Bin Salman ha spremuto 86 miliardi ai principi parenti

Finalmente un successo di Mohammad Bin Salman, il principe  ereditario e ministro della difesa saudita: è riuscito a spremer  fuori dai suoi principi-parenti  400 miliardi di ryal,  86 miliardi di euro.  Il metodo è già stato spiegato: li ha fatti arrestare in massa in numero di 381, alcuni torturare  perché confessassero i dati del loro conti bancari  esteri (compito affidato a mercenari Usa della Academi, ex Blackwater) e facendoli processare da suoi giudici per  evasione fiscale e corruzione.  Il più importante riccone, il principe  Alwalid  BinTalal,   padrone di un impero finanziario multinazionale  la Kingdom Hold, presente in 160 paesi e comproprietaria di Citigroup, era  stato  liberato qualche giorno fa; era fra quelli che più hanno resistito a sputare il bottino, come gli altri. Contanti, valori, garanzie.

Gli ultimi 56 sono ancora detenuti al Ritz Carlton  di Ryad, ha detto il procuratore, lo sceicco Saud  al Mosceb (un parente) .  L’hotel di lusso trasformato in prigione regale, tornerà alla sua funzione il 14 febbraio.

Non sono gli 800 miliardi  di cui il principe favoleggiava nelle sue notti in compagnia con l’amico Jared  Kushner (che  forse gli ha dato l’idea, presentandogli una lista di beni principeschi preparata dalla Cia) ma sono pur sempre 86 miliardi di cui Bin Salman ha gran bisogno: il tesoro regale era stato svuotato dalle altre sue imprese a cui non è arriso il successo di quest’ultima:   la guerra nello Yemen che è un seguito di rovesci,  lo sfrozo di   rovesciare Assad   in Siria  in alleanza con americani  altri (ma è  soprattutto lui che ha stipendiato centinaia di migliaia di jihadisti dell’IS),  il tentativo  di innescare la guerra  in Libano sequestrando il premier Hariri  e facendogli dichiarare, in stato di prigionia,che era scappato in Arabia perché  Hezbollah attentava alla sua vita; e  non dimentichiamo l’improvvisa rottura dei rapporti diplomatici con tanto di blocco ed embargo contro il Qatar,  per affamarlo,  accusandone l’emiro Al Thani (altro grande finanziatore di jihadisti e di Fratelli Musulmani)  di essere in combutta con Teheran.   Anche  la titanica sesquipedale “modernizzazione dell’economia saudita” concepita dal clown prince,  con la “privatizzazione” dei beni della Corona, fra cui la quotazione  del 5%  della petrolifera di Stato  Saudi Aramco  a Wall Street, le vendite di decine di partecipazioni mondiali in settori che vanno dal calcio all’alimentare, dalla desalinizzazione agli aeroporti   alle Poste Svizzere,  segna il passo.

Coltivare la speranza che Bin Salman usi gli 86 miliardi per turare i buchi di bilancio   che ha aperto nelle casse  regali è lecita, ma tenue.  Mesi fa aveva promesso di portare la lotta  “dentro l’Iran”,  e infatti i servizi di Teheran  han cominciato a intercettare e catturare terroristi islamici dell’ISIS  e sequestrare depositi di  armi ed esplosivi nascosti  nell’Iran occidentale, e sventare attentati   con bombe comandate a distanza che contemplavano esplosioni in zone densamente abitate.

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