Sergey Lavrov – “La Politica Estera Russa: Retroterra Storico”

Le relazioni internazionali attraversano un periodo molto difficile, e la Russia ancora una volta si trova al crocevia tra tendenze chiave che determinano il vettore del futuro sviluppo globale.

Sono state espresse molte opinioni differenti al riguardo, compresa la paura che noi abbiamo una visione distorta della situazione internazionale e del ruolo internazionale della Russia. Io avverto in questo un’eco dell’eterna disputa tra i liberali pro occidente e i sostenitori dell’unicità del cammino russo. Ci sono anche coloro che, in Russia e all’estero, credono che la Russia sia destinata a trascinarsi, cercando di mettersi al pari con l’Occidente, costretta a piegarsi alle regole degli altri partecipanti, e quindi impossibilitata a reclamare il posto che le spetta negli affari internazionali. Vorrei usare questa opportunità per esprimere alcune delle mie idee sostenendole con esempi e parallelismi storici.

E’ un dato di fatto che non possa esserci una valida politica senza affidarsi alla storia. Questo riferimento alla storia è assolutamente giustificato, specialmente se si considerano le celebrazioni recenti. Nel 2015 abbiamo festeggiato il settantesimo anniversario della Vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, e nel 2014 abbiamo fatto un secolo dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Nel 2012, abbiamo fatto duecento anni dalla Battaglia di Borodino e quattrocento anni dalla liberazione di Mosca dagli invasori polacchi. Se guardiamo con attenzione a questi eventi, vedremo che puntano tutti al ruolo speciale della Russia nella storia europea e mondiale.

La storia non conferma la diffusa convinzione che la Russia si sia sempre accampata nel cortile dell’Europa e ne sia stato l’outsider politico. Vorrei ricordarvi che l’adozione del Cristianesimo in Russa nel 988 – abbiamo fatto 1025 anni da quell’evento recentemente – ha spinto lo sviluppo delle istituzioni statali, delle relazioni sociali e della cultura, e infine ha reso la Rus di Kiev un membro a pieno titolo della comunità europea. A quel tempo i matrimoni dinastici erano il miglior indicatore del ruolo di un paese nel sistema delle relazioni internazionali. Nell’undicesimo secolo, tre figlie del Gran Principe Yaroslav il Saggio divennero le regine di Norvegia e Danimarca, Ungheria e Francia. La sorella di Yaroslav sposò il re polacco e nipote dell’imperatore tedesco.

Numerose indagini scientifiche ci rendono testimonianza dell’alto livello culturale e spirituale della Rus di quei giorni, un livello che frequentemente era più alto di quello degli stati dell’Europa occidentale. Molti eccellenti pensatori occidentali hanno riconosciuto che la Rus fosse parte del contesto europeo. Allo stesso tempo, la gente russa possedeva una sua propria matrice culturale e il proprio tipo di spiritualità originale, e non si fuse mai con l’Occidente. E’ istruttivo a questo riguardo ricordare cosa fosse per il mio popolo l’epoca tragica, e per molti versi critica, dell’invasione mongola. Il grande poeta e scrittore russo Alexander Pushkin scrisse: “I barbari non osarono lasciare una Rus schiavizzata nelle loro retrovie e tornarono nelle steppe orientali. La luce della Cristianità venne salvata dalla Russia devastata e morente.” Conosciamo anche una visione alternativa consegnataci dal preminente storico ed etnologo Lev Gumilyov, che credeva che l’invasione mongola avesse favorito l’ascesa di una nuova etnia russa, e che la Grande Steppa ci avesse dato un’ulteriore spinta alla crescita.

Comunque sia, è chiaro che il suddetto periodo sia stato estremamente importante per l’affermazione del ruolo indipendente dello Stato Russo nell’Eurasia. Al riguardo ricordiamo la politica perseguita dal Gran Principe Alexander Nevsky, che preferì sottomettersi temporaneamente al Khanato dell’Orda d’oro, tollerante nei confronti del Cristianesimo al fine di sostenere il diritto dei Russi ad avere una propria fede e la possibilità di sceglierla, contro i tentativi occidentali di prendere il completo controllo delle terre russe, deprivando i Russi della loro identità. Sono convinto che questa politica saggia e lungimirante faccia parte dei nostri geni.

