IL DIO NASCOSTO E RIVELATO quarta parte – Luigi Copertino

IL DIO NASCOSTO E RIVELATO

 SULL’IMPOSSIBILE “CANONIZZAZIONE” DI MARTIN LUTERO

RAGIONI STORICHE, SPIRITUALI E TEOLOGICHE

 QUARTA PARTE

 

I PERICOLI DELL’APOFATISMO ASSOLUTO

Il motivo per il quale il metodo apofatico, in ambito ebraico-cristiano (9), non può essere accreditato sic et simpliciter in senso assoluto sta nel fatto che quello della Rivelazione non è soltanto il Dio dei filosofi e dei metafisici ma soprattutto il Dio Vivente. L’apofatismo consiste nel negare ciò che Dio non è. Pertanto si deve eliminare innanzitutto il creato, sia visibile che invisibile ossia la gloria cosmica dei cieli stellati come anche la luce, ancora intellegibile, dei cori angelici. Poi devono escludersi persino gli attributi, anche quelli più alti, di Dio: Bontà, Amore, Sapienza. Alla fine si deve eliminare l’essere stesso perché per l’apofatismo radicale Dio non è neanche Essere in quanto nella Sua Natura è inconoscibile ossia “non è”. Ma in senso radicale l’apofatismo è nient’altro che “nichilismo mistico” ed è più confacente ad una prospettiva platonizzante, tale da svalorizzare totalmente la realtà del mondo creato, che non con il Dio della Rivelazione abramitica, il Quale, pur inconoscibile nella Sua Essenza, è Creatore e, soprattutto, si rivela, si rende accessibile all’uomo, innanzitutto proprio nella creazione visibile ed invisibile (angelica). Qui sta il paradosso cristiano, ed in genere abramitico, il Dio Inconoscibile, il Dio nascosto, è lo stesso Dio al quale l’uomo può rivolgersi chiamandolo Padre, in un rapporto tra l’io umano ed il Tu divino. E’ il Dio che, a sua volta, chiama l’uomo per nome – «Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: “Non temere, perché Io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni”» (Isaia, 43,1) –, il Dio che gli si rivela Dio persona, Dio Vivente. Tuttavia, come si è detto, il Dio Vivente deve prendere l’iniziativa e rivelarsi perché, senza la Sua Rivelazione, Egli resterebbe irraggiungibile per l’uomo, chiuso nel mistero apofatico dell’“Io sono Colui che sono”.

Questo denota che una mistica radicalmente apofatica, una teologia esclusivamente negativa, finisce inevitabilmente per costituire un pericolo di deragliamento per il fedele del Dio di Abramo, per il fedele del Vivente “Io sono ciò che sono”. In questo tipo di spiritualità sembra non sussistere alcuna alterità/equivocità, e quindi analogicità/partecipazione, tra Dio e l’anima, tra Dio ed il mondo perché l’anima come il creato non hanno alcuna consistenza, neanche per partecipazione, al cospetto della Sostanza Divina. L’inevitabile esito di questo tipo di mistica è il nichilismo metafisico: laddove non si vuol considerare anche il suo rivelarsi catafatico, il suo essere Vivente, l’apofatico Dio Nulla, il Ni-ente, della teologia negativa diventa Vuoto metafisico, molto simile al “nirvana”, nel quale l’io umano, anziché essere vocato per nome, è annullato, annichilito. D’altro canto, in quanto “Nulla” il Dio apofatico è anche il “Tutto senza distinzioni”. Di questo Tutto l’io umano è mera parvenza fenomenica, scintilla degradata nell’oscurità della materia, che per essere “liberato” deve essere dissolto nella unione/fusione identitaria, la quale presuppone, implicitamente, l’auto-divinità, ovvero la natura già divina, dell’io nel suo originario stato di “Io Cosmico”. Compito dell’uomo sarebbe, dunque, quello di tornare alla consapevolezza della sua originaria auto-deità mediante tecniche di risveglio dall’illusione fenomenica, innanzitutto da quella del corpo, nella quale è intrappolato a causa di una caduta cosmico-primordiale corrispondente alla frammentazione dell’Unità totale ed indifferenziata.

Nella  storia della spiritualità cristiana sono periodicamente affiorate tendenze mistiche e teologiche che hanno portato l’apofatismo ad un punto tale di radicalità o preminenza, rispetto al catafatismo, da rasentare, o dare questa impressione, il nichilismo panteistico della mistica extra-abramitica. E’ difficile dire se e quando tali tendenze siano effettivamente sfociate nell’eterodossia perché ogni caso è un caso a sé e come tale bisognerebbe esaminarlo. Prendiamo, per esempio, la cosiddetta “mistica renana” o “renano-fiamminga” (il beato Ruusbroec, Taulero, Susone, etc.). Questa corrente spirituale tende più verso l’apofaticità di Dio che la sua cataficità, che se certamente non nega però sminuisce forse in modo eccessivo. Non è semplice discernere il grano dal loglio in ordine al confine tra ortodossia ed eterodossia nella “mistica renana”. Secondo Brunero Gherardini, tuttavia: «Una vena ereticale, più o meno scoperta, attraversa tutto il fenomeno della mistica tedesca» (10).  Il principale centro di diffusione delle opere dei teologi renano-fiamminghi fu la certosa benedettina di Santa Barbara di Colonia (11).

«… (l’)insieme (di queste pubblicazioni) – ha scritto il Cognet, a riprova dei pericoli di fraintendimento che possono insorgere dallo squilibrio tra apofatismo e catafatismo – costituisce la prova tangibile e durevole dell’apostolato mistico esercitato dalla Certosa di Colonia e del suo influsso su tutta l’Europa. Tuttavia la gloria dei renano-fiamminghi non fu incontestata. Loro malgrado si trovarono coinvolti nelle controversie della riforma protestante. Fin dagli inizi della sua carriera Lutero si servì dei mistici tedeschi, specialmente di Taulero e della “Teologia germanica”, con il risultato che di lì a poco costoro furono sospettati di lesa ortodossia, specialmente dal controversista Johannes Eck. ( …). Non ci si stupisce quindi nel constatare che (il benedettino) Louis de Blois prende le difese di Taulero contro l’aggressiva incomprensione di Johannes Eck. Quando nel 1533 diede alle stampe la sua opera maggiore, l’“Istituzione spirituale”, la fece seguire, in appendice, da un’importante “Apologia” per Taulero. Di questo autore, tuttavia, non analizza le idee propriamente mistiche: si limita semplicemente a dimostrare che fu certamente dovuto ad un controsenso se si giunse a scorgere in esse lontane matrici luterane; che anzi proprio le idee di Lutero si possono facilmente confutare se poste a confronto con l’autentica dottrina di Taulero. Ricorda, ad esempio, che per quest’ultimo lo stato mistico non dispensa mai da una totale obbedienza alla Chiesa. Né, parimenti, esiste alcun fondamento per attribuire a Taulero gli errori dei begardi, secondo i quali l’uomo potrebbe raggiungere, fin da questa vita, uno stato di perfezione assoluta e di impeccabilità. Dimostra ancora che Taulero, lungi dall’opporsi agli obblighi della vita religiosa, ne fa uno dei cardini principali della sua spiritualità». (12).

