VERA E FALSA GNOSI – di Luigi Copertino

VERA E FALSA GNOSI

 

Chiamato ad una scelta

L’uomo, da quando è venuto all’essere, è costantemente posto di fronte ad una scelta metafisica che ne determina il destino, di salvezza o dannazione. Si tratta di una scelta di conoscenza ma non deve pensarsi che sia una questione per i soli sapienti. Questa scelta metafisica si svela in qualsiasi atto della vita quotidiana, laddove l’uomo è chiamato ad orientarsi verso il Bene o, al contrario, verso l’autoreferenzialità. Anche la madre di famiglia che ogni giorno si alza per provvedere alla casa, anziché tranquillamente dedicarsi alle frivolezze dello shopping insieme alle amiche, fa una scelta metafisica, benché essa avvenga sul piano dell’etica piuttosto che su quello riflessivo della cultura o su quello interiore della spiritualità.

Ora, però, anche l’etica, come la spiritualità, è fondata sulla conoscenza, giacché l’essere umano nasce strutturalmente votato alla Sapienza che viene dall’Alto. Tuttavia, creato libero, l’uomo può – e molto facilmente questo accade di continuo – sviare la sua vocazione sapienziale verso la falsa luce di una falsa conoscenza.

Il racconto biblico, in ordine alla prova non superata da Adamo, narra, appunto, di questa costante tensione ontologica cui l’umanità, avendo fallito nella scelta originaria, continua ad essere sottoposta.

Per questo, secondo Tommaso d’Aquino (Summa contra Gentiles, Libro I, Capitolo I, n. 7) l’uomo è chiamato a ritrovare, per così dire, il bandolo perduto della matassa affrontando una duplice missione consistente, da un lato, nel riaccostarsi alla Sapienza, che gli è rivelata, e dall’altro nel rigettare l’errore contrario a detta Sapienza.

Per la Scrittura, infatti «Veritatem meditabitur guttur meum, et labia mea detestabuntur impium» (Proverbi 7,8).

La Verità, che è la Sapienza rivelata, costituisce, sin dalla narrazione della prova edenica, la Vera Gnosi, la Vera Conoscenza, cui l’Adam, l’Uomo, è chiamato con tutto il suo essere, spirito, anima e corpo.

L’errore, invece, coincide con l’empietà e costituisce, a maldestra per quanto suadente imitazione della prima, una falsa gnosi, una gnosi spuria, che mostra, tuttavia, nella sua falsa luce, di essere in grado di adescare, sviare, l’uomo (1).

In questo essere chiamato a scegliere tra gnosi pura e gnosi spuria si dispiega il dramma della salvezza dell’uomo.

Infatti lo sviluppo della falsa gnosi si dipana in modo tale da aver influenzato tutte le culture umane, fino al tentativo di penetrare anche all’interno del Recinto Sacro della Rivelazione Abramica, il cui culmine è l’Incarnazione del Verbo.

Una presenza costante.

La falsa gnosi tenta, dunque, di insinuarsi, per corromperla, in quella vera ossia nella gnosi cristiana. Quest’ultima è la sola gnosi perfetta, perché è divinamente rivelata secondo le parole stesse del Signore Gesù: «nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Luca, 10, 22). Chi può essere annoverato nella categoria di coloro ai quali il Padre è rivelato dal Figlio? Nello stesso Vangelo di Luca, poco prima, Gesù Cristo loda il Padre perché Egli ha nascosto la Vera Sapienza ai dotti e ai sapienti – ossia a chi segue la sapienza del mondo – e la ha rivelata ai piccoli (Luca 10, 21). Mai i “piccoli” chi sono? Sono tutti coloro che, con umiltà, accettano la Rivelazione e si sforzano di penetrarla percorrendo le vie della Vera Gnosi e diffidando della seduzione, forte, proveniente dalla luce fredda della falsa gnosi. Nel novero dei “piccoli”, pertanto, sono ricompresi sia i mistici, sia gli uomini di cultura, sia la madre di famiglia. Quel che li distingue è la costante preghiera rivolta all’Altissimo affinché Egli, kenoticamente, si riveli loro ogni giorno, si pieghi soccorrevole sulla creatura tenacemente peccatrice.