La Rus si piegò ma non si ruppe sotto il pesante giogo mongolo, e riuscì ad emergere da questa terribile prova come un singolo Stato, che in seguito venne considerato sia dall’Occidente che dall’Oriente, come il successore dell’Impero Bizantino che aveva cessato di esistere nel 1453. Un’imponente nazione che si estendeva lungo tutto quello che era praticamente l’intero perimetro orientale dell’Europa, la Russia iniziò una naturale espansione verso gli Urali e la Siberia, incorporando i loro enormi territori. Già allora costituiva un importante fattore di bilanciamento nelle combinazioni della politica europea, compresa la ben nota Guerra dei Trent’Anni che diede la nascita al sistema delle relazioni internazionali sancito dal trattato di Vestfalia, i cui principi, in primo luogo il rispetto per la sovranità degli stati, hanno valore ancora oggi.

A questo punto, ci accingiamo ad affrontare un dilemma che è stato evidente per vari secoli. Mentre lo Stato di Mosca in rapido sviluppo giocava naturalmente un ruolo sempre più importante negli affari dell’Europa, gli stati europei nutrivano apprensione circa il ruolo del gigante nascente nell’Est, e provavano ad isolarlo appena possibile impedendogli di prendere parte agli affari più importanti del continente.

L’apparente contraddizione tra l’ordine sociale tradizionale e la lotta per la modernizzazione basata sulle esperienze più avanzate è anch’essa vecchia di secoli. In realtà, uno stato in rapido sviluppo è costretto a tentare di fare un balzo in avanti, affidandosi alla tecnologia moderna, che non implica necessariamente la rinuncia al suo “codice culturale”. Ci sono molti esempi di società orientali che si sono modernizzate senza una radicale rottura con le proprie tradizioni. Ciò è a tutti gli effetti un tratto tipico della Russia, che è essenzialmente una ramificazione della civiltà europea.

Incidentalmente, il bisogno di modernizzazione basato sui raggiungimenti europei era del tutto manifesto nella società russa sotto lo Zar Alessio, mentre il talentuoso e ambizioso Pietro il Grande gli diede una grande spinta. Sulla base di duri provvedimenti in politica interna e una politica estera risoluta e vincente, Pietro il Grande riuscì a portare la Russia nell’ambito dei paesi più importanti in Europa in poco più di una ventina d’anni. Da allora la posizione russa non poté più essere ignorata. Nessun problema europeo può essere risolto senza [tenere conto de, NdT] l’opinione della Russia.

Non sarebbe rispondente al vero presumere che tutti fossero felici riguardo allo stato delle cose all’epoca. Ripetuti tentativi di riportare questo paese allo stato dei tempi ante-Pietro vennero fatti nei secoli successivi, ma fallirono. Nella metà del diciottesimo secolo, la Russia giocava un ruolo chiave in un conflitto pan-europeo – la Guerra dei Sette Anni. A quell’epoca, le truppe russe fecero un ingresso trionfale a Berlino, la capitale della Prussia sotto Federico II, che godeva di fama di invincibilità. La Prussia si salvò da una inevitabile disfatta solo perché l’Imperatrice Elisabetta morì improvvisamente e fu succeduta da Pietro III, che aveva simpatia per Federico II. Questa svolta nella storia tedesca è tutt’oggi nota come il Miracolo della Casa di Brandeburgo. Le dimensioni della Russia, la sua potenza e la sua influenza crebbero molto sotto Caterina la Grande quando, per dirla con le parole dei Cancelliere Alexander Bezborodko, “Non una sola cannonata poteva essere sparata in Europa senza il nostro consenso.”