L’eccessiva polarizzazione verso l’apofatismo radicale è esattamente quel che finì per rendere difficoltosa l’accettazione sic et simpliciter di tutte le forme ed espressioni della teologia mistica renana nell’alveo dell’ortodossia di fede. Infatti si dovette procedere ad un esame caso per caso ed addirittura passo per passo nello stesso autore, come nel caso di Meister Eckart.

Agli inizi dell’età umanistica, il domenicano Meister Eckart aveva elaborato una teologia mistica il cui scopo era “unirsi all’Eterno Nulla”. Eckart incorse in una parziale condanna per alcune sue proposizioni nelle quali, in effetti, viene espressa una visione apofatica così radicale da suscitare grandi perplessità. In alcuni passaggi della teologia eckartiana l’anima sembra sia chiamata, in termini panteistici, ad “annichilirsi” nella “Divinità”, che essa ritrova nel suo vertice spirituale quale negazione assoluta di tutto ciò che è, di ogni predicato. Sembra, in altri termini, negata la possibilità stessa di affermare, per quanto in senso limitato, qualcosa di e su Dio. Spesso la teologia mistica di Eckart è stata paragonata all’esperienza mistica di san Giovanni della Croce. Ma l’ispanico, a differenza del domenicano tedesco, parlava di realtà esperienzialmente vissuta. Non solo, dunque, teorizzata per quanto sublimemente. Anche il carmelitano spagnolo scrive del “Nada” riferendosi a Dio ma, a differenza di Meister Eckart e dei renano-fiamminghi, in Giovanni della Croce non esiste negazione, o svalutazione, di Dio quale Essere, ossia dell’Essere di Dio. Nel mistico ispanico sono presenti contemporaneamente sia l’apofatismo che il catafatismo e Dio è sia nascosto che rivelato.

Circa 22 proposizioni di Meister Eckart non sono state considerate ortodosse. Il linguaggio eccessivamente apofatico usato nella sua teologia mistica ha indotto la Chiesa a sospettare dell’ortodossia di quelle proposizioni. Si potrebbe, oggi, discutere dove, in effetti, Eckart abbia debordato e fino a dove, invece, la sua teologia mistica è ortodossa. Come si è detto, è sempre una impresa difficile e rischiosa tentare di comprendere l’intenzione di un autore dai suoi scritti, tante possono essere le “trappole” linguistiche che possono portarci al fraintendimento della sua spiritualità. Tuttavia non è neanche impossibile tentare di cogliere la distanza maggiore o minore di un autore dalla Rivelazione, a condizione di lasciare comunque un margine di dubbio anche per il nostro giudizio.

Cosa, ad esempio, intende Meister Eckart quando afferma che: «Dio è nello stesso modo in tutte le cose ed in tutti i luoghi, ed è pronto a donarsi nello stesso modo, per quanto dipende da lui; e conosce Dio rettamente chi lo riconosce come uguale»? A prima vista può sembrare una affermazione del tutto coerente con la Rivelazione. Dio, infatti, è in tutte le cose ed in tutti i luoghi, tutte le creature partecipano ontologicamente di Lui che si dona a tutte. Dove sta allora la possibile questione controversa? Sta in quel “allo stesso modo”, perché Dio non si dona indifferentemente a tutte le creature ma secondo una gerarchia che vede all’apice l’uomo, la creatura da Lui eletta a Sua Immagine, e sta soprattutto nell’affermazione eckartiana per la quale “conosce Dio rettamente chi lo riconosce come eguale”. Questa affermazione sembra implicare che tra il Creatore e la creatura vi sarebbe “connaturalità” (altra cosa è invece l’“analogicità”, che san Tommaso d’Aquino riprendeva dai Padri, da Agostino e dallo Pseudo-Dionigi, e che, con lui e dopo di lui, in termini non teologici ma “sperimentali”, hanno confermato i mistici cristiani). La frase citata di Eckhart sembra affermare che l’uomo è eguale a Dio, che l’uomo è Dio. Non, dunque, unito misticamente a Lui nella distinzione ontologica ma addirittura uno nell’identità di una unità sostanziale senza distinzioni. Questo è panteismo e porta inesorabilmente al prometeismo: se l’uomo è eguale a Dio vuol dire che l’uomo è Dio e che l’uomo non ha alcuna vera consistenza mentre è chiamato ad annullarsi, per fusione, nel Nulla Eterno della Divinità.

Tuttavia, a dimostrazione di quanto sia difficile, come detto, discernere il grano dal loglio in certe correnti spirituali, Meister Eckart altrove afferma «Dio è in noi e in noi trasforma e sana, tutto il resto è follia». L’affermazione è certamente ortodossa e richiama l’evangelico «Il regno di Dio è dentro di voi» (Lc 17,21) o anche l’agostiniano «interior intimo meo et superior summo meo » (Confessioni, III,6,11).

Altre affermazioni eckartiane, invece, sembrano, per il tipo di linguaggio usato, oscillanti tra ortodossia ed eterodossia. Ad esempio: «Se l’anima deve vedere Dio, essa non può guardare alcuna cosa nel tempo; perché non può mai conoscere Dio fin tanto che le sono presenti il tempo e lo spazio, o altre rappresentazioni simili. Se l’occhio deve conoscere il colore, deve essere prima spoglio di ogni colore. Se l’anima deve conoscere Dio, essa non può avere nulla in comune con il nulla. Chi conosce Dio, sa che tutte le creature sono nulla. Se si pone una creatura di fronte all’altra, essa appare bella ed è qualcosa; ma se la si mette di fronte a Dio, essa non è nulla. Io dico inoltre: se l’anima deve conoscere Dio, deve anche obliare se stessa e perdersi; perché non vede e conosce Dio, finché vede e conosce se stessa. Se invece si perde per amor di Dio e rinuncia a tutte le cose, allora ritrova se stessa in Dio. Mentre conosce Dio, conosce se stessa e tutte le cose, da cui si è separata, in modo perfetto in Dio. Se devo conoscere davvero il sommo bene o l’eterna bontà, devo conoscerla là dove essa è la bontà in sé, non dove è divisa. Se devo conoscere davvero l’essere, devo conoscerlo dove è l’essere in se stesso, ovvero in Dio; non dove è diviso, nelle creature […] Dio è sempre pronto; noi invece siamo poco pronti; Dio è vicino a noi; noi invece siamo lontani da lui; Dio è all’interno, noi invece siamo all’esterno; Dio è in noi in casa propria, ma noi siamo in un paese straniero».

Nel testo testé citato, nonostante l’altezza della teologia mistica eckartiana, resta l’impressione di una eccessiva polarizzazione sulla via negationis che fa perdere di vista la positività dei predicati di Dio. L’Essere di Dio, infatti, è partecipato alle creature, tratte dal nulla, non è “diviso” tra esse. Si sente in certo linguaggio quasi come un’eco della spiritualità gnostica che approccia la realtà come “manifestazione” o “frammentazione” del pleroma originario, dell’unità impersonale e senza distinzioni (il “vuoto”, il “nulla eterno”, il “tutto”). Se si guarda al creato secondo questa angolazione, esso nel suo insieme e le singole creature sono, non il frutto di un Atto d’Amore creativo, che appunto partecipa l’essere e l’esistenza alle creature, ma pura negatività, puro male proprio perché la creazione appare come il risultato della “rottura” dell’unità indifferenziata dell’origine.