L’uomo, tuttavia, non può rimanere inerte e deve a sua volta sforzarsi per tendere verso la Vera Gnosi. In questo sforzo consiste la dimensione intermedia della gnosi imperfetta, della conoscenza umana che è per sua natura sempre «in specchio ed in enigma» secondo l’affermazione di Paolo nella I Corinzi, 13, 12. La conoscenza umana se da un lato permane aperta all’Infinito, sicché è perfettibile a Dio piacendo, dall’altro lato facilmente può inabissarsi nei gorghi della falsa gnosi.

Gli storici della religione non accettano, solitamente, categorie generali e cercano di scendere nello specifico. Fanno il loro mestiere. Con il termine di “gnosi” o “gnosticismo”, infatti, essi indicano soltanto alcune correnti spirituali storicamente agenti nei primi secoli cristiani in frammista concorrenza con la nuova fede che andava diffondendosi da Gerusalemme nell’orbe ellenistico-romano. Ma, quando la stessa indagine storiografica porta ad evidenziare che forme definibili come gnostiche possono essere rintracciate spazialmente in diversi contesti e temporalmente in epoche anche distanti – come è, ad esempio, il caso del catarismo medioevale nel quale riemerge un più antico filone manicheo ed orientale – bisognerebbe porsi la domanda se non esiste tra le diverse forme di spiritualità gnostica un comune denominatore tale da consentire di parlare di “gnosi” come categoria a sé stante.

La parola gnosi, infatti, indica una tipologia di spiritualità molto antica che attraversa l’intera storia del pensiero umano e che ha connessioni con la teologia come con la filosofia, con le scienze come con l’arte, con la mistica come con l’antropologia. Dalle sue remote origini e lungo i secoli, lo gnosticismo ha assunto variegate forme dottrinarie ma rimane sempre possibile rintracciare in tutte queste forme alcuni elementi che danno ad esso un’identità precisa.

Cogliendo questo comune denominatore è poi possibile seguirne lo sviluppo spaziale e temporale nei diversi contesti umani e lungo i secoli. Per questo motivo, l’indagine sulla gnosi spuria non ha un mero valore erudito o storico o filosofico ma assume la dimensione dell’attualità in quanto si tratta del quotidiano dramma ontologico dell’uomo post-adamitico. E’, infatti, possibile scoprire la presenza della falsa gnosi alla radice stessa di tanta cultura del passato e del nostro tempo come anche di tante convinzioni mediaticamente diffuse tra le masse a determinarne i comportamenti “politicamente accettabili” che il Potere Globale impone generando negli uomini l’illusione che trattasi di libere e consapevoli scelte personali.

Quel che oggi deve essere motivo di allarme è soprattutto il fatto che la falsa gnosi, che da secoli si aggirava “come leone ruggente” intorno all’Ovile del Signore senza potere realmente penetrarvi,  sembra sia riuscita nel suo intento. La Chiesa, infatti, come ricordava Giovanni Paolo II (Udienza del 24 agosto 1983), preda di “teologie spurie”, appare oggi sballottata dalle onde e portata di qua e di là  «da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella astuzia che tende a trarre nell’errore» (Ef. 4,14). Con la stessa citazione di Paolo, Benedetto XVI ha definito l’essenza del relativismo, ossia la negazione dell’esistenza della Verità, indicandolo come uno dei maggiori caratteri della falsa gnosi.

La gnosi spuria sotto il profilo metafisico

Sul piano metafisico, il primo elemento, che in genere appare immediatamente, a segnalare la falsa gnosi è l’opposizione radicale alla Rivelazione fondata sul Logos Svelato ed Incarnato. In altre parole, si tratta dell’orrore per la carne ovvero per la creazione, che viene intesa come il luogo dell’esilio dello Spirito. Due termini consentono di comprendere la distanza che separa la Gnosi rivelata da quella spuria e sono “partecipazione” e “caduta”. La gnosi spuria è negazione dell’essere partecipato per l’affermazione dell’essere come caduta.

