Quando il Financial Times si scaglia contro la plutocrazia

…è un evento clamoroso, da segnalare. Tanto più se a usare l’espressione – come composto di uno inaudito pluto-populismo – è Martin Wolf, cioè il supremo sacerdote dell’ortodossia finanziaria globale, “austriaco” d’origine, membro del World Economic Forum da oltre 20 anni, il sorvegliante ideologico riconosciuto le liberismo capitalista citato ogni volta da Radio Radicale, prostrata, come l’Infallibile e il Venerabile Maestro.

L’ultimo pezzo di Martin Wolf

The fading light of liberal democracy

la luce della democrazia liberale si affievolisce

è degno di essere adottato dagli studenti dei media come esempio di giornalismo britannico. Precisamente per mostrare come il tono compassato, misurato e magisteriale che tale giornalismo pratica, specialmente quando si eleva far la morale al mondo come sempre Martin W., sa diventare ruggito e voglia di uccidere quando riconosce davanti se un nemico da eliminare. In poche righe, il Martin tutto-sobrietà “ dà a Trump dell’ “autocrate”, del gangster, del “Nerone”, che si è voluto “al di sopra della legge e democraticamente irresponsabile”, per il quale “le elezioni sono una farsa” essendo il suo “il potere personale, non istituzionalizzato”, il metodo “dei gangster corrotti. Questo è il sistema politico che Trump voleva installare negli Stati Uniti”.

Questa la prima lezione di giornalismo britannico da parte di uno dei suoi maestri Venerabili.

L’altra, ancora più importante, è si sa questa, che ci viene raccomandata da quei pulpiti: “i fatti separati dalle opinioni”.

Wolf porta alla perfezione questo dettame: dà alla sua opinione ostile il potere di rovesciare i ”fatti”, attribuendo al nemico tutto ciò che è contrario alla realtà di fatto.

Si assapori il seguente passo, dove appunto accusa Trump di essere stato creato dai “plutocrati”.

Il trumpismo, corruzione della democrazia, è (dice) “il logico risultato della strategia politica ed economica del “pluto-populista”. Trump è la creatura che nasce dell’obiettivo strategico dei suoi donatori come classe: tagli fiscali e deregolamentazione. Per raggiungere questo scopo, devono convincere un’ampia percentuale della popolazione a votare contro i propri interessi economici concentrandosi invece su cultura e identità. Questa strategia ha funzionato e continuerà a funzionare: Trump potrebbe essere andato; Il Trumpismo no”. 

Ora, lo ha scritto perfino il New York Times che nella campagna presidenziale i donatori miliardari, capintesta delle multinazionali, hanno donato in massa a Biden il democrat; che i 36 miliardari che hanno fatto donazioni per Trump nel 2016, si sono ridotti a 6;

Il piatto piange: solo 6 dei 38 principali finanziatori di Trump nel 2016 e nel 2018 sostengono la sua rielezione

che Trump ha raccolto fondi da miriadi di piccole donazioni dello “small business” e del popolino, di quelli che Killary ha bollato di “deplorevoli”.

Si apprezzi dunque come il maestro del giornalismo britannico separi i “fatti” dalle “opinioni” al punto da rovesciarli e far diventare fatti le sue opinioni. Al punto da attribuire a Trump gli alleati miliardari che invece hanno scelto Biden e lo foraggiano.

Ma veramente impagabile è la motivazione per cui i plutocrati avrebbero riempito d’oro il gangster Donald secondo Wolf: vogliono da lui “tagli fiscali e deregulation”: ossia i due dogmi del capitalismo terminale che di cui proprio il Financial Times predica la necessità fra fumo di incenso e impone come la pietra di paragone della “democrazia” da mezzo secolo, che Martin Wolf ha esaltato quando li hanno imposti al mondo “libero” prima la Thatcher e poi Ronald Reagan, propugnandone l’esportazione anche armata (“democrazia liberale” come libero mercato armato). Tagli fiscali e deregulation spinti fino all’estremo delirio hanno reso possessori di centinaia di miliardi ciascuno dei quattro padroni dei GAFA, i quali tutti sono contro Trump egli hanno scatenato contro i loro mezzi mediatici e finanziari onnipotenti; sono la causa delle delocalizzazioni che hanno desertificato il tessuto industriale americano (ed europeo) perché i plutocrati, per avidità corta, hanno trasferito le innovazioni in Cina onde lucrare sempre più sui bassa salari là vigenti, sicché ora la Cina, con il know how, è la prima potenza e cresce, mentre gli Usa arretrano e decadono al rango di esportatori di materia prime, granaglie, gas liquido, carni.

