La Caporetto dei municipi

Roberto PECCHIOLI  

Quando perdi in tutte le città più importanti, salvando in extremis solo la più piccola – Trieste – significa che hai perso per davvero. Non è colpa del destino cinico e baro e neppure degli elettori, a cui certi dirigenti politici di poco cervello sembrano attribuire la sconfitta. Il centrodestra ha preso una bella scoppola, ma nessuna sconfitta è stata tanto annunciata quanto la disfatta amministrativa di questi giorni. La questione non è nuova, esiste da quando il centrodestra si è costituito: le elezioni comunali sono non il tallone d’Achille, ma la Caporetto periodica di una coalizione che nel 2021, anno II del Covid, non esiste più. Un pezzo – quello centrista, liberale e di sistema – si è felicemente accasato nel governo Frankenstein del Gran Visir dei poteri forti. Un altro pezzo, la Lega, un giorno è governativa e l’altro minaccia sfracelli che non avverranno mai. La destra tiene botta, ma la sua opposizione è tenue, silente, invisibile.

Siamo sinceri: si sono accorti, gli elettori delle grandi città, della presenza del centrodestra? I loro candidati hanno dato battaglia, enunciato un progetto di città? Per vincere la lotteria, bisogna almeno comprare il biglietto. Il centrodestra, ancora una volta, non lo ha fatto: candidature debolissime, frutto di accordi di vertice dell’ultima ora. Brave persone, seri professionisti, “civici”, moderatini con la giacca e la cravatta intonata. Sotto il vestito niente. Personalità sconosciute mandate allo sbaraglio contro ex ministri o amministratori di lungo corso. Gli elettori rimasti fedeli sono usciti dalla cabina elettorale sbadigliando.

Qualcuno – il milanese Bernardo – ha battuto un colpo solo per accusare gli alleati di scarso sostegno economico: imbarazzante. Quasi tutti gli aspiranti sindaci sono apparsi kamikaze in un gioco più grande di loro. Nessuno dei pezzi grossi del centrodestra ha voluto sporcarsi le mani candidandosi personalmente. E se per caso vincessi –  devono aver pensato – c’è da lavorare tutti i giorni, risolvere problemi concreti sotto lo sguardo di tutti. E’ dura, meglio una comoda tribuna televisiva da cui pontificare.

All’elettore è stato offerto un surrogato opaco, inodore, insapore. La regola è antica: alla copia si preferisce l’originale. Non hanno tentato neppure per un attimo di entrare nel merito dei veri problemi della gente. Trecentoventimila partite Iva perdute dall’inizio della pandemia, posti di lavoro svaniti, la crisi energetica che rende sempre più pesanti la bollette. Silenzio sul tema della sicurezza, dell’immigrazione incontrollata, argomenti che nelle grandi città pesano, eccome.

Soprattutto, nessun tentativo di interloquire, quanto meno comprendere le ragioni dell’opposizione sociale che si è cristallizzata attorno all’obbligo del pass verde. Sarebbe bastata una ricognizione sui siti d’area per capire l’aria che tira nella destra che pensa, allarmata per la perdita di libertà, la manipolazione della paura, il regime di soffocante sorveglianza poliziesca e digitale. Di partecipare alle manifestazioni – anche solo per guardare la gente in faccia –nemmeno a parlarne: eppure ci sono volti amici e si leva un grido di libertà. Non dovrebbe essere una bandiera della destra? Libertà concrete, tangibili, non quelle di Confindustria e della borghesia grassa che sguazza nella democrazia sospesa in mano a Draghi, l’uomo che ha svenduto l’Italia sul panfilo Britannia e sta terminando lo sporco lavoro. Intanto, la polizia della Lamorgese– imbelle contro clandestini, delinquenti, rave party e provocatori noti da decenni – picchia selvaggiamente i lavoratori a Trieste e altrove. Legge e ordine anche se la legge è ingiusta e l’ordine è quello di chi abolisce la libertà?