Vorrei citare l’opinione di una stimata ricercatrice di storia russa, Hélène Carrère d’Encausse, la segretaria permanente dell’Accademia Francese. Ha affermato che l’Impero Russo sia stato il più grande impero di tutti i tempi se si considera la totalità dei parametri – le sue dimensioni, l’abilità di amministrarne i territori e la longevità della sua esistenza. In accordo con il filosofo russo Nikolai Berdyayev, insiste nell’affermare che la storia ha affidato alla Russia la missione di fare da ponte tra l’Oriente e l’Occidente.

Durante gli ultimi due secoli qualunque tentativo di unire l’Europa senza la Russia e contro di essa ha inevitabilmente portato a terribili tragedie, le cui conseguenze sono sempre state risolte con la partecipazione decisiva del nostro paese. Mi riferisco, in parte alle guerre napoleoniche, alla fine delle quali la Russia andò in soccorso del sistema di relazioni internazionali basato sul bilanciamento delle forze e il reciproco rispetto per gli interessi nazionali, ed escludeva il dominio di un singolo stato sull’Europa. Ricordiamo che l’Imperatore Alessandro I ebbe un ruolo attivo nella stesura delle decisioni del congresso di Vienna nel 1815, che assicurò lo sviluppo dell’Europa senza che avvenissero grossi conflitti armati per i successivi quarant’anni.

Incidentalmente, in una certa misura, le idee di Alessandro I potrebbero essere descritte come un prototipo del concetto di subordinazione degli interessi nazionali a obiettivi comuni, in primo luogo il mantenimento della pace e dell’ordine in Europa. Come disse l’imperatore russo, “non può esserci più una politica inglese, francese, russa o austriaca. Può esserci una sola politica – una politica comune che deve essere accettata dai popoli e dei sovrani per il bene comune.”

Per lo stesso motivo, il sistema di Vienna venne distrutto dal ritorno della volontà di marginalizzare la Russia negli affari europei. Parigi era ossessionata da quest’idea durante gli anni dell’Imperatore Napoleone III. Nel suo tentativo di forgiare un’alleanza anti-russa, il monarca francese si spinse, come uno sventurato gran maestro di scacchi, a sacrificare tutti gli altri pezzi. Come finì? Effettivamente, la Russia venne sconfitta nella Guerra di Crimea del 1853-1856, le cui conseguenze riuscì a risolvere in breve tempo grazie alla politica coerente e lungimirante perseguita dal Cancelliere Alexander Gorchakov. Riguardo a Napoleone III, egli concluse il suo governo sotto la prigionia tedesca, e con l’incubo della rivalità franco-tedesca incombente per decenni sull’Europa occidentale.

Vi racconto un altro episodio della Guerra di Crimea. Come sappiamo, l’Imperatore d’Austria si rifiutò di aiutare la Russia che, pochi anni prima, nel 1849 era andata in suo aiuto durante la rivolta ungherese. L’allora Ministro degli Esteri Felix Schwarzenberg pronunciò la famosa frase: “L’Europa sarà stupita dalla misura dell’ingratitudine austriaca.” In generale, lo sbilanciamento dei meccanismi pan-europei innescò una catena di eventi che portò alla Prima Guerra Mondiale.

Si noti che allora la diplomazia russa promosse idee in anticipo sui tempi. Le conferenze di pace dell’Aia del 1899 e del 1907, tenutesi su iniziativa dell’Imperatore Nicola II, costituirono i primi tentativi di accordarsi per interrompere la corsa agli armamenti e fermare i preparativi per una guerra devastante. Ma non sono molte le persone a conoscenza di questi fatti.

La Prima Guerra Mondiale mieté innumerevoli vittime, causò sofferenze per milioni di persone e condusse alla caduta di quattro imperi. Al riguardo, è opportuno ricordare un altro anniversario che verrà ricordato il prossimo anno – il centesimo anniversario della Rivoluzione Russa. Oggi ci confrontiamo con la necessità di formarci un’opinione obiettiva e bilanciata di quegli eventi, in particolare in un ambiente in cui, specialmente in Occidente, in tanti desiderano utilizzare questa ricorrenza per assemblare altri attacchi informativi contro la Russia, e ritrarre la Rivoluzione del 1917 come un colpo di Stato barbaro che trascinò verso il basso tutta la storia europea. Ancora peggio, vogliono equiparare il regime sovietico al nazismo, e incolparlo parzialmente dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

Senza alcun dubbio, la Rivoluzione del 1917 e la successiva Guerra Civile furono una terribile tragedia per la nostra nazione. Ma tutte le altre rivoluzioni sono state altrettanto tragiche. Questo non impedisce ai nostri colleghi francesi di esaltarne lo sconvolgimento, che, assieme agli slogan di libertà uguaglianza e fraternità, includeva l’uso della ghigliottina e fiumi di sangue.