«Nell’interpretare la realtà, due soltanto sono i giudizi sull’essere: l’essere, infatti, o è dall’intelligenza umana interpretato come partecipazione oppure è interpretato come caduta. Sia nel primo che nel secondo giudizio le conseguenze sono di grande importanza e tali da influenzare tutto il vivere umano. L’essere è partecipato da una fonte sapiente, libera ed amante: l’Infinito Iddio. Egli, pienezza di coscienza, bontà e bellezza, partecipa il suo essere amando gli esseri che crea, ordinandoli in una collaborazione che rispecchia la sua perfezione, cui tutti – e l’uomo consapevolmente e liberamente – tendono. L’essere, invece, cade, primordialmente e necessariamente, da una oscurità inconscia innominabile informe e indeterminata, e tale caduta, che comporta la degradazione e la differenziazione degli esseri, dev’esser riassorbita nell’unità indifferenziata del tutto» (2).

La “metafisica della partecipazione” è l’unica metafisica che è possibile desumere dalla Rivelazione biblica. Essa può, teologicamente e filosoficamente, essere presentata sotto diverse modalità di scuola – ed infatti la Chiesa, pur preferendone in particolare alcune, ammette diverse teologie purché conformi con la Rivelazione ed il dogma – ma tutte sono, a ben vedere, espressioni della stessa metafisica della partecipazione.

Nella linea patristico-agostiniana-tommasiana la partecipazione è immediatamente desumibile dalla metafisica dell’Essere come Atto Puro, Sussistente per Se Stesso, Increato, Semplicissimo e Infinito – l’Ipsum Esse Subsistens –, che è il suo proprio Essere e che partecipa l’essere creato, finito, non semplice, composto, il quale non è l’Essere ma ha l’essere che gli è dato – l’habens esse – in modo graduale secondo la maggiore o minore distanza dal Principio, dal Centro.

Nella Creazione, infatti, Dio partecipa il suo essere alle creature, le crea e le mantiene nell’esistenza attraverso il suo ineffabile Amore che è Sapienza. Dio rimane radicalmente e assolutamente trascendente alla creatura, sicché si può legittimamente dire che Egli è il “Totalmente Altro”, ma al tempo stesso, attraverso la partecipazione ontologica, che è dono ineffabile di sapienza trascendente e di amore infinito, le creature non sono né separate né opposte al loro Creatore, non sono esiliate, gettate, in una esistenza senza senso. Esse, le creature, sono al tempo stesso equivoche ed analoghe rispetto al Creatore. Dio, nell’atto della creazione, imprime alle creature la sua somiglianza, a ciascuna secondo la propria natura ossia nella misura in cui la sua natura, più o meno vicina a Lui, lo richiede.

Al vertice dell’universo sono poste le creature spirituali più simili e vicine a Dio, in quanto sue immagini, ossia gli angeli e gli uomini, ciascuna schiera nell’ordine del proprio stato dell’essere. Mano a mano, poi, che la distanza ontologica da Dio aumenta le altre creature, nessuna delle quali però “emana” da Lui perché tutte, dalle più alte alle più basse, partecipate ed orientate a Dio come loro fine. La Creazione, dai cori angelici fino alla più piccola ed apparentemente insignificante creatura, dai puri spiriti fino ai viventi e poi alla materia non vivente, è come una sinfonia che riflette in modo plurale e molteplice la perfezione una e semplicissima di Dio.

La metafisica della partecipazione, nel secolo XIII, ha trovato nel genio dell’Aquinate una delle espressioni più alta, se non la più alta, in particolare nella “Summa contra Gentiles” e nella “Summa Theologiae”. Ma lo stesso Tommaso è ampiamente debitore della riflessione patristica, in particolare di quella di Agostino e dello Pseudo Areopagita. Nel pensiero dell’Aquinate ha più importanza lo Pseudo Dionigi che Aristotile (3).

Nulla di più falso ridurre l’Aquinate al teologo della razionalità scolastica, per quanto egli è certamente il grande conciliatore tra Fides et Ratio e, sotto tale profilo, la sua opera appare tuttora ineguagliata. Sulla scia dello Pseudo Dionigi e di Agostino, Tommaso contempla non solo la catafaticità ma anche l’apofaticità di Dio. Senza metterle in opposizione, come fanno le eresie influenzate dalla gnosi spuria.

