Perché l’aborto in Costituzione significa eutanasia di Stato

Spiegato dal maggior filosofo vivente francese Henri Hude

I legislatori hanno l’obbligo di legiferare considerando attentamente le conseguenze logiche delle loro decisioni. La costituzionalizzazione dell’aborto avrebbe a questo riguardo due rigorose implicazioni, senza dubbio sfuggite ai suoi miopi promotori, ma ciascuna delle quali equivarrebbe nientemeno che alla rottura del patto sociale.

In primo luogo, mirano a rafforzare, giuridicamente e simbolicamente, l’autorizzazione della donna a praticare liberamente l’aborto.

Sfortunatamente, questa decisione va ben oltre. Ciò equivarrebbe anche a dare allo Stato il diritto di attuare una politica demografica che includa, se necessario, l’obbligo per le madri di abortire, come è avvenuto nella Cina popolare.

Infatti, ciò che è oggetto di diritto fondamentale può anche diventare, in determinate circostanze, oggetto di dovere essenziale e, conseguentemente, di obbligo giuridico.

Costituzionalizzando un diritto, lo Stato non si limita a dare l’ordine più imperativo possibile, ma convalida solennemente, a nome di tutti e malgrado il dissenso di molti, un giudizio morale di valore assolutamente assoluto. Lo Stato proclama e dichiara che l’aborto non reca alcun danno reale a nessuno, non è né un male né un male minore. Diventa un bene puro e indubitabile.

Non contesto questo giudizio morale. Mi limito a richiamare l’attenzione sul fatto che, se il nostro Stato afferma così, con la massima forza possibile, la moralità senza riserve di questo tipo di atti (questo varrebbe anche per qualsiasi altro), non solo i cittadini ne hanno diritto, ma assolutamente nulla impedisce che questo atto diventi per loro (in questo caso, per loro), in determinate circostanze, un dovere categoricamente obbligatorio. Se quindi riconosciamo un diritto fondamentale dell’individuo all’aborto, allora diamo automaticamente allo Stato il diritto di fornire l’aborto, nella misura in cui la necessità pubblica lo richiede.

Le persone miopi non vedono l’incubo che stanno preparando. Perché la lotta contro una frode più che prevedibile nell’aborto obbligatorio e la garanzia della legge statale in questo settore potrebbero arrivare fino a vietare la gestazione in utero e rendere obbligatoria la gestazione artificiale. E a causa della costituzionalizzazione dell’aborto sarebbe impossibile, giuridicamente, sfuggire a tutte queste conseguenze. La costituzionalizzazione dell’aborto aprirebbe giuridicamente la strada a una biocrazia totalitaria con ogni potere sui corpi.

In secondo luogo, questa costituzionalizzazione aprirebbe la strada, giuridicamente, al totalitarismo sulle menti.

In queste condizioni nessuna obiezione di coscienza poteva più reggere. Ma al di là dei problemi della professione medica, per quanto importanti, ciò che è in gioco, a livello universale, non è altro che il futuro dell’illuminismo.

Il dibattito teorico e pratico sull’aborto è incentrato sulla nozione di persona. Da un punto di vista teorico la domanda è: l’embrione è una persona oppure no, giuridicamente, antropologicamente, metafisicamente? Questa è tutta la questione. Da un punto di vista pratico, partendo dal presupposto che non possiamo sfuggire al dubbio, dovremmo applicare l’adagio “nel dubbio c’è libertà” o l’adagio “nel dubbio ci asteniamo”? Questa è tutta la questione. L’attuale depenalizzazione rimane coerente con il dubbio e sceglie di applicare il primo adagio, “nel dubbio, libertà”. Ora, in buona fede, non si tratta di una questione teorica sulla quale ci sono legittime discussioni, incertezze, dubbi? E una domanda pratica che non ha una risposta immediatamente ovvia?

Se quindi costituzionalizziamo l’aborto, mettiamo fuori legge la legge nella Repubblica dogmatizzando inopportuna la libera discussione su una questione di cui ogni persona razionale e riflessiva conosce le oscurità di cui è circondata.

Se ammettiamo tali abusi su una questione così importante e difficile, dove saranno i limiti? Una persona rispettosa della Costituzione si sentirà obbligato, prima di pensare, a chiedere l’autorizzazione alla Repubblica, che sarà così diventata dispotica.

Per difendere questo diritto fondamentale (e presto quali altri?), da cosa a cosa, estenderemo all’infinito, a torto o a ragione, e senza dubbio nonostante il buon senso, l’elenco delle opinioni incostituzionali, finché non rimarrà più nulla, non solo della libertà di coscienza e di espressione, ma anche dell’audacia di ragionare e comunicare il frutto del proprio ragionamento – e in definitiva niente di ragione. Il Senato dovrà dire se, a suo avviso, l’audacia di pensare è giuridicamente inferiore o superiore alla Costituzione, e se senza audacia di pensiero può ancora esistere una Costituzione repubblicana.

Conclusione ? Per queste due ragioni, ed alcune altre, dobbiamo sperare che il Senato, agendo con ragione e gravità, concluda il rigetto di una proposta ineducata e sconsiderata, con la quale si romperebbe il patto sociale e si sostituirebbe il dispotismo alla Repubblica.

(anche il Senato ha votato sì a Macron)

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Fonte:

https://cerclearistote.fr/deux-implications-logiques-dune-constitutionnalisation-de-lavortement/