Indubitabilmente, la Rivoluzione Russa costituì un evento di prima grandezza che ebbe un forte impatto sulla storia mondiale in modi molto controversi. Ha finito per essere considerato come una specie di esperimento nella realizzazione delle idee socialiste, allora molto diffuse in tutta Europa. Il popolo le sosteneva, perché grandi masse sentivano l’attrazione per un’organizzazione sociale che si fondava su principi di collettivismo e comunitarismo.

I ricercatori più seri vedono chiaramente l’impatto delle riforme in Unione Sovietica sulla formazione dei cosiddetti welfare state in Europa Occidentale nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale. I governi Europei decisero di introdurre misure di protezione sociale che non avevano precedenti, sotto l’influenza dell’esempio dell’Unione Sovietica, nel tentativo di togliere la terra da sotto i piedi alle forze politiche di sinistra.

Si può dire che i quarant’anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale siano stati degli anni sorprendentemente buoni per l’Europa Occidentale, a cui venne risparmiata la necessità di prendere gravi decisioni sotto l’ombrello della rivalità USA-Unione Sovietica, potendo così godere di un’opportunità unica per il proprio costante sviluppo.

In queste circostanze, gli stati dell’Europa occidentale hanno realizzato molte idee riguardanti la conversione dei modelli capitalista e socialista, che, come forma preferita di progresso socioeconomico, erano stati promossi da Pitirim Sorokin e altri notevoli pensatori del ventesimo secolo. Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito all’inversione di questo processo in Europa e negli Stati Uniti; la riduzione della classe media, la crescente disuguaglianza sociale, lo smantellamento dei controlli sul grande business.

Il ruolo che l’Unione Sovietica ha giocato nella decolonizzazione e nella promozione dei principi delle relazioni internazionali, come lo sviluppo indipendente delle nazioni e il loro diritto all’autodeterminazione, è innegabile.

Non mi dilungherò su come l’Europa sia precipitata nella Seconda Guerra Mondiale. Chiaramente, le aspirazioni anti-russe delle élite europee, e il desiderio di scatenare la macchina da guerra hitleriana sull’Unione Sovietica ebbero la loro parte. Raddrizzare la situazione dopo questo terribile disastro richiese la partecipazione del nostro paese come partner chiave nella determinazione dell’ordine europeo e mondiale.

In questo contesto, la nozione dello “scontro di tue totalitarismi,” che oggi viene attivamente inculcata nelle menti europee, anche a scuola, è infondata e immorale. L’Unione Sovietica, pur fra tutti i suoi mali, non si pose mai lo scopo di distruggere intere nazioni. Winston Churchill, che per tutta la sua vita fu uno dei principali avversari dell’Unione Sovietica ed ebbe un ruolo fondamentale nel passaggio dall’alleanza della Seconda Guerra Mondiale a una nuova rivalità con l’Unione Sovietica, disse che la grazia, cioè la vita in accordo con la coscienza, fosse il modo di fare russo.

Se si dà un’occhiata imparziale ai paesi europei più piccoli, che facevano precedentemente parte del Patto di Varsavia, e che ora sono membri dell’UE o della NATO, è chiaro che il problema non fosse il passaggio dalla sottomissione alla libertà, come ai burattinai occidentali piace dire, ma piuttosto il cambio di leadership. Il Presidente Russo Vladimir Putin ne ha parlato  non molto tempo fa. I rappresentanti di questi paesi riconoscono a porte chiuse di non poter prendere nessuna decisione importante senza il semaforo verde da Washington o Bruxelles.

