Luigi Copertino, Drieu La Rochelle. Il socialismo, il fascismo, il totalitarismo, Solfanelli, Chieti, 2024, pp. 160
RECENSIONE di Marco Toti
Aderire, finalmente, alle cose (P. Drieu La Rochelle, Fuoco fatuo)
Nel libro, agile ed intelligente, che andiamo qui a recensire l’A. si occupa di uno scrittore europeo particolarmente significativo, P. Drieu La Rochelle (1893-1945), sia dal punto di vista letterario che da quello “politico” (sarebbe meglio dire “metapolitico”): in questa seconda prospettiva, l’intellettuale francese “ha creduto che il totalitarismo politico, rosso e/o nero, potesse riaprirle la via del recupero della Tradizione, tuttavia non nell’impossibile ritorno al premoderno bensì attraversando il deserto nichilista della modernità per superarla e ritrovare lo Spirito alla fine della traversata nelle desolate terre occidentali del nulla” (p. 5). “Un nicciano in cerca dell’assoluto” (p. 29) più che un semplice “guènoniano” – lo attesta da un lato il suo non essere una personalità “religiosamente” connotata, dall’altro il suo interesse per il “politico” quale mezzo tramite cui operare un’azione di “controdecadenza” –, Drieu si muove in un orizzonte ultrapolitico massimamente “inattuale”, quello cioè di un “rossobrunismo” che, di primo acchito, potrebbe apparire il parto utopico di un visionario, e comunque anche storicamente e filosoficamente problematico (ma solo a chi non è consapevole delle “nuove sintesi” proposte, ad es., dalla “Rivoluzione conservatrice” prenazionalsocialista). Acuto compendio di questa prospettiva è “Socialismo fascista”, del 1934: anno in cui, a pochi mesi dalla presa di potere del nazionalsocialismo ed in un periodo in cui il fascismo italiano riscuoteva il suo massimo consenso, tra la Conciliazione del 1929 e la guerra etiopica del 1935, usciva un altro testo epocale, la “Rivolta contro il mondo moderno” di J. Evola (che intendeva “rettificare” in particolare il nazionalsocialismo tedesco).
A noi è sempre parsa particolarmente sagace l’interpretazione larochelliana della genesi e dell’orientamento del fascismo – in Drieu giustamente assunto quale fenomeno europeo (da noi sarà A. Romualdi a perorare in modo convincente questa prospettiva) –, che supera le secche delle sue svariate interpretazioni, spesso brillanti ma parziali ed eccessivamente “accademiche”. Secondo lo scrittore francese, il fascismo “si serve del nazionalismo, in seguito turba ed altera il sistema capitalista nella misura in cui le necessità del nazionalismo lo obbligano a fare del socialismo […] Di modo che ciò che all’origine unisce capitalismo e fascismo, ossia il nazionalismo, in seguito li divide poiché genera il socialismo” (p. 14). D’altra parte, “il capitalismo sfinito ha bisogno dello Stato per risollevarsi: quindi si dà anima e corpo allo Stato fascista. Il meccanismo interno del capitalismo conduce direttamente alla sua statizzazione”; e “il socialismo si è inserito nell’edificio capitalista senza rovesciarlo […] Questo è il concetto centrale del fascismo […] Il fascismo è un socialismo riformista” (pp. 18-19 [corsivo nostro]), che è l’unica idea, in quanto essenziale, che interessi a Drieu: la nuova direzione che il fascismo dà al socialismo (p. 63), accostabile alla famosa definizione gentiliana del comunismo quale “corporativismo impaziente”. Nonostante non siamo del tutto convinti del carattere semplicemente “riformista” da conferire alle “rivoluzioni nazionali” – se non altro per l’usura semantica che il termine ha inevitabilmente subito nel tempo, di pari passo con la banalizzazione della politica –, emerge qui un punto centrale, tanto cruciale quanto talora sottaciuto (o addirittura ribaltato dalle dinamiche storiche successive alla II guerra mondiale): l’autentico nemico del fascismo, che per Drieu costituirebbe un “ultimo slancio” nel contesto di una generale “stanchezza” dell’Occidente (p. 27), è il liberalismo, che, rifiutando tendenzialmente lo Stato, ricusa esizialmente il “politico” (p. 23), con ciò ponendosi contro l’intera tradizione “occidentale” (europea). Se ne vedono oggi gli effetti più “radicali”: il “capitalesimo” (o tardo capitalismo, a dimensione “teologica”) costituisce una perfida macchina mondialista della sorveglianza e dei “diritti” individuali (non si tratta di contraddizione, in quanto i secondi sono concessi per costruire l’”ultimissimo uomo”, del tutto prono, spesso inconsapevolmente, alla volontà di dominio del capitale globale), in cui il “politico”, nei rarissimi casi in cui ancora lo si può definire tale, è succube della finanza apolide e delle mitologie massmediatiche.