Il “nichilismo spirituale” trova qui le sue sorgenti, in questo ambiguo misticismo che nulla ha a che fare con l’autentica mistica, quella sperimentale dei mistici cristiani. La teologia negativa di tipo gnostico è del tutto diversa dalla teologia negativa, o “per via negationis”, attestata in ambito cristiano, anche se non sempre è facile, a prima vista, distinguere  l’una dall’altra, perché in uno stesso autore esse possono confondersi spesso inavvertitamente. Nella teologia negativa cristiana, in Dio, Uno nella sostanza e Trino nelle relazioni personali intradivine, le perfezioni che Egli partecipa alle creature non sono “nulla” ma sono “proiettate” all’infinito e quindi non delimitate dalla finitezza dell’essere al quale esse sono partecipate, donate per amore. Sicché è giusto dire che Dio non è rinchiudibile nella ragione naturale e che non è possibile “definire” Dio se non per negazione di tutto quanto è meramente creaturale (la creatura, appunto, è, rispetto alla Maestà Divina, nulla, perché le perfezioni delle creature sono sempre limitate e non infinite), ma al tempo stesso Dio è uni-trino quindi tri-personale e non può essere concepito come “vuoto” impersonale.

La Unitrinità di Dio è il fondamento stesso della bontà del creato e delle singole creature nonché della dignità della persona umana. Si tolga questo fondamento e si otterrà soltanto il dilagare della volontà nichilista tesa alla distruzione di quanto è creato, compreso l’essere umano, nell’intento di “fonderlo” nel “Nulla Eterno” o in un “Divino impersonale”. Dio ci chiama all’essere e ci ama per quel che siamo, sue creature e suoi figli, e ci salva in quanto tali, in spirito anima e corpo, in una relazione d’Amore tra Creatore e creatura, in rapporto analogico pur nella distinzione ontologica, e non mediante l’“annichilimento nirvanico” nel Nulla.

Gershom Scholem, il grande storico del misticismo ebraico, ha spiegato come il “nichilismo” trova la sua radice principale in una certa interpretazione della mistica. Nel 1974 Scholem, in Svizzera, presso l’annuale appuntamento, noto come “Incontri di Eranos”, promossi da un altro “occultista” del XX secolo, ossia Carl Gustav Jung, svolse una conferenza annotando come la svalutazione e la distruzione dell’etica, messa in evidenza da Nietzsche quale essenza più profonda dell’Occidente moderno, deve essere retrodatata ad epoche precedenti la stessa modernità in quanto quella svalutazione è rintracciabile innanzitutto in certe esperienze religiose e per la precisazione in particolari esperienze mistiche attestate ai margini delle grandi tradizioni monoteistiche ma, appunto, sempre guardate con sospetto da queste ultime come manifestazioni di eterodossia (13).

Il nichilismo, spiega Scholem, si manifesta quale rottura dei vasi delle norme e dei dettati divini a vantaggio dell’assoluta libertà dell’esperienza mistica intesa come individuazione del proprio soggettivo e personalissimo itinerario verso Dio sganciato da ogni appartenenza confessionale o ecclesiale.

E’ appena il caso di osservare, aggiungiamo noi, che esiste anche un’altra mistica la quale è lungi dal dichiararsi a-confessionale o a-ecclesiale e che, anzi, rivendica, nonostante ogni possibile e transeunte conflitto con le autorità religiose, l’appartenenza al Corpo Mistico di Cristo, alla Chiesa, come il proprio carattere essenziale. Si tratta, appunto, della grande mistica cristiana, da Ildegarda di Bingen a Teresa d’Avila, da Francesco d’Assisi a Fuastina Kowalska, da Giovanni della Croce a Pio da Pietrelcina. Naturalmente, lo stesso è possibile dire anche in ambito ebraico ed islamico, dove la mistica “esoterica” è denunciata proprio dalla mistica ortodossa.

La mistica nichilista, annota Scholem, affermando il primato individuale nel rapporto diretto con Dio e senza mediazioni confessionali, è inevitabilmente caratterizzata dalla propensione a distruggere il significato ortodosso e condiviso della Tradizione, veicolata dall’istituzionalità ecclesiale, facendo riaffiorare l’antica gnosi che, noi da parte nostra, abbiamo definito “spuria”.

In ambito ebraico Scholem, il quale pure non è alieno da simpatie verso questo ritorno della gnosi, indica nelle disastrose vicende dei pseudo messia Sabbatai Zevi e Jacob Frank, che a cavallo tra XVII e XVIII secolo, furono ad un passo dal travolgere, in una catastrofe spirituale senza precedenti, l’ebraismo un esempio evidentissimo della pericolosità di questo genere di mistica spuria.

Proprio le manifestazioni ebraiche della gnosi spuria fanno toccare con mano la natura antinomica – “anomica” come “Anomos” ovvero l’altro nome dell’Avversario! – e quindi distruttiva del nichilismo spirituale. Questa natura distruttiva è evidenziata sia dal ruolo, in questa mistica spuria, del concetto di “Nulla”, il “Ni-ente” da adorare e in cui gettarsi per annullarsi nirvanicamente, sia nella tendenza – che per Scholem è verificabile in tutte le dottrine che i nichilisti religiosi hanno diffuso lungo i secoli – a fare dell’adepto un promotore della Potenza auto-divinificatoria.

Da qui la ricaduta anche politica della mistica radicalmente apofatica, spuria, dato che il nichilista spirituale lavora all’abolizione rivoluzionaria della Legge in quanto crede di realizzarne l’essenza distruggendola. Notiamo, da parte nostra, che quando Lutero parla del “peccato salutare” – «pecca fortiter sed crede fortius», ossia pecca senza problemi, dato che la natura umana è corruzione assoluta, ma poi credi con ancor più forza perché è solo la fede a salvarti pur senza trasformarti interiormente – non fa altro che riproporre questa tendenza a-nomica, poi in lui, secondo il dinamismo paradossale della gnosi spuria, congiunta al più ferreo rigorismo morale privo di misericordia.

Scholem, dunque, spiega che il mistico assolutamente apofatico, il nichilista spirituale, invoca e pratica la trasgressione radicale dell’etica perché, in questo modo, egli, per il quale il mondo è malvagità totale, crede di spezzare il dominio delle potenze mondane che lo tengono incatenato all’ingiustizia ed alla negatività ontologica dell’essere, della creazione.