Dio, spiega Tommaso, è al di là di tutte le creature pur essendo “presente” in esse e da questo derivano le apparenti difficoltà della ragione umana che tenta di pensare Dio. Tali difficoltà insorgono quando si compie l’errore di porre Dio sullo stesso piano delle creature applicando a Lui i concetti della ragione nello stesso modo nel quale essi sono razionalmente applicati alle creature, dimenticando la radicale differenza sussistente tra Dio ed il mondo. Dio non può essere pensato in termini puramente razionali perché per la ragione umana Egli è, e resta sempre, un insondabile Mistero.

«Dio – afferma resoluto Tommaso – è al di sopra di quello che possiamo dire o pensare di Lui (est supra illud quod de illo dicimus vel cogitamus» sicché di Lui sappiamo «più quello che Egli non è che quello che Egli è (magis manifestatur nobis de Ipso quid non est, quam quid est» (Summa Theologiae, I, q. i, a. 9,  ad 3).

Come si vede il teologo dell’Ipsum Esse Subsistens ci dice anche che l’Essere di Dio non è l’essere delle creature sicché di Lui non possiamo dire nulla e nulla di quanto diciamo riuscirà mai a catturare la Sua Essenza, il Suo insondabile Mistero. Se Dio, sommamente apofatico, non si rivela, facendosi anche sommamente catafatico, l’uomo non potrebbe mai comunicare con Lui (4).

La gnosi spuria è l’antitesi della metafisica della partecipazione perché essa nega Dio come Ipsum Esse Subsistens che partecipa il suo Essere, ineffabile ed infinito, alle creature senza tuttavia degradarsi o confondersi con esse perché rimane assolutamente trascendente ad esse. La gnosi spuria concepisce la Creazione, che nel suo gergo “tecnico” è detta manifestazione, come caduta, per degradazione o frammentazione, da una Potenza oscura, incosciente, indeterminata. Un Nulla/Tutto che precipita in cadute successive, nei successivi pleromi del nulla.

Questo “Nulla primordiale”, oscurità esclusivamente apofatica senza possibilità di rivelazione catafatica, non deve essere confuso con il dato rivelato (2Mc. 7,28) della creatio ex nihilo, formula che intende significare che nulla presuppone l’atto creatore di Dio: «Tale formula potrebbe essere convertita in quest’altra: creatio ex ipso Deo, nel senso che consiste nella partecipazione di Dio, liberrimo consilio voluta. […]. La creazione divina comporta l’ordine divino del creato che riflette in qualche modo la perfezione divina: bisogna evitare che il “fa” (o Parola del Verbo) divino diventi Fatum anonimo, che la Volontà Amorosa partecipante diventi Nomos anonimo, perché questo condurrebbe alla protesta gnostica» (5).

Il Nomos senza Volto, infatti, altri non è che l’A-Nomos, la Legge al rovescio. Ecco perché lo gnosticismo è un essenziale rovesciamento della metafisica della partecipazione.

La gnosi spuria sotto il profilo storico.

Sul piano storico è interessante seguire le vie, sovente carsiche, per le quali la gnosi spuria dalle sue origini giunge fino a noi. Essa si presenta, storicamente, a partire dalle sue più remote origini pagane, precristiane, occidentali ed orientali. E’ spazialmente presente in ogni epoca nel panorama religioso dell’umanità. Con l’evidente eccezione abramica. Questa costante presenza diventa chiara in una prospettiva teologica della storia come una specie di ambigua istanza primordiale che percorre tutto il corso della storia umana.

L’indagine sarebbe molto lunga sicché non è possibile delinearne i contenuti in un breve spazio. Tuttavia possiamo dire che la gnosi spuria è presente sia in Occidente che in Oriente ed è rintracciabile tanto nelle antiche religioni pagane, mesopotamiche, amerindie, quanto in quelle induiste, cinesi, estremo-orientali.

