Giacomo Maria Prati
Ecco vengo come un ladro
Felice colui che si prepara
e conserva le sue vesti
Apocalisse, 16,15
Normalmente la pastorale ecclesiale cattolica e la percezione comune dei fedeli cristiani sposta il ritorno di Cristo al momento del Giudizio Universale, quando il tempo, la storia e la creazione per come la conosciamo finiranno per sempre e l’umanità redenta abiterà la Gerusalemme celeste. Come se si avesse paura di un Dio che torni a visitarci nel tempo e si volesse allontanare il momento del suo ritorno tra gli uomini. Molti passi del Nuovo Testamento, e anche degli Atti degli Apostoli sembrano invece far riferimento ad un ritorno di Cristo risorto nella storia, ad inaugurare una fase del mondo antecedente al Giudizio finale e differente dall’attuale. Si tratta della cosiddetta “seconda venuta di Cristo” o: “venuta intermedia” del Signore.
Un tema affascinante non solo per la fede cristiana (anche protestante) ma pure culturalmente e a livello ermeneutico. Proviamo a concentrarci su questi passi, partendo dal sottolineare alcuni passaggi vangelici tratti dagli Atti degli Apostoli per poi allargarci a risonanze degli stessi con il Vangelo di Luca e l’Apocalisse di Giovanni. Nei pochi giorni, quaranta, in cui il Risorto incontra i suoi apostoli e parla con loro essi, pieni di entusiasmo di fronte alla novità sconvolgente e assoluta del primo ritorno dalla morte mai accaduto, subito gli chiedono quello che a loro più premeva, in quanto israeliti: Signore è questo il tempo in cui ristabilirai il Regno di Israele? Cristo non risponde: ma cosa dite? Io regno solo dalla croce (come dice il clero italiano, oggi). Ma nella sua risposta è implicita la conferma dell’avvento, un giorno, proprio di questo “tempo del Regno di Dio sulla terra”. Gesù infatti dice loro che non spetta agli uomini conoscere “i tempi” che solo il Padre conosce e che il tempo che Lui inaugura con la sua resurrezione è il tempo dell’annunzio del Vangelo, della prova e della testimonianza per la conversione delle nazioni (pagane e idolatre) all’unico vero Dio (Atti, 1,6-7). Ma può questo tempo (che dura fino a noi, oggi) continuare all’infinito? No di certo; non avrebbe senso. Il kerigma cristiano non è fine a sè stesso ma per sua natura appare finalizzato alla realizzazione della sovranità di Cristo sulla terra che prima o poi dovrà compiersi. Ce lo ricorda anche la preghiera del “Padre nostro”: come in cielo così in terra; insegnamento anticipato dai Salmi (110: finchè io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi) e confermato dalla predicazione di San Paolo (1Cor.23-25) che proprio riprende il salmo del trionfo messianico sulla terra. Poco dopo Gesù ascende al Cielo di fronte agli occhi increduli e stupefatti dei dodici apostoli e devono scendere degli angeli celesti per distogliere loro dal guardare in alto, ricordando e insegnando loro che: questo Gesù che stato sollevato al cielo di fronte al voi così tornerà un giorno, dal cielo. (Atti, 1,11).
L’insegnamento angelico agli apostoli quindi conferma un ritorno di Cristo sulla terra, nel tempo, in una fase quindi che non c’entra con il Giudizio Universale, dove la terra scompare e tutto si presenta di fronte al trono di Dio Padre; movimento ontologico esattamente contrario ad una seconda discesa pubblica di Cristo risorto fra gli uomini. Torniamo agli Atti degli apostoli (2,17-21): nella sua decisiva prima predicazione pubblica alla Pentecoste Pietro arringa i pellegrini israeliti giunti a Gerusalemme da tutto il mediterraneo e già dalle prime sue parole inserisce la novità di Cristo risorto dentro una logica messianico-escatologica molto precisa parlando della resurrezione cristica come di un evento che ha inaugurato gli ultimi tempi (εσκάταις ημέραις).
Non solo: Pietro profetizza riprendendo le visioni profetiche di Michea, Malachia e Gioele sul “gran giorno dell’ira del Signore” quale speciale manifestazione sulla terra (sottolineiamolo bene) della potenza di Dio contro i malvagi e le potenze pagane e idolatre e a liberazione dei giusti. Tale manifestazione divina non conclude quindi la storia umana ma ne introduce una fase nuova, migliore e viene anticipata, ce lo ricorda Pietro, da speciali sconvolgimenti celesti nella luna e nel sole. Questo tema viene ricordato e annunziato da Cristo stesso come riporta il Vangelo di Marco e rappresenta in quel testo il motivo principale della condanna di Gesù da parte del Sinedrio (Mc.14,62). Profeticamente quindi il tema biblico e vangelico del “grande giorno del Signore” (megas hemera Theou) non c’entra nulla con il differente “Giudizio Universale” (Mt.25, 31-45; Ap.20, 11-13). Pietro lo chiama: il giorno del Signore grande e glorioso (epiphane).
