La superiorità morale Usa ci insegna e ci punisce

 

“Chiedo ai governi di cooperare, di riconoscere che la sovranità è una illusione, una assoluta illusione da mettersi dietro le spalle”: così qualche giorno fa Peter  Sutherland, il  rappresentante speciale del Segretario della Nazioni Unite.  Che ha continuato: “I giorni in cui ci si nascondeva dietro i confini e gli steccati sono finiti da  tempo. Dobbiamo lavorare insieme e collaborare insieme a fare un mondo migliore. E ciò significa distrugge quei vecchi familismi provinciali,  quelle vecchie memorie storiche, quelle vecchie immagini del nostro paese, e riconoscere che siamo parte dell’umanità”.

Sono luoghi comuni,  spezzoni di pensiero unico  politicamente corretto, del tipo a cui hanno  abituato una Boldrini, un Papa Francesco e il circo mediatico progressista.  Ciò che  li rende   più significativi è il personaggio: Sutherland, oggi delegato del Segretario Generale Onu, è stato direttore di Royal Bank of Scotland,  poi di Goldman Sachs International, membro del comitato direttivo del Bildeberg,  oggi nel comitato esecutivo di Allianz, il colosso assicurativo, e di Eli Lilly, la multinazionale del farmaco.  Egli ha prescritto: “La Germania deve accogliere 1 milione di emigranti all’anno per 30 anni”.

Interessante vedere come le lezioni di morale filantropica, le esortazioni all’accoglienza e i biasimi per il nostro egoismo piccino e meschino  che Boldrini e Francesco  ci trasmettono,  vengano da questi ambienti.  I potenti banchieri d’affari e gestori del mercato globale (Sutherland è stato anche direttore dell’OMC il guardiano del commercio senza dazi)  ci trovano poco cristiani, troppo attaccati alla “roba nostra”.

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E sono – come El Papa e la Boldrini –  ben intenzionali a moralizzarci. Come sapete, la moralità americana sta per infliggere alla Volkswagen un’ammenda di 20 miliardi di dollari per aver barato sulle emissioni dei suoi diesel.  Nel 2015 la giustizia americana ha condannato la BNP Paribas a 8,9 miliardi per violazione delle leggi americane sull’embargo al Sudan e all’Iran: miliardi che il governo americano ha incamerato “per indennizzare le vittime2, secondo la versione ufficiale.  Ci sarebbe anche la piccolezza dei 770 milioni di multa alla Alstom, a cui la giustizia Usa ha rimproverato una certa vendita della divisione energia di General Electric; una multa di 800 milioni alla Siemens,   170 milioni comminati ad Alcatel;  e complessivi 5-6 miliardi a una mezza dozzina di industrie europee, per “corruzione”.  Le banche svizzere hanno dovuto pagare un alto prezzo alla moralità americana, che costa parecchio:  si valutano a 35 miliardi di dollari le ammende inflitte a banche estere,  e incamerate dal grande moralizzatore nelle sue assetate casse  pubbliche.

 

E’un immenso progresso dell’etica: l’extraterritorialità del diritto americano.  Il “vecchio” diritto aveva questo difetto, di applicarsi all’interno di uno Stato. Ma come ci ha istruito Sutherland oggi all’Onu, ieri Goldman Sachs, “i giorni in cui ci si nascondeva dietro i confini sono trascorsi e da tempo”.  Non c’è angolo del mondo (tranne i paradisi fiscali  favoriti) dove i farabutti, i politici   tangentari, e ditte e le banche mazzettare, si possano nascondere ai magistrati Usa.

Ne ha parlato a febbraio il giornalista economico Jean-Michel Quatrepoint, membro della Fondation Res Publica, spiegando con quale arsenale giuridico la Superpotenza s’è arrogata il diritto-potere  di giudicare gli altri stati e  paesi, trasformando questo arsenale nello strumento di una vera e propria offensiva economica.

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Giusto subito dopo il collasso dell’URSS, Washington s’è dotato di leggi anti-corruzione e di difesa delle sanzioni all’estero che riguardavano, apparentemente, le aziende Usa, ma non solo: tipica la Foreign Corrupt Practices Act (FCPA), inizialmente applicata alle imprese Usa che danno mazzette ai dirigenti pubblici e politici per farsi  aggiudicare dei contratti, che dal 1998 sono applicate agli stranieri  – e che ora serve da modello alla Convenzione OCSE  “contro la corruzione”.

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Poi c’è la batteria   delle leggi che rendono delitto penale il commercio con i paesi sotto embargo americano.  La legge Helms-Burton -D’Amato che fulmina chi commerciava con Libia, Sudan, Iran, Cuba eccetera  (sono 70 i paesi sotto embargo  per decisione Usa).  La  moralità si applica(va)  prima di tutto a casa: la Standard Chartered Bank nel 2006 ha dovuto cacciare 700 milioni di dollari per transazioni con Teheran.  Ma non basta: altre leggi criminalizzano  i paesi sotto embargo Onu, il riciclaggio di denaro sporco a narcos e terroristi.