Un caso molto particolare è quello costituito dalla gnosi ebraica. La vicenda della vocazione, post-adamica, di Abramo, un pagano nomade, come tanti ve ne erano in quell’area, ha inizio all’interno del mondo mesopotamico. L’antico Patriarca abbandona non solo la casa natale alla ricerca di una terra promessa ma anche la religione atavica per seguire, mosso soltanto dalla fiducia, un misterioso Dio che gli si era rivelato quale Presenza del tutto slegata da spazio e tempo come anche da ogni cultura e territorio particolari. Un Dio universale che egli, Abramo, inizialmente accetta pur continuando a venerare gli antichi déi paterni. Ben presto, però, comprese che il Dio che gli era rivelato era l’Unico ed il solo al quale poter affidare la sua vita.

Da Abramo, che non era ebreo, nacque il popolo ebreo. L’unico popolo, nell’antichità, depositario della fede nel Dio universale e trascendente, Creatore del cielo e della terra. Tuttavia, nonostante gli sforzi e le lotte, persino cruente con i popoli circumvicini, per la preservazione della fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, delle quali il Vecchio Testamento offre ampia testimonianza, il popolo ebreo non sempre riuscì a preservarsi immune dalla suadente tentazione delle religioni della fertilità nelle quali il paradigma falso gnostico, in versione panteista, allignava. La cultura religiosa degli ebrei, pertanto, non restò incontaminata da influenze gnostiche nel contatto con i popoli che circondavano Israele.

Ma nonostante la pressione ambientale, è possibile affermare  che, per un disegno provvidenziale, il Vecchio Testamento rimase incontaminato. I Profeti dell’Antico Testamento e gli Israeliti fedeli al Dio di Abramo, anche quelli del tempo di Gesù come Nicodemo o Giuseppe d’Arimatea, non abbandonarono mai la via luminosa della Rivelazione. Non si può dire lo stesso per l’ebraismo postbiblico. Nel Talmud, purtroppo, insieme all’eredità dell’esegesi ebraica, senza prospettiva cristologica, della Torah sono rifluiti influssi gnostici. Come pure in alcune correnti della mistica ebraica che, nella fase dell’incontro tra ebraismo ed ellenismo, ha dato origine ad una esegesi ambigua della tradizione cabalista (6).

Nei primi secoli cristiani, i Padri della Chiesa dovettero dipanare il grano dal loglio all’interno dell’ellenismo onde individuare una metafisica conforme alla Rivelazione ed evitare le imboscate che la gnosi andava ponendo sul cammino della Chiesa primitiva, provocando l’emergere delle prime eresie, in particolare quelle a carattere monofisita che negavano la realtà del corpo di Cristo.

Dai tempi della Patristica fino al Medioevo la gnosi spuria ritorna soprattutto nei movimenti, spesso a sfondo pauperistico-nichilista, del bogomilismo e del catarismo. Si dovette, però, aspettare l’età umanistica e rinascimentale affinché, sull’onda del neoplatonismo mediceo, il quale impregnò di sé l’Europa intera, la gnosi spuria riuscisse ad assestare un colpo micidiale alla Cristianità, distruggendo, al di là di quelle che erano le effettive, e magari “pie”, intenzioni degli umanisti (sicché Henry-Marie De Lubac ha potuto, a proposito di Pico della Mirandola, parlare di “alba incompiuta del Rinascimento”), il lungo lavoro patristico che, a suo tempo, aveva permesso di enucleare un platonismo cristiano e la metafisica della partecipazione sulla quale innestare la Rivelazione biblica. Nel neoplatonismo rinascimentale riemergeva il “Plato non christianus” con la sua opposizione inconciliabile tra apofatismo e catafatismo che avrebbe portato alla rottura luterana tra Fides et Ratio ed avrebbe aperto le vie che sarebbero state, più tardi, percorse prima dall’Illuminismo e dall’esoterismo massonico, poi dal positivismo e dall’idealismo.

In ambito teologico, la gnosi spuria riuscì nella sua operazione di destrutturazione grazie a Lutero. Del quale solo di recente sono stati messi in luce gli addentellati con le correnti neoplatoniche del suo tempo e con l’ermetismo dei circoli eterodossi pullulanti nella Germania del primo cinquecento.