Infine, Wolf non sa esimersi dall’alzare il ditino e porsi ad un livello morale più alto (è un vizio tra Economiste e Financial Times, BBC e Washington Post: hanno occupato anche la moralità): insegna agli elettori di Trump, i deplorevoli, che sono i plutocrati in veste di populisti ad averli ingannati inducendoli a “concentrarsi sui problemi di identità e cultura” e così a “votare contro i propri interessi economici”: interessi economici che il Financial Times e Martin Wolf conosce meglio dei disoccupati, working poors, precari piccoli artigiani ed altri deplorables depauperati dal globalismo de-industrializzatore e dai mega-monopoli privati che non pagano le tasse in nessuna nazione. Ma che naturalmente si guarda berne dallo specificare. Sarebbe infatti interessante se fosse il Financial Times a insegnare agli elettori di Trump: cosa sono i vostri reali interessi? Esigere una tassazione espropriatrice sui superprofitti che i miliardari hanno accumulato ancor più durante i lockdown, mentre loro, gli elettori, perdevano il lavoro? Dovrebbero capire che l’efficienza del capitalismo ultimo si riduce a sottrarre salari da parte del capitale? Sarebbe veramente una rivoluzione sul Financial Times. Accontentiamoci del fatto che ha usato il termine “pluto”crazia: termine censurato e vietato nelle auguste pagine rosa.

Attenzione: quest’abbandono della (finta) oggettività e ipocrita pretesa di moralità nel principale organo del liberismo globale e del suo gran sacerdote, prelude a un indurimento terribile del regime (che loro chiamano “democrazia” o “mercato”) . Quali che siano le insufficienze di Trump, l’elezione di novembre ha mostrato agli americani che la democrazia è un’illusione e il potere reale è esercitato da una ristretta cricca di miliardari, come scrive Alistair Crooke; buttata la maschera, e abbandonati i guanti di velluto il globalismo diventa potere puro, anti-umano, per perpetuare se stesso. Come stiamo vedendo con il Grand Reset.

Ma in Europa è peggio, perché, dice Alistair Crooke citando le memorie di un europeista vero-credente, Luuk van Midddelaar, che fu braccio destro di Van Rompuy (il primo presidente della Kommmissione), vige il colpo di Stato permanente: ormai le decisioni non vengono nemmeno prese dalla Commissione, ma dal Consiglio europeo, “dove 28 capi di governo che si chiamano per nome di battesimo e si danno del tu si riuniscono a porte chiuse, per poi emergere insieme per una raggiante “ foto di famiglia ” davanti alle telecamere di i mille giornalisti riuniti per ascoltare il Verbo.

Da lì sono uscite “le severissime misure finanziarie e politiche adottate da Berlino, Francoforte e Bruxelles per estromettere i governi deboli dell’Europa del Sud , reprimere Varoufakis e […] l’ascesa al potere della Germania nell’Unione. Le misure adottate rispettarono il Trattato di Maastricht? No, e tanto meglio”, si rallegra Van Middelaar: ““L ‘” Europa “ha avuto la meglio su Maastrich. Perché continui l’ esistenza dell’Unione in quanto tale, in situazioni di emergenza , infrangere le regole può effettivamente significare essere fedeli al contratto”. Dunque la UE è governata da una cosca illegittima? Risponde questo primo intellettuale organico della UE, Gramsci dei burocrati : a che serve decorare il Consiglio a porte chiuse del “nastrino accademico della mera legittimità. Quello che ora indossa è qualcosa di più vecchio, più solido e più capiente –l’uniforme dell’autorità ”. A fronte della necessità di “salvare l’euro” perché, come disse la Merkel, “se salta l’euro salta l’Europa”, la condizione preliminare del gioco, cioè una società libera, è scomparsa dalla vista”. E lo dice un europeista olandese, senza il minimo rincrescimento. Sotto il loro tallone stiamo, sempre più pesante.