Come può la Chiesa chiedere fedeltà al peccato?

di Costanza Miriano

Caro don Gian Luca Carrega,  mi dispiace molto che lei abbia ricevuto in un anno un solo invito a un matrimonio (non si dice “tradizionale” come scrive la Stampa: è l’unico matrimonio possibile, quello senza aggettivi, quello sacramentale, quello fra un uomo e una donna) e ben tre unioni civili, che lei definisce gay, e che invece si chiamano omosessuali, perché gay è una parola supina all’ideologia omosessualista. I gay infatti non sono affatto più contenti della media delle persone.

Mi dispiace molto per lei, ma si faccia due domande. Forse lei non è abbastanza credibile, come sacerdote. Forse non profuma di Cristo, forse nessuno attraverso di lei segue la proposta di fede della Chiesa perché lei non fa evangelizzazione per inseguimento, come vuole il Papa. Forse attrae solo un determinato tipo di persone perché lei gliela manda per il verso loro: cioè dice loro che va bene così, che va bene quello che stanno vivendo, che nella vita è tutto uguale purché si stia bene. Che non c’è bene e male assoluto. Discerniamo. Non è questo il compito di un pastore, di un sacerdote. Il suo compito sarebbe quello di annunciare la Verità di ogni uomo, che è Cristo.

Adesso si mette a fare anche dei corsi per invitare queste persone alla fedeltà di coppia omosessuale. Cioè lei invita ad essere fedeli al peccato. Un intento diabolico, direi. Un uomo che cerca di essere casto, un omosessuale che cerca Dio, come dice il Papa, se ogni tanto cade – anche in rapporti occasionali – se si pente e si confessa può accedere all’eucaristia. Uno che ha come programma di vita quello di peccare tutti i giorni finché morte non lo separi, no.

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Siamo d’accordo che – in generale – la fedeltà sarebbe meglio della promiscuità. Ma siamo sul piano dei valori. Per insegnare questo bastano i corsi di affettività della buona scuola, basta la Fedeli, bastano la buona educazione, il buon senso, il moralismo. Me li può insegnare anche un ateo, anche un buddista, se è per questo. Lei invece è un sacerdote della Chiesa Cattolica, lei deve testimoniare l’incontro con Cristo e renderlo possibile anche a noi, suo popolo. Lei ha la responsabilità di tramandare ai nostri figli il deposito della fede, quella per cui sono morti gli apostoli e i martiri in duemila anni. Non è roba sua. Non si può permettere di farne strame. Non può entrare come una volpe nel pollaio.

Se vuole veramente il bene di queste persone li inviti a fare percorsi come quelli di Courage, che proprio a Torino ha già salvato tante persone, o Luca Di Tolve, non dica loro di rimanere dove stanno perché per far quello non serve il sangue versato da Cristo per loro.

Lei dice che non si è posto il problema delle camere, se singole o doppie, da dare ai partecipanti al suo corso, ma che essendo un convento probabilmente darete solo celle singole. Be’, la informo, se non lo sa, che invece tra due sposi veri l’unione sessuale è uno dei momenti più santi, voluto da Dio, talmente bello che a quell’unione è affidata la generazione di nuove creature, nuovi possibili figli di Dio. Agli sposi veri non solo si potrebbe, anzi si dovrebbe dare una stanza doppia. Lei, manco le basi, proprio.

Mi chiedo se il suo Vescovo, monsignor Cesare Nosiglia, lo sa. Lo sa che lei invita queste coppie ad avere rapporti sessuali stabili e continuativi e necessariamente sempre chiusi alla vita, contrari a tutto quello che Dio ha pensato nel suo disegno di amore per l’uomo? E se lo sa, perché non prende provvedimenti, il Vescovo? Lei sta invitando queste persone a vivere sempre più stabilmente nel loro peccato. Non so se i suoi studi di teologia l’hanno portata a vette troppo alte, tanto da farle dimenticare la prima lezione di catechismo. Il peccato originale è credere di sapere noi da soli cosa sia il bene e cosa sia il male. Per questo siamo nella Chiesa, per essere certi che quello in cui crediamo non sia un parto della nostra fantasia.

Lei dovrebbe prima capire e poi insegnare che il peccato è il nostro male, ci fa soffrire, ci fa sbagliare mira, ci fa rimanere nel nostro vomito, come diceva santa Caterina. E lei ha la responsabilità della felicità e della salvezza eterna di quelle anime. Lei ha studiato e persino insegna teologia, lei non può non sapere. O forse la pensa come il gesuita James Martin, che dice che il Catechismo istiga al suicidio. Non avete capito manco che la legge di Dio è per la felicità dell’uomo? Ma quanto può essere frustrante essere sacerdote, vivere la castità, pensando questo?

Lei dice di essere eterosessuale. Non so, ma anche questa parola è sbagliata. Nessuno può dire di sé né di essere omo né eterosessuale. Siamo persone e basta. E il disegno di Dio è che i suoi figli siano maschio e femmina. Basta. Se per delle ferite o per le misteriose vicende della vita qualcuno si allontana da questo piano, compiendo per questo atti intrinsecamente disordinati (CCC), un vero pastore non invita dei figli di Dio a rimanere nelle loro ferite, ma li aiuta a guarire.

Finché non cambia il Catechismo, lei deve obbedire. Oppure lasci il sacerdozio. Il Magistero della Chiesa non è roba sua e non può farne quello che vuole.

Pensa di riempire le chiese, così? Pensa di far salire l’audience? Non mi pare che stia funzionando.

Trovo insopportabile questo modo di cercare di cambiare la dottrina senza averne l’aria: abbia il coraggio di sollevare la questione, faccia cambiare il Catechismo, oppure fondi una sua chiesa. I Carregani. In bocca al lupo.

E da parte di un sacerdote missionario santo che sta dall’altra parte dell’Oceano, le devo recapitare questo messaggio. Lei è uno zitellone. Lei non è innamorato di Cristo. Il suo cuore non è pieno di Lui. È per questo che si cerca le amanti: la teologia, le sue idee, la fama, lo stare sui giornali, non so, non la conosco abbastanza. Il punto è che al centro del suo cuore non c’è Cristo. Riferisco il messaggio di una persona che per la fedeltà alla sua vocazione si è giocato la vita piangendo sangue, convinto che non è tutto uguale, che non va tutto bene, che c’è una legge a spiegarci come siamo fatti. Mi ha detto di dirle che prega per lei.