Lutero si formò in un ambiente tedesco pregno di gnosi fiorentina, restando influenzato dal nominalismo, sicché quando passò ai testi agostiniani e scolastici ne formulò una interpretazione che subiva gli influssi del clima intellettuale “neo-pagano” riemerso a partire dal XV secolo. Il rifiuto luterano della metafisica della partecipazione ne è il segno più evidente. La metafisica della partecipazione era da Lutero rigettata in nome del paradigma gnostico del “doppio contrario”, che contempla l’opposizione tra apofaticità e catafaticità, con conseguente rottura tra Trascendenza ed immanenza. Egli interpretava, distorcendoli, Paolo e Agostino mediante la prospettiva del “doppio contrario” nella formula, solo apparentemente paolina, della “contrarietà di specie”, quindi non più analogia, tra Dio e mondo. La metafisica radicalmente apofatica portò Lutero ad una interpretazione della Rivelazione secondo un paradigma esegetico del tutto estraneo alla Sacra Scrittura. Lutero, come ha rilevato Jacques Maritain, è stato uno dei tre riformatori che diedero avvio alla Modernità (7).

La gnosi spuria nella prospettiva della teologia della storia

E’ possibile approcciare la gnosi spuria anche sotto il profilo della storia della salvezza ossia della Teologia della storia.

Il senso ed il fine trans-storico degli eventi storici è l’ambito di studio della Teologia della storia ossia della conoscenza dei percorsi visibili delle vicende umane, come documentate dalla storiografia, ma collocati nella prospettiva del provvidenziale Disegno Salvifico di Dio, sempre rispettoso della libertà umana. In una prospettiva teologica, lo Spirito non è assente dalla storia ma, senza diluirsi in essa – questo l’errore dello storicismo hegeliano! –, la penetra per guidarla, nonostante ogni apparente controtendenza, al suo esito salvifico, nella concatenazione del visibile con l’invisibile.

Il senso della storia non è immanente ma trascendente. Esso, però, non è comprensibile se i dati forniti dalla scienza storica e dalla speculazione filosofica non vengono letti nella Luce della Rivelazione. La quale ci dice che la storia ha un inizio e muove verso un fine, che è sia “la fine” sia “il fine” nel senso proprio di “finalità” e quindi per estensione di “significato”. Nella prospettiva teologica è evidente che, come svela l’Apocalisse ossia la Rivelazione, in Cristo coincidono l’Inizio e la Fine, l’Alfa e l’Omega, sicché il corso apparentemente lineare della storia si piega ad un senso ed ad un significato trans-storico che riporta la Fine all’Origine senza alcuna inutile ripetitività ciclica, che è appunto lo sviamento gnostico della autentica Teologia della storia. Uno sviamento che, mentre afferma l’Assoluto atemporale, pretende di vietare a Dio di intervenire nel tempo naturale ciclico, nel quale si svolge la storia lineare umana (tempo e storia non sono la stessa cosa), in nome dell’“eterno ritorno” immanente inteso – in assenza di qualsiasi possibilità di kénosi (le “discese avatariche”, restando su un piano mitico, non sono discese salvifiche nella storia come è stata quella dell’Incarnazione) – quale legge cosmica inviolabile anche dal Principio.

Nella Luce della Rivelazione, la Creazione è fatta per l’uomo e l’uomo, imago Dei, è amato in vista dell’Incarnazione del Verbo Divino. Sicché la vicenda storica dell’umanità, sebbene segnata dal peccato d’origine (nonostante che l’uomo abbia comunque avuto la possibilità di scegliere un cammino storico, verso l’Incarnazione, non travagliato dalla colpa originale), tende alla finale coincidenza dell’aldiquà con l’aldilà, affinché la Creazione, in statu viae, trovi compimento nella Trasfigurazione Gloriosa, spirituale ma assolutamente concreta, della Gerusalemme terrena assunta dalla Gerusalemme celeste nel suo movimento kenotico, di discesa, nel momento finale nel quale i Cieli si squarceranno, ossia il Mistero inaccessibile si renderà definitivamente accessibile nello svelamento – l’atto del togliere il velo, quindi re-velatio – dell’Essenza Inaccessibile.