Sembra allora che nel contesto del centesimo anniversario della Rivoluzione Russa, sia importante per noi comprendere la continuità della storia russa, che dovrebbe includere tutti i suoi periodi senza eccezioni, e l’importanza della sintesi di tutte le tradizioni positive e delle esperienze storiche come base per ottenere avanzamenti dinamici che favoriscano il giusto ruolo del nostro paese come guida per il mondo moderno, e fornitore di valori di sviluppo sostenibile, sicurezza e stabilità.

L’ordine mondiale del dopoguerra si reggeva sulla rivalità tra due sistemi ed era tutt’altro che perfetto; ciononostante, era sufficiente a preservare la pace internazionale ed evitare la peggiore delle tentazioni possibili – l’uso di armi di distruzione di massa, principalmente armi nucleari. Non c’è fondamento dietro alla credenza popolare che la dissoluzione dell’Unione Sovietica significasse la vittoria occidentale della Guerra Fredda. Questa fu il risultato della voglia di cambiamento del nostro popolo più una sfortunata catena di eventi.

Questi sviluppi hanno dato luogo a un vero sconvolgimento tettonico nel panorama internazionale. Infatti, hanno cambiato di colpo la politica globale, considerato che la fine della Guerra Fredda e della relativa rivalità ideologica offriva un’opportunità unica per cambiare l’architettura europea sui principi di uguale e indivisibile sicurezza e cooperazione estesa senza linee di divisione.

Abbiamo avuto la possibilità vera di rimediare alle divisioni europee e realizzare il sogno di una casa comune, che molti pensatori e politici europei, tra cui il Presidente della Francia Charles de Gaulle, avevano abbracciato con passione. La Russia era completamente aperta nei confronti di questa opzione e avanzò molte proposte e iniziative al riguardo. Logicamente, avremmo dovuto creare nuovi fondamenti per la sicurezza europea rafforzando le componenti militare e politica dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). Vladimir Putin, in una recente intervista con il giornale tedesco Bild ha detto che il politico tedesco Egon Bahr propose un approccio simile.

Sfortunatamente, i nostri partner occidentali decisero diversamente. Scelsero di espandere la NATO verso est e di estendere lo spazio geopolitico sotto il loro controllo in prossimità dei confini russi. Questa è l’essenza dei problemi sistemici che hanno inacidito i rapporti tra la Russia e gli Stati Uniti. È da notare che George Kennan, l’architetto della politica USA di contenimento dell’Unione Sovietica, quest’inverno abbia detto che la ratifica dell’espansione della NATO fu un “tragico errore”.

Il problema che soggiace a questa politica occidentale è che trascura il contesto globale. L’attuale mondo globalizzato si basa su un’interconnessione senza precedenti tra stati, e quindi è impossibile sviluppare relazioni tra Russia e UE come se si fosse fermi allo stato delle politiche globali ai tempi della Guerra Fredda. Dobbiamo prendere atto dei potenti processi in corso nell’area asiatica del Pacifico, in Medio Oriente, in Africa e in America Latina.

I rapidi cambiamenti in tutte le aree della vita internazionale sono il principale segno della fase attuale. Indicativamente, spesso prendono svolte inattese. Pertanto, il concetto di “fine della storia” sviluppato del ben noto sociologo e ricercatore politico USA Francis Fukuyama, popolare negli anni ‘novanta, oggi è chiaramente diventato inconsistente. Secondo questo concetto, la rapida globalizzazione segnala la vittoria finale del modello capitalista liberale, laddove tutti gli altri modelli debbano adattarsi sotto la guida dei saggi insegnanti occidentali.

In realtà la seconda ondata della globalizzazione (la prima era avvenuta prima della Prima Guerra Mondiale) ha portato alla dispersione del potere economico globale e, quindi, dell’influenza politica, e all’emersione di nuovi grandi centri di potere, in primo luogo nella regione del Pacifico asiatico. La rapida ascesa della Cina ne è l’esempio più evidente. Grazie a tassi senza precedenti di crescita economica, in appena trent’anni è diventata la seconda e, se si calcola la parità del potere d’acquisto, la prima economia nel mondo. Quest’esempio illustra un fatto assiomatico – ci sono molti modelli di sviluppo – che escludono la monotonia dell’esistenza all’interno dell’uniforme quadro di riferimento occidentale.