E il Patriot Act,  varato dopo l’11 Settembre, dà alle agenzie USA poteri nuovi e più larghi per ficcare il naso in tutte le comunicazioni informatiche: non escluse quelle degli alleati e subalterni, come dimostra la NSA  che spiava il telefonino di Angela Merkel, figurarsi  se non ascolta gli smartphone dei massimi dirigenti delle aziende europee. Anche se a rigore non ne ha bisogno, dato che   nostri stessi governanti  hanno dato il permesso di esaminare tutte le transazioni che i nostri enti economici fanno con SWIFT, la camera di compensazione europea situata in Belgio.

La legge Dodd-Frank del 2010 conferisce alla SEC  (Securities and Exchange Commission,  il sorvegliante della Borsa), il potere di reprimere ogni infrazione anche se conclusa fuori dagli Usa ed implicante  esclusivamente attori esteri.  Nel 2014, il Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA) dà  al fisco Usa poteri extraterritoriali, per cui le banche estere sono obbligate a divenire suoi agenti, dando  tutte le informazioni sui conti e i beni di cittadini americani dovunque nel mondo. Se non obbediscono, a dette banche vengono confiscati  il 30 per cento dei loro introiti guadagnati in Usa,e, peggio, possono vedersi ritirata la licenza ad operare in America: ovviamente è un decreto di morte per una banca non poter più compensare in dollari né lavorare in USA, specie le grandi.  Il FATCA è egregiamente servito  per forzare le banche svizzere a rinunciare al loro segreto bancario; ma non solo. E’ in base alla stessa legge che BNPParibas,  dopo la nota mega-multa ha dovuto fornire i dati sui conti dei clienti americani, ma  anche dei franco-americani che non hanno mai lavorato e guadagnato in USA.  “E se in Francia hanno pagato in imposte meno di quelle che avrebbero dovuto pagare in Usa, lo IRS (Internal Revenue Service, la Equitalia amerikana) pretende che gli versi la differenza”, ha spiegato Quatrepoint.

E’ la giustizia americana. La migliore e la più morale.

E chi avrebbe la faccia di opporsi a  queste misure una per una? A contestare la “lotta alle tangenti”? Il riciclaggio dei narcos? I finanziatori dei terroristi?  E dunque:   cosa avete da nascondere voi che volete mantenere la vostra sovranità – ormai una illusione  – e i  vostri confini di Stato, che non esistono più?

Da qui si vede come Boldrini, la sinistra in generale, ed  EL Papa sono subalterni dei grandi  principi  etici dettati dal grande business finanziario Usa: promotori volontari del processo del capitalismo globale, quello per cui (dice Christian Salmon) “gli uomini di Stato non più sovrano sono costantemente sottoposti a un processo di verifica e a un obbligo di performance” e da parte di chi? Non del popolo elettore, ma dei banchieri transnazionali, e del Senato americano  che fa’ le leggi morali per Goldman Sachs.

E  così la altissima moralità è diventata una offensiva globale contro tutti, che si ficca in ogni campo: si ricordi  l’offensiva contro la FIFA, il certo  corrottissimo Blatter (e Platini), la persecuzione sistematica degli atleti russi…a poco a poco, spero,   questa alta etica dei grandi principi si manifesta   per quello che è: un elemento del dominio mondiale Usa.

Globalizzazione, interdipendenza –  gabellati come “efficienza” contro la odiata “autarchia”   –  si traducono in dipendenza politica e servaggio sotto l’emissore della moneta di scambio.  Gli anglo sono riusciti a  creare lo stesso rapporto che Londra aveva con le sue colonie imperiali,  ma molto più in grande.  L’India poteva e doveva produrre cotone,perché lo faceva “a prezzi competitivi”; ma non poteva filarlo e tesserlo, perché lo facevano a prezzi competitivi le fabbriche britanniche. Attenzione, era vietato per legge: Gandhi  fu sbattuto ripetutamente in galera perché filava pubblicamente il cotone. Per questo sulla bandiera dell’India campeggia l’arcolaio.

Ma quello era un dominio esercitato su popoli sottosviluppati.  La globalizzazione ha dato agli Usa il dominio sul primo mondo, l’Europa.  La Russia, l’Iran, i”nemici” possono essere espulsi dal mondo e lasciati senza poter vendere né comprare; ciò che è  è particolarmente odioso, è che tutto viene ammantato di superiore moralità, e giudizio etico. Ipocriti.