La Tradizione primordiale, sulla quale argomentano variamente gli gnostici di ogni loggia, altro non è che il contenuto della Rivelazione. Questo contenuto è in relazione con il senso della storia, che è comprensibile soltanto nella manifestazione piena del Logos. Piena, infatti, è soltanto la manifestazione del Logos adempiuta nell’Incarnazione.

Tuttavia il Logos non è mai stato assente nelle culture umane anche dopo l’estromissione dell’Adam, ossia dell’Uomo, dalla sua condizione originaria. Il cedimento umano alla suadente tentazione dell’“eritis sicut Dei” ha comportato anche lo smarrimento della Tradizione Primordiale, ossia del Verbo stesso, in innumerevoli rivoli inquinati da forme di conoscenza spirituale erronee, come se l’Acqua Pura della Sorgente fosse stata inquinata da apporti melmosi estranei alla Fonte ed immessivi per avvelenare la Bevanda Salvifica che Dio aveva offerto all’Uomo.

In questa mescolanza, dalla quale sono nate le diverse culture umane con la loro ambigua spiritualità, nella quale la Purezza Originaria è andata perduta nella sua integralità primordiale, restavano comunque tracce di Verità ma, appunto, miste all’errore. E’ su queste tracce che Dio, mentre preparava l’Incarnazione del Verbo nella storia particolare di Israele, ha fatto leva per contestualmente preparare anche i gentili all’Evento, come aveva promesso all’umanità noachica consegnando ad essa, dopo il Diluvio, in pegno di Alleanza, il segno dell’arcobaleno. Nonostante l’inquinamento gnostico nella pluralità di civiltà e di culture è sempre stato possibile, discernendo il grano dal loglio, ritrovare le Vestigia Verbi, piantate come Semi della Parola di Dio.

Non a caso la Patristica ha parlato di “semina Verbi”, anticipando l’ammonimento che oggi si deve fare ai “catto-talebani” avvezzi a ridurre l’Opera salvifica di Dio alla sola vicenda di Israele con negazione della Sua Provvidenza verso i gentili. Provvidenza che si è manifestata anche nella preservazione tra essi dei Semi del Verbo in modo poi da sospingerli – è il caso della riflessione filosofica ellenistica – un po’ alla volta verso l’abbandono della religiosità pagana in favore della ricerca del Dio universale.

La Verità rivelata, dunque, ha agito in uno scenario perennemente sospeso tra gli influssi della falsa gnosi che tentano di oscurarla, le vestigia seminali del Verbo o, come dicevano i Padri della Chiesa, i logos espermatikós, che lungo i secoli l’hanno comunque misteriosamente preservata nel cuore degli uomini e nelle culture dei popoli, e la Luce piena della Suo adempimento totale nell’Incarnazione.

E’ quindi necessario riconoscere, lungo i secoli, assieme alla costante presenza di una Vera Gnosi, anche quella di un’altra gnosi, falsa. Questo riconoscimento consente di penetrare il senso più autentico del percorso storico universale ritrovandolo nelle molteplici forme particolari di ogni cultura e di ogni epoca. In tal modo mentre da un lato è facile scorgere la persistenza dei Semi del Verbo, dall’altro è altrettanto facile accorgersi della presenza maligna della contraffazione della Verità Primordiale.

La Vera Gnosi, Sapienza Divina e umana, Verità allo stesso tempo rivelata e oggetto umano di riflessione, è, nel nostro attuale pellegrinaggio terreno, costantemente insidiata dall’altra gnosi, quella falsa che tenta in continuazione di avvelenare il cuore dell’uomo e, sul piano storico, di corrompere, se le fosse concesso, la Chiesa dall’interno dopo averla inutilmente perseguitata dall’esterno.