Di conseguenza, ci sono state relative riduzioni nell’influenza del cosiddetto “Occidente storico” avvezzo a vedersi come il padrone dei destini della razza umana per almeno cinque secoli. La competizione sulla formazione dell’ordine mondiale nel ventunesimo secolo si è inasprita. La transizione dalla Guerra Fredda a un nuovo sistema internazionale si è rivelata più lunga e dolorosa di quanto non sembrasse venti o venticinque anni fa.

Su questo sfondo, uno dei problemi di base negli affari internazionali è la forma che si deve dare a questa naturale competizione tra le principali potenze mondiali. Vediamo come gli Stati Uniti e l’alleanza occidentale a guida USA stiano provando a conservare le loro posizioni dominanti o, utilizzando la terminologia americana, assicurare la loro “leadership globale”con ogni metodo a disposizione. Vengono utilizzati tanti modi diversi di esercitare pressioni, sanzioni economiche e perfino interventi armati diretti. Si fomentano guerre di informazione su larga scala. E’ stata tentata e sperimentata la tecnologia del cambio di governo incostituzionale tramite il lancio di rivoluzioni “colorate”. Cosa importante, le rivoluzioni democratiche sembrano essere distruttive per le nazioni bersaglio di tali azioni. Il nostro paese che ha attraversato un periodo storico in cui incoraggiava le trasformazioni artificiali all’estero, procede in modo fermo preferendo cambi evolutivi realizzati nella forma e nella velocità confacenti alle tradizioni di ogni singola società e al suo livello di sviluppo.

La propaganda occidentale accusa abitualmente la Russia di “revisionismo”, e del supposto desiderio di distruggere la stabilità del sistema internazionale, come se fossimo stati noi a bombardare la Jugoslavia nel 1999 in violazione della Carta delle Nazioni Unite e dell’Atto Finale di Helsinki, come se fosse stata la Russia ad ignorare il diritto internazionale invadendo l’Iraq nel 2003 e a distorcere le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU rovesciando con la forza il regime di Muammar Gheddafi nel 2011. Ci sono molti esempi.

Il discorso del “revisionismo” fa acqua. Si basa sulla semplice e, volendo,  anche primitiva logica secondo cui solo Washington possa orchestrare gli affari mondiali. In linea con questa logica, il principio formulato ai tempi da George Orwell e portato al livello internazionale, suonerebbe in questo modo: tutti gli stati sono uguali, ma alcuni stati sono più uguali di altri. Le relazioni internazionali, però, oggi sono un meccanismo troppo sofisticato perché possa essere controllato da un solo centro. Ciò è ovvio dati i risultati dell’interferenza USA: non c’è virtualmente nessuno stato in Libia; l’Iraq è in equilibrio sul ciglio della disintegrazione, e così via.

Una soluzione affidabile ai problemi del mondo moderno può essere ottenuta tramite una cooperazione seria e onesta tra i principali stati e le loro associazione al fine di affrontare sfide comuni. Tali interazioni dovrebbero comprendere tutti i colori del mondo moderno, e dovrebbero essere basati sulla diversità culturale e di civiltà, oltre che riflettere gli interessi delle componenti chiave della comunità internazionale.

Sappiamo per esperienza che quando questi principi vengono applicati nella pratica, è possibile ottenere risultati specifici e tangibili, come l’accordo sul programma nucleare iraniano, l’eliminazione delle armi chimiche siriane, l’accordo sulla cessazione delle ostilità in Siria, e lo sviluppo dei parametri di base per l’accordo globale sul clima. Questo dimostra il bisogno di ripristinare la cultura del compromesso, la fiducia nel lavoro diplomatico, che può essere difficile, persino estenuante, ma che resta, in essenza, il solo modo di assicurare ai problemi una soluzione reciprocamente accettabile e con l’utilizzo di mezzi pacifici.