La vicenda Volkswagen appare la (meritata) punizione per un trucco che però  doveva diffondere nel mercato american dei motori diesel, che le  Case Usa non sanno fare, e che le petrolifere  Usa non vogliono produrre.  “VW ha commesso lesa maestà – dice Quatrepoint – rifiutando ai  magistrati americani l’acceso ai suoi dati sul suolo tedesco,   invocando la legge tedesca che vieta di fornire segreti industriali e commerciali a potenze straniere estranee alle UE.  Gli americani vogliono tutto, documenti, mail, eccetera. La VW resisterà? Rischia  di farsi chiudere le fabbriche su territorio USA…”. La francese Alcatel, dopo la multa, ha dovuto accettare per tre anni la presenza nella stanza dei bottoni,  di un “controllore  indipendente” a cui doveva fornire tutte le informazioni che reclamava, nessuna esclusa. Processi e segreti industriali sono finiti agli americani in quel triennio, assicura Quatrepoint.

C’è sequestro e sequestro

Del resto, cosa volete, il 78%   delle transazioni mondiali si fanno in dollari e  quindi ognuna è compensata in USA, quindi è soggetta alla legge  Usa. Parte della multa pagata da BNP Paribas servirà –  lo vuole il Senato – a “indennizzare i cittadini Usa rimasti vittime della presa di ostaggi all’ambasciata americana a Teheran”:  sono 55 persone che nel lontano 1979 furono tenute nella sede diplomatica per 444 giorni.   Questo atto (“inqualificabile”, certo)   fu la risposta della folla iraniana alla notizia  che il governo americano aveva  confiscato tutti i capitali esteri  del governo dell’Iran, detenuti  presso la Chase Manhattan Bank. C’è sequestro e sequestro. Alcuni sono immorali, altri no.

Quelli americani non  lo sono mai. I banchieri che hanno  scatenato la crisi dei subprime, mescolando in titoli “garantiti da interessi” dei debiti di insolventi a quelli de solvibili, non sono mai stati puniti.  Anzi, detti banchieri oggi ci insegnano la morale, e come dobbiamo accogliere i profughi islamici senza  tabù e provincialismi superati.

Fra questi moralizzatori, è impossibile dimenticare quello più attivo nel darci lezioni di umanità integrale: Georges Soros.  Questo esempio per  tutti noi, che in queste settimane sta arruolando a 15 dollari l’ora dei disoccupati americani (ne trova quanti vuole) perché interrompano con la violenza i comizi di Donald Trump-  la sua ultima lotta al “fascismo”  – è anche colui che ha approntato tutta un’organizzazione  per incitare i profughi siriani a venire in Europa in massa:   “Il nostro progetto – ha detto –  tratta la protezione dei rifugiati come obiettivo  e i confini nazionali come ostacolo”

Soros ha praticato fin dalla prima giovinezza gli alti principi etici che  impartisce a noi. Quasi adolescente, nel 1944, nella natia Ungheria, già collaborò con Gestapo ed SS alla deportazione di 440 mila correligionari in due mesi. Prima, infilandosi nella “Judenrat”, ossia nel comitato che selezionava per i nazisti gli ebrei da arrestare e deportare; poi addirittura – grazie ai buoni uffici di suo padre Theodor Soros, da cui ha appreso tutto – mollando una mazzetta ad un funzionario del ministero dell’agricoltura, a vivere in casa di quest’ultimo. Si sdebitò aiutandolo a confiscare i beni dei giudei, che questi nascondevano; opera meritoria  da cui il nostro moralista   si indennizzò, ritagliandosi  qualche piccola mancia;  il primo capitale col  quale, andato dopo la guerra a  Londra e poi a New York,   diventò agente di Borsa.   Lasciando l’Ungheria sotto il tallone giudeo-bolscevico. Soros  infatti   aveva allora  un penchant anti-capitalista, ma non così  forte da indurlo a scegliere di vivere nel paradiso del socialismo reale.  D’altra parte si è convertito alla “Open society” predicata da Karl Popper, suo maestro ebreo e anticomunista.  Adesso è il  35mo uomo più ricco del mondo e si batte per le migliori cause: i diritti umani, l’aborto  legale, la droga  libera,  i diritti LGBT, primavere colorate nell’Est, demokràzia a Kiev, anti-Putin, anti-Trump,   la potenza  di Israele –  in breve:  il Bene contro il Male.

 

Nel 2011, nella trasmissione televisiva (J) “60 Minutes”, della CBS,  il conduttore Steve Kroft (J)   gli chiese se provava rimorso per quello che aveva fatto a suoi compagni di ebraismo magiari.  “No”, ghignò lui: “Non c’era assolutamente alcun motivo che non lo facessi.  Se non lo facevo io, qualcun l’altro avrebbe portato via quei beni. Sicchè, nessun senso di colpa”. Anzi, spiegò, “quello è stato il periodo più felice della mia vita”.

https://youtu.be/RZ2U6Rl98PM

E’ bello vedere che Papa Francesco la Boldrini e la sinistra progressista   sono schierati  dalla parte di Soros. E  della moralità americana.