Per tale via, il nichilismo, nel rovesciamento della contrarietà di specie che incontreremo anche in Lutero, da quietismo spirituale si capovolge in frenetico attivismo rivoluzionario nel quale l’abolizione di ogni divieto, la trasgressione di ogni comandamento divino – « … il serpente disse alla donna: “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male”» (ossia vi costruirete da voi stessi la norma morale) (Gen. 3, 4-5) – coincide con la realizzazione di una libertà assoluta, illimitata, dell’io. In tal senso, si rivela l’essenza mistica, ma della mistica spuria, del marxismo che proprio nella fede in Dio denuncia l’alienazione dell’uomo ed indica nell’ateismo la realizzazione dell’umana libertà e dell’umana potenza distruttrice per la auto-creazione del “mondo nuovo” ad immagine dell’uomo assoluto. L’Evola dell’idealismo magico e del solipsismo stirneriano è, sotto questo profilo, un perfetto marxiano.

Meister Eckhart era un “nichilista mistico”? I nazisti, che amavano la sua mistica proprio nella parti sospette alla Chiesa, avrebbero risposto di sì. Difficile, però, stabilirlo con certezza. La difficoltà di una esegesi quanto più autentica della teologia eckartiana è del tutto evidente. Meister Eckhart era certamente un cristiano e le sue opere sono state approvate con l’esclusione di alcuni passi nei quali, in effetti, la sua teologia vira verso una eccessiva polarizzazione apofatica che sembra volersi imporre come esclusiva a danno di ogni approccio anche catafatico. Eckhart, pertanto, nei passaggi non approvati è da prendere con le dovute cautele. Certo, Dio è fuori di noi ed al tempo stesso è in noi. Più intimo a noi che noi stessi, aveva già detto sant’Agostino. E san Paolo ancor prima: «non sono io che vivo ma è Cristo che vive in me» (Galati 2,20). L’importante è stare attenti a non dimenticare mai l’alterità ontologica tra Dio e le sue creature. Insieme, naturalmente, all’analogicità ontologica: altrimenti si cade nella concezione, anch’essa erronea, che fa di Dio e dell’uomo due opposti irriducibili.

Meister Eckhart ed i teologi mistici renano-fiamminghi, che fosse o meno questa la loro reale intenzione, sono stati valutati quali assertori di una apofaticità assoluta e, quindi, come oppositori di un approccio anche per via affirmationis al mistero di Dio. Questa esegesi della loro teologia, sia essa fondata o meno, è quella che ha prevalso nel nord Europa tra il XIII ed il XIV secolo, preparando la strada allo scatenamento delle varie correnti riformate le quali della negazione dell’alterità analogica tra Dio ed il mondo hanno fatto il fondamento stesso della loro teologia. Martin Lutero elabora il suo pensiero teologico in questo ambiente renano-fiammingo, nord-europeo, fortemente influenzato dall’opzione verso l’apofatismo assoluto. Non a caso, la teologia di Lutero è radicalmente negativa e radicalmente opposta, non complementare, alla via affirmationis ammessa, congiuntamente alla via negationis, dalla tradizione patristico-scolastica. Infatti, nonostante la Riforma venga in genere presentata come un ritorno alla Patristica, in realtà Lutero, radicalizzando l’apofacitità di Dio fino a disancorarla da ogni nesso con la bontà ontologica del mondo e quindi con la possibilità, per quanto limitata, per l’uomo di poter dire qualcosa di razionale su Dio, entra in conflitto non solo con Tommaso d’Aquino ma anche, e soprattutto, con i Padri della Chiesa, che hanno costituito il riferimento principale dello stesso Aquinate.

LE FONTI SPURIE DELLA TEOLOGIA DI LUTERO

Nei manuali di storia si continua a propinare la questione delle indulgenze come causa della ribellione di Lutero a Roma. Nella realtà, quando rese pubbliche le 95 tesi sulle indulgenze egli aveva già maturato un nuovo modo di vedere il Cristianesimo. Un diverso approccio che aveva la sua matrice originaria nelle fonti ambigue ispiratrici della sua teologia. Theobald Beer ha dimostrato, con una accurata ricostruzione filologica effettuata direttamente sui testi luterani messi a confronto con quelli ermetici, che la principale fonte ispiratrice di Lutero è il “Liber XXIV philosophorum”, un’opera neoplatonica attribuita allo pseudo Ermete Trismegisto (14).

Quest’opera trasuda una teologia mistica radicalmente apofatica e quindi panteista laddove afferma l’insussistenza di qualsiasi distinzione tra Dio e mondo. L’ente, che non ha alcuna autonoma consistenza, è assorbito nell’unità indifferenziata ed originaria dell’essere ma l’essere, a sua volta, è “manifestazione/tradimento” del Nulla super-essenziale. L’essere, quindi, non ha alcun valore positivo e deve essere negato, “annichilito”, nel Nulla. La creazione va dissolta nell’Uno-Tutto-Nulla-Vuoto. Sin dal Due-Trecento in Germania, come abbiamo visto, si era diffusa una teologia mistica eccessivamente apofatica che, benché sia sempre rimasta ai margini dell’ortodossia senza oltrepassarli del tutto, tuttavia tendeva ad una concezione panteistica dell’unione mistica tra Dio e uomo. Questa tendenza verso un apofatismo radicale era riapparsa sulla scena con la riscoperta della filosofia neoplatonica che, ora, iniziava ad essere riletta senza più il filtro della patristica e quindi in termini non più cristiani ma piuttosto paganeggianti. Le altre fonti mediante le quali l’apofatismo radicale riconquistò terreno furono l’ermetismo ed il cabalismo ebraico spurio (15).

Neoplatonismo, ermetismo e cabalismo spurio trovarono terreno fertile nell’umanesimo neopagano, che andò affermandosi nel XV secolo, soprattutto nella Firenze medicea di Pico della Mirandola  e di Marsilio Ficino, e, molto probabilmente, influenzarono, in una certa misura, anche la mistica renano-fiamminga. Martin Lutero fin dal 1505 frequentava il “Circolo di Erfurt” (Mutianus Rufus, Elius Eobanus Hess, Crotus Rubianus) nel quale, per l’appunto, veniva coltivato questo approccio teologico-mistico radicalmente apofatico. Ad Erfurt era di casa il cabalismo ambiguo di Reuchlin, il cui carattere relativista, antidogmatico e soggettivista, per il tramite del protestantesimo e del rosacrucianesimo, passerà, successivamente, alla massoneria. E’ in questo ambiente che Martin Lutero matura le opzioni fondamentali della sua teologia che si oppone non solo alla Scolastica, nell’avversione a San Tommaso d’Aquino, ma anche alla Patristica, ed in particolare a quei Padri della Chiesa che hanno costituito il riferimento principale dell’Aquinate ad iniziare da Sant’Agostino (l’agostinismo di Lutero, infatti, è in gran parte frutto di un interessato equivoco) e lo Pseudo-Dionigi Areopagita. In questo sforzo teso ad affrancare la teologia dalla tradizione scolastica e patristica, Lutero utilizzò l’opera del Trismegisto ed i liquami spuri del neoplatonismo che circolavano negli ambienti colti umanistici.

