persona con difficoltà di linguaggio “, destinata a sostituire “balbuziente”.
I curatori invitano altresì ad evitare di “banalizzare le conseguenze delle disabilità nella vita
delle persone”, nobile proposito che non ci sembra conseguito dai macchinosi sintagmi
proposti. Più interessante il secondo capitolo del sesso degli angeli (Terminologia sulle
persone LGBTI+). Superbo è “genere non conforme “, definizione da applicare a “una
persona la cui identità di genere non soddisfa le aspettative sociali di espressione di
genere relative al sesso che gli fu assegnato alla nascita “. Che frase lunga e faticosa,
segno del disagio argomentativo dei nuovi teologi inclusivi e politicamente correttissimi.
“Genere fluido” – Zygmunt Bauman vuole la sua parte – è l’etichetta da attribuire alla
“persona che non ha un’identità di genere fissa”, una specie di Victor Victoria del film di
Blake Edwards.

Fin troppo ovvio sottolineare che il Parlamento Europeo considera “inappropriato” dire sesso biologico, transessuale, drag queen, relazione, coppia e matrimonio omosessuale, preferendo “sesso assegnato “(dalla natura dispettosa), persona trans, persona transgenere, “relazione (o coppia) di persone dello stesso sesso “e lo spettacolare “matrimonio egualitario”. Da cui si inferisce che il nostro e il tuo, amico lettore, è un matrimonio con disuguaglianza, pessimo, di serie B, da celare come una vergogna. E’ questo il futuro d’Europa, ma la natura si incaricherà presto di chiudere per esaurimento biologico (oltreché per suicidio etico e culturale) la millenaria vicenda storica delle nostre popolazioni. Il paragrafo del glossario relativo ai gruppi etnici, le migrazioni e la religione
raccomanda di evitare finanche la dizione “immigrato di seconda o terza generazione “a favore di “persona di origine migrante” (boh?), oppure “discendente di persone che migrarono”. Vietatissimo mulatto, è appropriato dire persona birazziale o multirazziale oppure meticcia. C’è una buona notizia: forse per evitare possibili discriminazioni territoriali, ci libereremo dell’insopportabile “caucasico/a” per definire un bianco, oops, una “persona bianca”. E’ evidente che chi cambia le parole intende mutare i significati e le percezioni: siamo nel campo dell’ideologia e dell’ingegneria sociale. Non è un caso se un gruppo di donne (o forse “persone di genere femminile”), tra le quali esponenti politiche, intellettuali e anche un’alta dirigente della Banca d’Italia hanno ingiunto all’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani di espungere dal suo dizionario alcuni termini o modi di dire considerati offensivi per le donne. Il compito di un vocabolario non è vietare o cancellare, ma dare conto della realtà. Se un termine esiste – offensivo o no – va registrato. La richiesta delle signore (chissà se la parola è “appropriata”) dimostra che il loro intento è di esercitare un potere, oggi di interdizione, domani di direzione e di obbligo.

Un’ideona arriva dalla Spagna: il sindacato UGT, Uniòn General de los Trabajadores, pensa di cambiare nome dopo oltre centotrent’anni di attività: per esprimere inclusione e respingere qualunque sospetto di discriminazione di genere, potrebbe diventare UGTT, Uniòn General de los Trabajadores y de las Trabajadoras, al femminile. I sindacati hanno assunto il linguaggio dei padroni, sostenitori e ufficiali pagatori dell’agenda di genere: non conta più che i sindacati difendano gli interessi concreti della “persona lavoratrice”, essenziale è che usino la neolingua. Ringraziano felici le “persone precarie”, le “persone disoccupate” (in Spagna sono quasi un quarto della popolazione) e le “persone sfruttate”, a qualunque sesso, genere, orientamento sessuale, origine etnica, razziale o confessione religiosa appartengano.
In Europa, per chi non è d’accordo con il modello di “società aperta”, condiviso da filantropi generosi come George Soros, ci sono le azioni come quelli contro l’Ungheria e la Polonia, simboli della resistenza “nazionale” ed etica. Le due nazioni hanno presentato ricorso contro il meccanismo di condizionalità dei fondi, che li nega per motivi ideologici. Intanto si annuncia una risoluzione del parlamento, sostenuta anche dai popolari, volta a dichiarare l’intera UE “zona di libertà LGBTQ+”.
La Bisanzio della crisi economica, dell’immigrazione incontrollata, del dominio finanziario, della disuguaglianza crescente tra ricchi e poveri, della pandemia, della caduta in mani private finanche dell’acqua, è espugnata, ma lorsignori discutono del sesso degli angeli. La risoluzione intende sanzionare gli Stati membri che non riconoscono “i diritti delle persone LGBTQ+”: il documento programmatico menziona esplicitamente la Polonia, ma è evidente il riferimento anche a Ungheria, Bulgaria e ad altri Stati dell’Europa orientale.
Triste fine di un continente che ha creato civiltà per millenni e, in attesa del sempre più probabile arrivo dei barbari, discetta dei diritti di chi non ha l’” orientamento sessuale” che ha permesso la riproduzione della civiltà attraverso la nascita di nuovi membri.

Tuttavia, la gaia scienza assicura che siamo finalmente giunti alla pienezza dei tempi, alla perfezione in cui il passato, compreso il suo obsoleto vocabolario, è solo un deplorevole detrito da rimuovere, utile solo per illustrare il male di ieri.

L’umanità inclusiva, equivalente, nemica di ogni offesa, scevra da ogni pregiudizio, è in marcia. Nulla da celebrare, se non se stessi, come Walt Whitman (Canto me stesso, e celebro me stesso). Cantano il nulla con tono da illuminati.

Nel parlamento europeo e in tutto l’Occidente terminale dominano i nuovi Catari, dotati di una parola senza discriminazione e di un pensiero infinitamente inclusivo. Agiscono come la cloaca massima: non lasciano fuori nulla, una grande discarica che rapisce frattaglie e prelibatezze senza valutarle, né considerare la differenza.
Ogni giudizio è oppressione: tutto scompare nel ventre di uno spirito distorto.
Inclusione infinita e indifferenziata dei Giusti, elevati alla sublime prospettiva dell’uomo nuovo. Tutto il passato è un errore in cui solo ai margini si intravvede  l’annuncio del luminoso presente.

Vittime, esclusi, anormali, pazzi, afflitti, squilibrati: solo attraverso le vestigia marginali, nascoste dai vincitori di ieri, troveremo il presente dell’inclusione infinita. Il passato patologico è il padre dell’eterno presente; Efialte, il traditore degli Spartani alle Termopili, è l eroe la cui figura deforme è l’effetto della storia prescritta.

Liberato dalla prospettiva del bianco e binario Occidente, Efialte si presenta come un Apollo scatenato e libero. Ulisse è  l’ombra di un’ oscura egemonia finalmente svelata: marito e padre, titoli di terrificante dominio. Penelope può abbandonare la tela e sfidare il Signore.

Tutto futile, superfluo, provvisorio: i mandarini di Bruxelles, le beghine dell’inclusione, i sofisti dell’equivalenza, i grammatici politicamente corretti presto diventeranno un ricordo grottesco. Arriveranno i barbari, finirà la gaia incoscienza, avrà fine il baccanale e nessuno discuterà più del sesso degli angeli. Forse i barbari diranno come Solzhenitsyn nell’esilio americano, meravigliato della decadenza occidentale: tanta allegria, e perché poi?