 

Luigi Copertino

 

NOTE

  1. Dobbiamo questa distinzione alla vasta opera, inquattro volumi, del teologo Ennio Innocenti: La gnosi spuria I. Dalle origini al Seicento, Roma 2003; La gnosi spuria II. Seicento e Settecento, Roma 2007; La gnosi spuria III. Dalle origini all’Ottocento, Roma 2009; La gnosi spuria IV. Il Novecento, Roma 2011.
  2. Cfr. E. Innocenti, La gnosi spuria I. Dalle origini al Seicento, op.cit., p. 3.
  3. Che poi lo Pseudo Dionigi sia autore cristiano dipendente da Plotino e Proclo è cosa ancora discussa e non pienamente dimostrata. Anche sulla datazione delle sue opere la diatriba è tuttora in corso. In ogni caso non vale tanto la dipendenza quanto piuttosto il modo nel quale la materia, sulla quale si è lavorato, è stata trasformata. Ossia quel che conta è quanto del platonismo dello Pseudo Areopagita era già nel solco del “Plato christianus”, quindi aperto e conforme alla Rivelazione biblica, in pratica tutto, e quanto invece restava nel solco del “Plato paganus”, in pratica niente.
  4. L’attività teologica di Tommaso d’Aquino si interruppe improvvisamente il 6 dicembre 1273, tre mesi prima della morte, dopo una celebrazione Eucaristica. Da quel 6 dicembre Tommaso, il grande teologo, tacque, depose i suoi libri e non scrisse più nulla. Si rinchiuse in sé e nella continua preghiera. Il suo segretario e confessore Reginaldo, non capacitandosi di così improvvisa mutazione, insisteva nel chiederne la motivazioni. Tommaso gli rispose soltanto che non poteva più scrivere. Alle ulteriori insistenze di Reginaldo, l’Aquinate cedette confessando: «Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia in confronto a ciò che ho visto e che mi è stato rivelato». Cos’era successo durante quella celebrazione eucaristica del 6 dicembre? Molti narrarono di aver visto Tommaso durante la messa rapito in estasi, tanto che i suoi vicini dovettero scuoterlo per fargli proseguire la celebrazione. Una rivelazione mistica aveva cambiato la prospettiva di Tommaso. «Il grande Tommaso, dopo aver scritto la Summa, aveva compreso la propria inadeguatezza davanti al mistero di Dio, la povertà delle sue pur dotte parole davanti all’indicibilità di Dio e alla insondabilità del suo Essere. Ogni parola umana si esauriva davanti al Mistero. La via migliore era la contemplazione ed il silenzio alla presenza di Dio. Tommaso è considerato il cercatore instancabile del mistero di Dio. È stato, il suo, il massimo tentativo “razionale” di indagare sulla realtà di Dio. (…). Perché non comprendiamo la profonda simpatia che ispira Tommaso, il pathos che l’uomo suscita al di là delle presentazioni scolastiche del suo pensiero, il cercatore continuo del mistero, il pellegrino verso l’abisso di Dio? (…). Tommaso, a noi naufraghi della modernità, con il suo non fermarsi mai, la sua esplorazione continua, ci insegna ad evitare due rischi: da una parte voler ricondurre tutto alla ragione, al luogo che crede di spiegare tutto, alle ideologie che, in quanto sistemi compiuti producono violenze; dall’altra, la rinuncia, il nichilismo, l’affidamento al nulla, il pensiero debole. Tommaso ci insegna a cercare da viandanti il senso della storia, il valore della terra e dell’esperienza umana, guidati dal Mistero» (Cfr. Bruno Forte “Il silenzio di Tommaso”, Piemme, Casale Monferrato, 1998). Tommaso ci ha insegnato che l’uomo deve cercare Dio ma con perseveranza ed umiltà, felice di quello che trova nella Luce dello Spirito, cercarlo sempre senza stancarsi fino a quando lo vedrà “faccia a faccia”. Solo allora cesserà la ricerca perché sarà iniziata la visione di Dio ossia il Paradiso.
  5. Cfr. E. Innocenti, La gnosi spuria I. Dalle origini al Seicento, op.cit., p. 4.
  6. Esiste, infatti, come dimostrato da Julio Meinviele una tradizione cabalista perfettamente conforme alla Rivelazione abramica ed una, invece, inquinata da correnti di spiritualità ambigue di provenienza extra-biblica.
  7. Cfr. J. Maritain, Tre Riformatori, Morcellania, 2001.