Nella teologia luterana ha, così, inizio il rovesciamento umanitario ed ateistico del Cristianesimo che ha caratterizzato il processo di secolarizzazione nella modernità. Per Lutero, infatti, la divinità e l’umanità di Cristo sono unite solo accidentalmente, e non ipostaticamente. Da qui conseguono da un lato il “soprannaturalismo”, ossia l’assorbimento dell’umano nel divino, e dall’altro lato, per contraccolpo, il naturalismo, ossia l’assorbimento del divino nell’umano e quindi l’auto-deificazione dell’immanente.  Lutero, nel vano tentativo di conformarlo a sé, proiettava sul mondo le angosce che laceravano la sua anima. Nel soggettivismo fideistico di Lutero il mondo è inteso come rappresentazione dell’io nel senso proprio che sarà di tutto l’idealismo tedesco. L’Ebeling, in proposito, ha rilevato che: «Per … Lutero …Dio e mondo devono essere pensati così congiuntamente, che potrebbe talvolta sorgere il sospetto di un modo di parlare panteistico o addirittura ateistico…» (16). La fede in Lutero è un’esperienza solitaria dell’io nel suo rapportarsi all’oggetto di tale fede. Per Lutero è la fede soggettiva a creare “Dio” (sempre che trattasi di “fede retta” perché laddove essa sia “non retta” allora il soggettivismo fideistico creerà non la divinità ma, come egli si esprime nel “Grande Catechismo”, l’“idolo”). Non vi è vera oggettività di Dio al di fuori di ciò che il soggetto sente e crede come vero.  Ma torneremo, fra breve, su questi temi. Dobbiamo, invece, ora affrontare il nodo cruciale e principale che è alla base della teologia eterodossa di Lutero.

“CONTRARIA SPECIES”

Come segnala Brunero Gherardini: «…in Lutero si ha l’assenza totale d’ogni aggancio all’analogicità dell’essere. Mentre per l’Aquinate e per la grande scolastica in genere l’“analogia entis” rappresenta l’unica possibilità razionale per evitare di contrapporre metafisicamente Dio e la realtà creaturale, per Lutero la “contraria species” è il paradossale tema di fondo…» (17).

L’assoluto approccio apofatico manda in frantumi l’analogia tra Dio e mondo che, così, diventano, su un piano di eguaglianza, polarità opposte e manicheisticamente inconciliabili secondo una dialettica di confronto conflittuale e speculare che negato l’et-et verticale tra Trascendenza ed immanenza tenta di riaffermarlo sul solo piano dell’immanenza nella “coincidenza oppositorum”. Il buon cardinale Nicola da Cusa tentò la quadratura del cerchio senza riuscirvi, perché nell’incontro tra Fede cristiana e filosofia neoplatonica egli non seguì il metodo a suo tempo usato dai Padri della Chiesa i quali non avevano esitato a distinguere quanto in quella filosofia, e nello stesso Platone, era “propaideia Christou”, “praeparatio evangelica”, e quanto non lo era e pertanto da abbandonare.

Nella teologia luterana ritroviamo questo “monismo-dualista” che, benché Lutero voglia farlo passare per paolino, tradisce, con chiara evidenza, la sua radice gnostica dedotta dal neoplatonismo riemergente nella cultura rinascimentale. Questo influsso è del tutto percepibile nelle tesi luterane sull’irresponsabilità assoluta della anima umana, sulla totale inconoscibilità di Dio, sulla impossibilità per l’uomo a collaborare all’opera della sua salvezza e, soprattutto, sul ribaltamento/rovesciamento di ogni manifestazione divina nel suo esatto contrario: il bene si nasconde dietro il male, la santità si manifesta nel peccato, la virtù nel vizio. Nonostante ogni apparente similitudine di linguaggio, la luterana “contraria species” lungi dall’essere di provenienza paolina è negazione della partecipazione analogica sulla quale poggia l’ontologia tradizionale.

Per Lutero, infatti – lo ha chiaramente dimostrato, come diremo, Theobald Beer –, la divinità e l’umanità di Cristo sono unite solo accidentalmente, e non ipostaticamente (torneremo su questo per un maggior approfondimento). Da qui conseguono da un lato il “soprannaturalismo”, ossia l’assorbimento dell’umano nel divino, e dall’altro lato, il “naturalismo”, ossia la riduzione del divino nell’umanità. La rottura dell’analogia consente di affermare contemporaneamente tanto la svalutazione dell’umano quanto la sua auto-deificazione. Se, poi, il divino e l’umano non sono in rapporto di partecipazione analogica ma coincidono per connaturalità non è più possibile affermare che il rapporto Creatore/creatura sia un rapporto di amorevole “filiazione” perché piuttosto l’uomo è già “dio” per natura. Dietro la metodologia esegetica della Scrittura usata da Lutero, ossia l’“auto-illuminazione soggettiva” che rende possibile svincolarsi dalla Tradizione e dal Magistero, si cela questa convinzione, prometeica, dell’auto-divinità dell’uomo, nonostante che, per altri versi, la teologia luterana è anche una teologia di svalutazione dell’autonoma consistenza dell’uomo. Ma questa non è una contraddizione perché la svalutazione della creatura e la sua esaltazione prometeica sono entrambi espressioni di un odio teologico verso il Creatore. L’antropocentrismo è segretamente connesso con l’antropofobia e l’umanesimo con la de-umanizzazione.

Lutero assume la “contraria species” per affermare che tutto ciò che non è Dio è il contrario di Dio e quindi senza valore. Quel che è contrario a Dio è totale corruzione. L’uomo è “rovesciamento” di Dio, contraria specie per Dio. Da qui il pessimismo antropologico di Lutero che, al tempo stesso, seguendo, per opposizione, la stessa logica dialettica, esalta l’uomo, svincolato dalla Chiesa apostolica, quale unico giudice del reale ed unico esegeta della Scrittura.

Nella Rivelazione, Dio attesta che Egli, contro lo spirito mondano, si manifesta in tutto quel che per il mondo è piccolo e disprezzabile. Su questa base san Paolo può parlare di “desideri della carne contrari a quelli dello Spirito”. Lutero tenta di far passare la sua teologia come consentanea alla Rivelazione biblica ed al magistero paolino. In realtà Lutero attinge le basi teologico-filosofiche della “contrarietà di specie” dall’ermetismo e dal neoplatonismo, non dalla Tradizione cristiana. Infatti, nella Rivelazione biblica, come in Paolo, Dio preferisce quanto disprezzato dal mondo non perché il mondo gli sia ontologicamente il contrario, il polo a Lui opposto dialetticamente su un piano di eguaglianza manichea secondo lo schema del “monismo-dualista”, ma perché il mondo, che Dio ha fatto originariamente buono, è stato pervertito dall’uomo il quale ha rigettato il Suo Amore. Soggetto al peccato, per libera scelta dell’uomo, e non per volontà di Dio, il mondo, che tuttavia rimane essenzialmente buono e redimibile, ha rovesciato, nella sua pretesa di autosufficienza, l’ordine originario impressogli dal Creatore e che vedeva al vertice Bontà, Misericordia, Amore, Umiltà, Sapienza ed ha invece orgogliosamente innalzato al primo posto Autocentrismo, Ubris, Potere, Lussuria, Usura. Quindi, quando Dio si manifesta in ciò che il mondo disprezza non giudica il mondo quale suo negativo contrario ma lo raddrizza, lo riporta all’ordine originario, rovescia il rovesciamento causato dal peccato.