I due dati paradossalmente positivi della tornata elettorale sono la sospensione temporanea dell’emergenza antifascista contro il nemico inesistente- a cui è stata opposta una difesa debolissima, impaurita, presagio di sconfitta – e la diserzione dei cittadini: il primo turno si è chiuso con un italiano su due assente. Al secondo, partecipazione di poco superiore al quaranta per cento. E’ un dato enorme, ma potenzialmente favorevole a chi vuol cambiare le cose, il segno che un numero sterminato di italiani non ha fiducia in nessuno degli attori politici. Vota solo chi ha interesse – l’esercito di chi si aspetta qualcosa dal potere- e le curve delle opposte tifoserie. Inutile lamentarsi se quella avversaria è più fidelizzata e digerisce qualunque faccia, purché anti destra. E’ risaputo da decenni e le terapie sono programmi chiari, facce pulite, parole nette.

Grottesca è la spiegazione delle urne vuote da parte di politici e pennivendoli di sistema: è un fenomeno tipico delle democrazie avanzate. Quanto sia avanzata una democrazia senza elettori non è dato sapere.  Piuttosto, è evidente che se la competizione è tra gruppi dirigenti ansiosi solo di potere, il disinteresse e il disprezzo popolare determinano urne vuote.  Nella palude maleodorante vince il sistema, padrone della “narrazione” televisiva e giornalistica, il cui nemico è chiunque si opponga alla status quo.

Un centrodestra di sistema è inutile; uno combattivo, portatore di valori e di antagonismo non è possibile per l’opposizione dei “superiori” e per l’atavica paura del nuovo di chi dovrebbe esprimere un’alternativa. A che serve- se non alle carriere di colonnelli, sergenti e famigli- una destra che nega, rinnega, nasconde i suoi principi e rappresenta una variante del medesimo pensiero unico?  Destra e sinistra stabilizzano il sistema, da provvisori, intercambiabili amministratori delegati della minuscola fetta di potere che le oligarchie internazionali ed europee consentono ai sedicenti rappresentanti del popolo.

La soluzione è oltrepassare lo schema ammuffito destra –sinistra e proporre senza paura progetti, programmi e valori. Benvenuto a chi ci sta, tanti saluti agli altri. Se essere di destra fosse – come pensavamo tanti anni fa – il modo migliore di essere altrove ed altrimenti, allora basta coalizioni spurie, basta accordi al ribasso, basta fare la ruota di scorta del liberismo egoista e antisociale, indifferente a tutto ciò che non sia misurabile in denaro. La destra “morale” senza rappresentanza – che non ha bisogno di chiamarsi così perché è da tempo “oltre” – si metta, come Ulisse, per l’alto mare aperto.

Se invece è solo l’altra faccia della luna, se la tengano la loro destrina perdente, lamentosa e moderata. Si lecchino le ferite e corrano con lena ancora maggiore verso il centro e la porzioncina di potere concessa dai “superiori”. Si può essere moderatamente onesti, credere moderatamente nei propri principi, lottare moderatamente per la libertà? Al di là delle battute, questa è la domanda di fondo senza risposta. La scelta è ineludibile: o aspiranti amministratori pro tempore dell’esistente, figli di un Dio minore in competizione truccata e diseguale con i Buoni, i Giusti, i Progressisti, o banditori del nuovo, che qualche volta è l’antico.

Sovranità, identità, famiglia, lavoro, diritti sociali, libertà concrete contro dittatura tecnologica, umanesimo contro l’ominide zootecnico con codice a barre, apertura allo spirito, lotta ai monopoli dei padroni universali. Dopo Caporetto, venne Vittorio Veneto, ma cambiarono i generali e le strategie. L’alternativa è recitare la parte di perdenti designati per un’altra generazione, l’opposizione di Sua Maestà, foglia di fico di un potere nemico.