Επίφανος indica proprio la “manifestazione” del Signore risorto, a tutti e in modo potente e chiaro; cioè in altre parole una seconda venuta di Cristo sulla terra; intermedia fra l’Incarnazione e il Giudizio Universale che supererà la creazione per sempre. In un terzo passo degli Atti degli apostoli è sempre Pietro ad assumere nuovamente toni messianico-escatologico, mentre predica al Tempio di Gerusalemme dopo una guarigione miracolosa. Qui il capo degli apostoli insegna a tutti connettendo chiaramente l’ascensione di Gesù al suo prossimo ritorno restaurativo (il Regno di Cristo sulla terra): è necessario che Egli sia accolto in cielo fino al momento del ristabilimento di tutte le cose di cui Dio parlò fin dai tempi antichi per bocca dei suoi profeti (Atti, 3,21-22).
Ma questo “tempo della restaurazione” non può coincidere con la “fine del tempo” propria del Giudizio Universale, ma deve trattarsi di una nuova fase storica dove il bene prevarrà sul male, la regalità di Cristo sopra le potenze idolatriche e pagane. Anche nel Vangelo di Marco appare una simile visione profetica di una seconda venuta di Cristo che presuppone la continuazione del mondo e non la sua fine: allora si vedrà il Figlio dell’Uomo giungere tra le nuvole con grande potenza e gloria (Mc.13,25.26). A questo ritorno (dalle e tra le nuvole, cioè in questo mondo) corrisponde non la dissoluzione di tutto ma il divino “radunare gli eletti”, come viene raccontato nell’Apocalisse di Giovanni dopo l’apertura del sesto sigillo. Un altro passo vangelico, questa volta di Luca, conferma questo sguardo interpretativo sull’esistenza di un’importante dimensione messianico-escatologico post-resurrezionale nel Nuovo Testamento: la resurrezione di Cristo non ha esaurito tutte le profezie; restano da attuarsi quelle sul “gran giorno del Signore” e sul “raduno degli eletti”.
Il passo è celebre ma ancora poco focalizzato a livello di logica spirituale: ma il Figlio dell’Uomo venendo ancora troverà la fede in terra? (Lc.18,8). La domanda di Gesù ci provoca e sconvolge e viene posta agli apostoli appena dopo una parabola sulla giustizia di Dio e sul fatto che essa si realizzerà sulla terra. Una domanda che presuppone e implica un ritorno fisico (non allegorico) di Cristo sulla terra; la “seconda venuta” o parusia, appunto. Per concludere torniamo alla prima lettera ai Corinzi di Paolo e analizziamola in quel passo profetico prima citato: come infatti in Adamo tutti muoiono così anche in Cristo tutti saranno vivificati. Ciascuno però nel proprio ordine: prima Cristo che è la Primizia; poi quelli che sono di Cristo alla sua venuta (parusia); quindi la fine (telos) quando Cristo consegnerà il Regno a Dio Padre, dopo aver annullato ogni principato e ogni potere e potenza. Bisogna infatti che Lui regni finchè non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. Ultimo nemico sarà la morte….” (1Cor,15,22-28).
Un passo complesso, denso e potente ma pure molto chiaro e preciso. Paolo qui insegna ponendo una gradualità nei tempi profetizzati, all’interno dell’ultimo tempo di pienezza inaugurato dalla resurrezione di Cristo. La prima fase della nuova storia della salvezza inizia appunto con la resurrezione di Cristo. La seconda fase viene introdotta dalla parusia, cioè dalla manifestazione potente di Cristo sulla terra (la seconda venuta) e qui protagonisti saranno “quelli di Cristo” cioè i santi-martiri uccisi nella grande persecuzione e che Cristo resusciterà affinchè regnino sulla terra come ci ricorda bene l’Apocalisse di Giovanni (Ap.20,4).
E la terza e ultima fase sarà la consegna del Regno (dei mille anni) al Padre dopo questo felice periodo cristico e terreno durante il quale ogni potenza idolatrica, pagana e anticristiana sarà sulla terra sottomessa o distrutta, come previsto dagli antichi profeti, maggiori e minori. Con la prima fase Dio tramite Cristo ci libera dal peccato e ci riapre la vita di grazia e le porte del Paradiso: è il tempo dell’annunzio, della prova e della testimonianza; il secondo tempo inizia dopo la distruzione di “Babilonia” e corrisponde all’incatenamento di satana per mille anni: qui i cristiani regneranno sul mondo e tutte le nazioni si convertiranno a Cristo. Tempo ovviamente non ancora iniziato.
Concluso il Regno dei mille anni dei santi di Cristo (e svuotato il Purgatorio) allora ci sarà il Giudizio finale, la scomparsa dell’attuale creazione e la discesa della Gerusalemme eterna e celeste “adorna come una sposa”. Qui l’ultimo nemico distrutto è, appunto, la morte e le sue “amiche”(dolore, fatica) Non possiamo dire che la Scrittura manchi di logica e coerenza!