Invece dietro la “contraria species” di Lutero, che su una base di radicale apofatismo oppone ontologicamente Dio e mondo, si scorge l’influsso della gnosi spuria. Nel pensiero gnostico la creazione (in termini gnostici la “manifestazione”) è una frammentazione dell’unità divina indifferenziata, primordiale, sicché essa, la creazione, è in sostanza una auto-alienazione di quell’unità. Nella prospettiva gnostica, il Dio impersonale “crea” negandosi, alienandosi, rovesciandosi, nella creazione, sicché la salvezza della creatura consiste nel suo annientarsi, nel suo annichilirsi, nella ritrovata unità indifferenziata del “Nulla che tutto contiene”. Ne consegue che l’esistenza e la vita sono nient’altro che sofferenza alla quale bisogna porre fine mediante l’estinzione nichilista dell’essere.
La teologia luterana, affermando l’assoluta inconoscibilità di Dio e il suo manifestarsi attraverso il ribaltamento dialettico nella “contraria species”, afferma, in altre parole, che tutto ciò che non è Dio è “antidio” sicché la creazione è essenzialmente corruzione. Come per la gnosi spuria, anche per Lutero la creazione è il contrario negativo della Divinità.
L’antropologia di Lutero dipende dalla sua teologia del “doppio contrario”. Infatti, l’uomo è dualisticamente colto, da un lato, nella sua assoluta impotenza, nella sua totale passività, nella sua irrimediabile corruzione, sicché tutte le opere umane sono vanità – da qui la sua polemica contro le “opere” –, e, dall’altro lato, al contrario, nella sua sconfinata pretesa di essere, di porsi e di proclamarsi autosufficiente. Questo dualismo antropologico è assolutamente evidente nella concezione luterana, che fu già catara, della intrinseca peccaminosità di ogni atto sessuale, anche se atto d’amore fecondo, che giustifica una morale rigorista paradossalmente congiunta all’affermazione dell’impossibilità e dell’inutilità alla resistenza ad ogni impulso sessuale trasgressivo e, quindi, sull’inevitabilità del permissivismo morale.

L’errore contrario, e speculare, a quello di Lutero è affermare possibile la Misericordia senza Giustizia, la presunzione di salvezza senza pentimento. Dal punto di vista cattolico ciò che rompe l’et-et – natura e grazia, fede e ragione, Tradizione e Scrittura, Dio e mondo, Dio-Uomo in relazione all’Incarnazione, Spirito e materia, Città di Dio e città degli uomini – si pone al di fuori del seminato. Dio, somma maestà, entra nella storia, incarnandosi, nell’umiltà ma questo non è il “contraria species” di Lutero, che egli credeva, erroneamente, di prendere dalle lettere paoline. La kenosi non è rovesciamento, dialettico, di Dio nell’anti-dio quasi che l’uomo sia non l’immagine di Dio ma il suo riflesso speculare e rovesciato sicché l’Incarnazione assumerebbe il significato di un “ribaltamento” del divino nell’umano ad esso ontologicamente opposto. In Dio c’è la misteriosa inscindibilità di Maestosità e Umiltà, di Misericordia e Giustizia. Il rapporto tra noi e Lui è ad un tempo equivoco ed analogico. Egli è nascosto e al tempo stesso rivelato. L’aut-aut, nei termini del principio di non contraddizione, è fondamento della logica razionale e dell’etica naturale – il bene non è il male – ma non è applicabile al problema ontologico di Dio e del suo rapporto con il mondo, come finisce per fare Lutero, che, però, alla logica non credeva mentre credeva di seguire san Paolo ma in realtà lo stravolgeva.

Ecco perché il “sola fide” fu un eccesso che, certamente, condusse Lutero a un errore dottrinale. Ma, appunto!, questo errore è dipeso dal fatto che Lutero non usava l’et-et ma l’aut-aut e quest’ultimo dove non può essere applicato, ossia fuori dal perimetro della logica quale ambito del giudizio gnoseologico ed etico. Con la conseguenza che l’errore si è trasmesso anche all’esegesi scritturale. Il “sola scriptura” è, infatti, servito a Lutero per demolire l’autorità della Tradizione, quale altra fonte della Rivelazione, ed è segno del suo letteralismo che uccide la fede nell’arbitrarietà del soggettivismo: infatti affermare, negando Tradizione e Magistero, che ciascuno è libero di esaminare la Scrittura come vuole, significa farsi la propria fede personale ma per giungere a tale conclusione è necessario affermare la sola Scrittura come fonte della fede, tanto poi letteralisticamente da essa ognuno trae a piacimento quel che più gli aggrada. Esiste, in altri termini, uno stretto rapporto tra “sola fide” e “sola scriptura”.

La scissione dell’analogia Dio-uomo, dalla quale deriva la contemporanea svalutazione ed esaltazione dell’uomo, è stata il fondamento del soggettivismo luterano altrimenti incomprensibile in una teologia, influenzata da un apofatismo assoluto, per la quale l’uomo è corruzione assoluta, peccato ontologico. Il soggettivismo, poi, diventa immediatamente relativismo etico e, su un altro piano, liberalismo politico e liberismo economico. L’uomo luterano è del tutto determinato dal peccato, che gli è talmente connaturato da impedirgli ogni scelta, volontaria e spontanea, di bene morale. In tale convinzione luterana si rinviene la base teologica dell’assolutismo politico e del totalitarismo, che hanno avuto la pretesa di costringere l’uomo al “bene” per mezzo della coazione giuridica e poliziesca o per mezzo delle mobilitazioni di massa. Ma questa antropologia negativa è anche la base teologica del capitalismo liberista che, come aveva ben intuito Max Weber, è stato storicamente favorito da un’organizzazione economica fondata sul “metodismo” o “ascetismo mondano” ossia sulla rigida morale professionale del calvinismo. Calvino, come è noto, per placare l’ansia da incertezza della salvezza dovuta al Dio irrazionale di Lutero, che salva indipendentemente dalle opere, introdusse l’idea per la quale segno di predestinazione è il successo economico ottenuto nel rigore della morale professionale. Il che spiega perché il liberismo, dopo l’Olanda ed Inghilterra, ha messo radici soprattutto in America. Il medesimo “biblismo sociale”, con la sua etica degli affari, che soggiace al puritanesimo, fu fonte ispiratrice anche per Adam Smith nella giustificazione religiosa del “libero mercato”. La forma autoritario-conservatrice del contrattualismo sociale e, in economia, del liberismo, che propugna l’egoismo come vera radice del vivere sociale, trova, dunque, il proprio fondamento teologico, indispensabile, nell’antropologia negativa introdotta dalla Riforma protestante.