Ma il fascismo – che ha molto poco a che fare coi neofascismi spesso eterodiretti o coi “sovranismi” di nome, ma non di fatto — rifiuta senza indugio internazionalismo e materialismo: filosofie e visioni del mondo che possono essere ricondotte, in buona parte, ad una precisa genesi ebraica. Drieu afferma che “separato dal materialismo lo spirito rivoluzionario si converte in una specie di mistica dell’azione […] come semplice trasformazione della realtà” (p. 44 [corsivi nostri]). La Scuola di Mistica Fascista, tra le altre, ha costituito la emblematica traduzione in atto di una tale mistica dell’azione trasmutante, pure inevitabilmente elitaria e talora tendente a sostituire il cattolicesimo come religione ufficiale del regime (ma non negli intendimenti del suo fondatore, N. Giani, immagine reale e grandiosa dell’”uomo nuovo” fascista). La azione “immanente a un pensiero” (secondo la dottrina gentiliana del fascismo), fondata su una volontà “eroica” e sommamente libera — che in politica assume le forme della decisione, e che vuole agire sulla realtà, mutandola di segno e di orientamento — costituisce una “reazione”, forse disperata ma audace, alla decadenza di Occidente: un inquieto tentativo di reversione – che non è però banalmente “reazionario”, ma costituisce una inedita sintesi di valori “antichi” e “nuovi”, che hanno fatto dire a un Debord che “il fascismo è l’arcaismo tecnicamente equipaggiato”: ecco, in poche parole, perché il fascismo ha costituito un fenomeno rivoluzionario, al cui interno hanno vissuto in tensione spesso creativa varie tendenze, tutte più o meno concordanti nel socialismo come “terza via”, nel culto dell’azione spiritualmente orientata ed in un “sovrumanismo” (G. Locchi) variamente atteggiato nei confronti del Cristianesimo. Lo stesso sovrumanismo costituisce allo stesso tempo uno dei valori “individuanti” del fascismo, quale idea spirituale (“modo spiritualistico di concepire la vita” [Dottrina del fascismo, I,2]), ma al tempo stesso, forse, una sua debolezza dal punto di vista propriamente religioso: ben rappresentata da certe vaghezze in cui cade lo stesso Drieu, ammiratore dell’Induismo e delle varie tradizioni sapienziali, ma, in ultima analisi, uomo non religioso in senso stretto. Qui – se questa non fosse una semplice recensione — bisognerebbe operare una disanima, cruciale quanto spietata, sul ruolo del cattolicesimo in rapporto ai “fascismi”: non solo del “cattolicesimo liberale”, come pure fa, con argomentazioni convincenti, Copertino (cap. VII). Ad ogni buon conto, proprio sulla base dell’assunto dell’”azione immanente a un pensiero”, nella sintesi fascista non vi può essere separazione artificiale tra prassi e dottrina, e quindi, almeno in teoria, non si rischia di cadere né in un attivismo velleitario né in un intellettualismo privo di coerenza tra idee e vita: qui, secondo Drieu, “la vera contemplazione e l’azione vera si raggiungono” (p. 49).
Oggi, però, siamo immersi nell’epoca “gassosa” (più che semplicemente “liquida”) dell’imperialismo internazionale del denaro e della dissacrazione di tutto l’esistente in merce, in cui digitalizzazione, consumo repentino e vorace e spettacolo vacuo cospirano per stabilire il regno irreale del “nulla” (una sorta di Mordor privata del fascino del “fantastico”), ove paradossalmente il “virtuale” diviene la realtà egemonica, l’orizzonte di (non) senso cui l’uomo occidentale è tragicamente vincolato. Paradossalmente, non aderendo a questa virtualità ubiqua (si pensi ai “social”, ma non solo), ci si mette paradossalmente fuori dal contesto sociale: con ricadute non auspicabili sulla salute psichica e sulla “libertà” di azione del “ribelle”. L’uomo è ormai nudo, isolato come una monade strumentalizzata dal potere anonimo (p. 143), e quindi molto più esposto alla “malattia mortale” della disperazione: la scissione dell’atomo (cfr. latino individuus) è avvenuta anche sul piano della persona e delle relazioni sociali, attraverso luciferine operazioni di ingegneria sociale che hanno avuto la propria acme, ad es., nei noti eventi connessi al cd. “covid”.
Pertanto, le condizioni per un risorgere di archetipi mai del tutto sopiti, anche se fortemente depotenziati, ci sarebbero; eppure, a dispetto degli alti lai dei gazzettieri e dei “camerieri delle banche”, di fascismo non se ne vede neppure l’ombra: forse perché in un contesto per l’appunto sommamente impalpabile e “volatile” – ma realmente “totalitario” –, certe idee non possono facilmente essere recuperate (o si possono sviluppare in forme deviate e devianti, in ultima analisi funzionali al sistema, quando non artatamente create da questo). Tuttavia, il passato è presente, che a sua volta è sempre aperto verso l’avvenire, poiché l’uomo è sempre libero: questo Copertino, da acuto indagatore cattolico della storia economica e politica, lo sa bene. In tal senso, il fascismo, quale sintesi di “idee senza parole” – non movimento né regime, ma “discorso mitico” e “tendenza epocale” antiegualitaria (G. Locchi), che attecchisce proprio quando il Cristianesimo si avvia verso la fine del suo processo di mondanizzazione — autenticamente e precipuamente europee, non può morire, se non muore prima una “immagine del mondo” forse potenziale e residuale, eppure – in presenza di “materiale umano” acconcio — sempre disponibile ad essere riconvertita da mito in atto.
MARCO TOTI
da Accademia.edu