Il nostro approccio è condiviso dalla maggior parte degli stati mondiali, compresi i nostri partner cinesi, le altre nazioni del BRICS e della SCO, e i nostri amici nell’EAEU, nel CSTO, e nel CIS. In altre parole, possiamo dire che la Russia non sta combattendo contro nessuno, ma a favore della risoluzione di tutti i problemi su basi di equità e rispetto reciproci, le sole che possono essere usate come fondamento affidabile per miglioramenti di lungo termine nelle relazioni interazionali.

Il nostro compito più importante è quello di congiungere i nostri sforzi non contro alcune sfide forzate, anche se molto reali, tra le quali l’aggressione terroristica è la più pressante. Gli estremisti dell’ISIS, di Jabhat al-Nusra e simili, per la prima volta sono riusciti a stabilire il controllo su vasti territori in Siria e in Iraq. Stanno tentando di estendere la loro influenza ad altri stati e regioni, e stanno commettendo atti di terrorismo in tutto il mondo. Sottostimare questo rischio non è nient’altro che criminale miopia.

Il Presidente Russo ha invocato la formazione di un fronte esteso al fine di sconfiggere militarmente i terroristi. Le Forze Aerospaziali Russe forniscono un contributo importante a questo scopo. Allo stesso tempo, stiamo lavorando duramente per stabilire azioni collettive riguardo a risoluzioni pacifiche dei conflitti di questa regione perseguitata dalla crisi.

Cosa importante, i successi di lungo termine possono essere raggiunti soltanto sulla base del movimento verso l’associazione delle civilizzazioni basata sull’interazione rispettosa delle diverse culture e religioni. Crediamo che la solidarietà umana debba avere una base morale formata dai valori tradizionali che sono largamente condivisi dalle principali religioni mondiali. A questo riguardo, vorrei richiamare la vostra attenzione alla dichiarazione congiunta del Patriarca Cirillo e di Papa Francesco, nella quale, tra le altre cose, hanno espresso il sostegno alla famiglia come centro naturale della vita degli individui e della società.

Lo ripeto, non cerchiamo lo scontro con gli Stati Uniti, o l’Unione Europea, o la NATO. Al contrario, la Russia è aperta alla cooperazione più ampia possibile con i suoi partner occidentali. Continuiamo a credere che il modo migliore per assicurare gli interessi delle popolazioni che vivono in Europa è di formare un comune spazio economico e umanitario dall’Atlantico al Pacifico, affinché la formazione di questa nuova Unione Economica Eurasiatica possa fare da integrazione tra l’Europa e l’Estremo Oriente. Lottiamo per fare del nostro meglio al fine di superare gli ostacoli sul nostro cammino, tra cui la risoluzione della crisi ucraina causata dal colpo di stato a Kiev del febbraio 2014, sulla base degli accordi di Minsk.

Vorrei citare il saggio e politico navigato Henry Kissinger, che in un discorso recentemente tenuto a Mosca, ha detto che “la Russia dovrebbe essere percepita come un elemento essenziale di qualunque nuovo equilibrio globale, non principalmente come una minaccia per gli Stati Uniti… Sono qui per parlare a favore della possibilità di un dialogo che cerchi di unire i nostri futuri anziché elaborare i nostri conflitti. Questo richiede rispetto da ambo le parti dei valori vitali e degli interessi dell’altro.” Condividiamo quest’approccio, e continueremo a difendere i principi del diritto e della giustizia negli affari internazionali.

Parlando del ruolo della Russia nel mondo come grande potenza, il filosofo russo Ivan Illyin ha detto che la grandezza di un paese non è determinata dalle dimensioni del suo territorio o dal numero dei suoi abitanti, ma dalla capacità del suo popolo e del suo governo di prendersi carico del grandi problemi del mondo e di affrontarli in modo creativo. Una grande potenza è quella che, affermando la propria esistenza e i propri interessi… introduce un’idea creativa, significativa e legale a tutta l’assemblea delle nazioni, l’intero “concerto” di popoli e stati. È difficile non essere d’accordo con queste parole.