LE CONSEGUENZE

Dobbiamo, ora, approfondire le conseguenze alle quali la teologia di Lutero ha portato. Abbiamo visto come Lutero, riprendendo il tema da Paolo ma attribuendogli un significato del tutto diverso da quello che in ambito apostolico, dunque paolino, fino a lui gli era stato dato e che sta ad indicare la diversità analogica e non la contrarietà dialettica, si appropria del concetto di “contraria species” per sottendere che il mondo non è il riflesso buono di Dio ma il “contrario” di Dio. In questo senso il mondo, l’essere creato, assume, come nelle gnosi antiche, una valenza negativa. Da qui, da questo influsso gnostico, – e non da Agostino – il pessimismo antropologico luterano che sottende la negazione della bontà originaria dell’essere. Una negazione che, però, non appartiene affatto alla Rivelazione ebraico-cristiana («Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona», Gen 1,31). Lutero nega l’analogicità e chiama “contraria species”, intesa al modo dialettico, il rivestimento sensibile dell’ineffabile “Deus nudus”, “Deus absconditus”. Postulando la negatività dell’essere, della creazione, la teologia luterana finisce, quali che siano stati i suoi “initia”, per rompere del tutto con la Tradizione apostolica e cattolica.

Come, ancora, ha notato il Gherardini, aleggia in Lutero l’idea del ribaltamento dialettico tra Dio e mondo, nell’opposizione polare, che da origine all’aut-aut dove non dovrebbe esserci ossia nell’ambito ontologico mentre viene da Lutero negato in quello gnoseologico ed etico –  dove invece deve esserci – quando, negando le opere, nega sostanzialmente ogni distinzione tra bene e male. In Lutero, come abbiamo visto, si fa strada l’idea che tutto ciò che non è Dio è “antidio” e che la creazione sia una sorta di ribaltamento dialettico di Dio nel suo contrario. La Kénosi paolina diventa lo spogliarsi, inteso come un deporre, da parte del Verbo della Sua Divinità all’atto dell’Incarnazione. Nasce l’idea dell’Umanità di Cristo come “esca” per catturare il mondo ossia la polarità peccatrice che, nel Tutto, si oppone a Dio, polarità santa. Qui si scorge un retaggio manicheo che trapela anche nella concezione luterana della lotta tra Cristo e Satana, presentata quasi come dialettica tra il lato luminoso ed il lato oscuro della Deità.

Nel ribaltamento anti-analogico della “contraria species” si può intravvedere, in filigrana, una anticipazione della dialettica idealistica, che non a caso nasce in Germania e da ambienti culturali protestanti. Diversi filosofi della politica hanno rintracciato proprio nel pessimismo luterano la radice dell’impulso nichilista essenziale alla psicologia rivoluzionaria. Odiando, allo stesso modo degli gnostici antichi, la realtà data, la “carne”, la creazione, la corrotta (non meramente ferita) natura umana, Lutero apre la strada al furore iconoclasta delle rivoluzioni teologiche e politiche. Dalla contrarietà di specie, intesa dialetticamente, sulla quale insiste Lutero, prende inevitabilmente le mosse, per una sorta di contraccolpo al “soprannaturalismo disincarnato”, la  “rivincita del mondo” mediante l’eliminazione di Dio dal mondo. Affermato quale opposto di Dio – una polarità senza consistenza perché assolutamente “nulla” a cospetto di Dio – il mondo può dunque proclamarsi assolutamente indipendente da qualsiasi fondamento metafisico. La rottura luterana dell’armonia tra Fides et Ratio, tra Grazia e natura, tra Chiesa e Comunità politica, che lungo il cammino della Chiesa, nei secoli antichi e medioevali, i Padri prima e gli Scolastici dopo, supportati dalla vissuta esperienza dei mistici cristiani, hanno meditato, ha aperto la strada alla secolarizzazione.

Se, infatti, la creazione è la dialettica “contraria specie”, se essa, in altri e più espliciti termini, è l’“antidio”, ne consegue, nell’impossibilità concreta di eliminare effettivamente il reale nonostante la radicale affermazione della sua negatività, che la realtà stessa, per reazione, ovvero per contraccolpo dialettico, inizia a vivere di una propria, separata ed assolutamente autonoma, consistenza ed a riprendersi i propri diritti, negati dalla svalutazione pessimistica di Lutero, fino a negare a sua volta, in quanto polo ad esso opposto nella dialettica della “contrarietà di specie”, la consistenza del termine iniziale: ossia di Dio. La teologia luterana apre così la via all’ateismo, che nell’ambito della filosofia politica si presenta, storicamente, prima come “teologia politica”, ossia statolatria, e poi, nel passaggio dal moderno al postmoderno, come depoliticizzazione in favore della globalizzazione economica transnazionale. Il nuovo Leviatano è, oggi, il mercato globale dominato dalla finanza apolide e speculativa.

La creazione, svalutata come “antidio”, ottiene, per reazione, la propria rivincita affermando sé stessa, nel ribaltamento naturalistico del soprannaturalismo, come unica ed auto-sussistente entità ontologica e negando, in tal modo, la propria dipendenza da Dio. E’, appunto, il passaggio, per ribaltamento, dall’assoluto soprannaturalismo all’assoluto naturalismo. E’ il rovesciamento dialettico del Divino nell’anti-divino, di Dio nell’umanità intesa non più come Sua immagine nel mondo ma come sua, dialettica, “contraria specie”. E’ la logica parabola che porta dall’eresia all’ateismo. In assenza di analogicità dell’Essere, Dio si annulla nell’umanità e l’umanità si auto-divinizza. Siamo al crocevia che dal soggettivismo, mediante il solipsismo, conduce al prometeismo.

Si attua in tal modo un rovesciamento di posizione dal pessimismo, che nega ogni consistenza al creato ed alla natura umana, all’ottimismo cosmico ed antropologico il quale, invece, afferma l’ontologica ed assoluta autonomia del mondo e dell’uomo. L’antico ottimismo pelagiano è infatti l’altro errore teologico riscoperto dal pensiero moderno, che in filosofia politica si palesa nel mito rousseviano del bon sauvage e nel liberalismo progressista, nel socialismo libertario ed autogestionario e, persino, nelle utopie politico-economiche del comunitarismo assembleare o della sussidiarietà orizzontale, reticolare. Mentre, dal lato opposto, la statolatria giurisdizionalista, l’autoritarismo meccanicista, il liberalismo conservatore, il rigorismo mercatista come il dirigismo “bismarchiano”, “prussiano” o “staliniano”, restano espressione politica del pessimismo antropologico e teologico luterano.

Sappiamo molto bene che anche in epoca di Cristianità, l’epoca che fu quella di Lutero, il mondo, pur riconosciuto dipendente ontologicamente da Dio, non era affatto un Eden, non era affatto ciò che in origine doveva essere nel disegno di Dio prima del peccato dell’uomo. Anche nella Cristianità mancava ed in abbondanza la giustizia, non esclusa la giustizia sociale, e l’Amore di Dio trovava chiusura nei cuori degli stessi cristiani apostolici, segnati dalla ferita del peccato e refrattari nei fatti ad aprirsi alla trasformazione interiore resa possibile, nella Grazia, dal Sacrificio della Croce per i meriti acquisti da Cristo in favore dell’umanità. Ciò non toglie che ontologicamente il mondo, benché ferito dal peccato umano, sia comunque dipendente da suo Creatore e pertanto buono, non il suo opposto negativo. Sotto un profilo etico questo significa che l’uomo, nel mondo, è chiamato ad aprirsi all’Amore di Dio, permettendo la propria trasformazione interiore, affinché, tolto il peccato, il mondo torni ad essere quel che era nell’originario disegno divino. In altri termini è sempre possibile, in ogni momento, nella vita di ciascuno porsi in sintonia con lo Spirito di Dio, donatoci da Cristo in Croce, per approcciare in coerenza con la legge morale eteronoma le diverse dimensioni della nostra vita, compresa ed innanzitutto quella del Politico. Laddove, invece, considerando il mondo il contrario di Dio, si considera anche il Politico luogo della corruzione totale che il cristiano deve abbandonare al potere tirannico ed immorale del Principe di turno – giacché fede e salvezza starebbero esclusivamente nell’intimo dell’anima e senza contatti o riflessi nel mondo esterno – il risultato è quello di escludere Dio dal mondo, quindi anche dal Politico, e di dichiarare il mondo spazio della violenza, compresa quella legale e leviatanica, e della sopraffazione dell’uomo sull’uomo.

Questo spiega perché, ad esempio, in un’ottica luterana, Bismarck poteva essere, interiormente, un perfetto e buon cristiano pur agendo, esteriormente, in modo del tutto contrario all’Amore di Dio. E spiega perché nell’ottica protestante il cristiano non ha nulla da dire contro le ingiustizie del potere politico o economico, dato che questo potere è esteriore mentre il cristiano coltiva solo l’interiorità ed anche qui non per essere trasformato dalla Grazia ma solo per abbandonarsi, permanendo la propria immodificabile corruzione ontologica, al quietismo fideistico nella passività pleromatica. La soggezione protestante al Principe è inevitabile anche quando questo Principe, come nella Germania degli anni ’30 quando la “chiesa” luterana, salvo rarissime eccezioni, aderì al regime nazista, si chiama Adolf Hitler.

Si sostiene generalmente che tra umanesimo e luteranesimo vi sia inconciliabilità perché mentre Lutero propende per l’antipelagianesimo e, quindi, per il pessimismo cosmico ed antropologico, gli umanisti puntano proprio su Pelagio e sull’ottimismo naturalistico. Ma, in realtà, Lutero percorre soltanto una delle due vie, complementari e contrapposte, nelle quali si polarizza il pensiero moderno nella sua riproposizione di antichi errori teologici. Ed, infatti, non è un caso se, per contraccolpo, la parabola della secolarizzazione ha ribaltato dialetticamente il pessimismo di Macchiavelli, Lutero ed Hobbes nel suo contrario ossia nell’ottimismo di Rousseau, Kant, Hegel e Marx.

Lutero e Pelagio, con i loro errori teologici, sono alla radice della polarità “destra/sinistra” del pensiero politico moderno nelle sue diverse varianti, le quali negano radicalmente la Grazia e l’efficacia della sua azione trasfiguratrice sul cuore umano nel sanare la ferita infertagli dal peccato d’origine: Lutero nega la grazia affermando essere essa solo un “decreto esterno” di Dio che lungi dal cancellare il peccato si limita a “coprirlo”, a non imputarlo all’uomo il quale però rimane essenzialmente corrotto (gnosi nella sua forma pessimista); Pelagio nega la grazia affermando che essa è inutile, una “sovrastruttura” di cui si potrebbe fare a meno, dal momento che la natura umana è ancora del tutto buona, non toccata dal peccato (gnosi nella sua forma ottimista), sicché si tratta soltanto di educarla moralmente al bene da essa conseguibile autonomamente (Cristo, per Pelagio, è solo un maestro di etica). Hobbes e Rousseau non avrebbero fatto, in teologia, affermazioni diverse rispettivamente da quelle di Lutero e di Pelagio. L’origine luterana delle principali correnti filosofiche della modernità non può essere trascurata. Se si vuol capire il senso della storia moderna, e dei tempi post-moderni che viviamo, gli esiti sia teologici che politici, in ambito cristiano, del luteranesimo non possono essere dimenticati come, in nome di una eccessiva importanza data agli “initia Lutheri”, si tende troppo facilmente a fare.

Luigi Copertino

CONTINUA

 NOTE

9) In realtà questa considerazione vale in genere nel più vasto ambito abramitico ricomprendendovi anche l’islam.

10) Cfr. Brunero Gherardini “La spiritualità protestante”, Roma, 1982. Gherardini è tra i luterologi italiani più accreditati, ha approfondito le ambiguità della “Teologia Tedesca” prima di Lutero cogliendo soprattutto l’esasperante contrapposizione dialettica che attraversa tutta l’opera di Lutero e che dimostra la sua dipendenza dal principio gnostico del doppio contrario.

11) Essi erano teologi che argomentavano di mistica, nel solco neoplatonico e pre-umanistico, e non è sicuro che qualcuno tra essi abbia effettivamente sperimentato nell’estasi, come una Teresa d’Avila o un Giovanni della Croce che pure sono stati spesso a loro associati, una vissuta esperienza del Fuoco d’Amore Divino.

12) Cfr. Louis Cognet “La scuola spagnola 1550-1650” in “Storia della Spiritualità”, Volume 10, Dehoniane, Bologna, 2014, pp. 38-47.

13) Cfr. Gershom Scholem “Il nichilismo come fenomeno religioso”, Giuntina, 2016.

14) Cfr. Theobald Beer “Der Frohliche Wechsel und Streit. Grundzuge der Theologie Martin Luthers”, Lipsia 1974, Einsiedeln 1980. Quest’opera, purtroppo non disponibile in italiano, indaga approfonditamente sulle fonti spurie della teologia e della cristologia di Lutero ed ha rivoluzionato gli studi di luteranologia sovvertendo radicati ed infondati luoghi comuni. Cosa che ha attirato sul suo autore l’avversione implacabile dell’establishment accademico filo-luterano, non solo, come ovvio, protestante ma anche, purtroppo, cattolico. In italiano si può, comunque, utilmente leggere la sua intervista, specificatamente sull’influsso ermetico in Lutero, che apparve nel 1992 sulla rivista “30Giorni nella Chiesa e nel mondo”. Un’ampia ed ottima sintesi degli studi del Beer è stata fatta da Ennio Innocenti nella sezione dedicata a Lutero della sua opera “La gnosi spuria” edita per la Sacra Fraternitas in Urbe in quattro volumi tra il 1993 ed il 2011.

15) Esiste – attenzione! –, come abbiamo già rilevato, una tradizione mistica ebraica perfettamente aderente alla Rivelazione mentre quella spuria ne è piuttosto una “ellenizzazione malriuscita” nel senso dell’abbandono della radice ebraica a favore del platonismo e non invece una sistematizzazione della sapienza ellenistica alla Luce della Rivelazione biblica, come è stato nel caso del Cristianesimo patristico e come già nell’economia veterotestamentaria fu espressa nel libro della Sapienza.

16) Cfr. Gerhard Ebeling “Lutero, un volto nuovo”, Herder-Morcellania, 1970, p. 243.

17) Cfr. Brunero Gherardini, “La spiritualità protestante”, op. cit., pp. 65-66.