LA “SUPERCLASSE” E I SUOI CRITICI (in USA)

Abolire i miliardari”:  quando un  titolo così appare   sul New York Times, il quotidiano più  autorevole dei “liberal”  e della “superclasse progressista”,  bisogna riconoscere  che è un evento in sé. L’autore del pezzo, Farhad Manjoo  (sudafricano di origine indiana, 40 anni, espertissimo delle nuove tecnologie, “un campo che crea e uccide un miliardario all’anno”) dice che in questa veste ha  accumulato un a  vera conoscenza antropologica  del miliardario.  E  va giù duro: “ Possedere un miliardo di dollari è  assolutamente  più di quanto chiunque abbia bisogno, anche tenendo conto dei lussi più esagerati. È molto più di quanto chiunque potrebbe ragionevolmente affermare di meritare, per quanto creda di aver contribuito alla società.  A un certo livello di ricchezza estrema, il denaro inevitabilmente corrompe. A sinistra e a destra,   “compra”  il  potere politico, mette a tacere il dissenso, serve principalmente a perpetuare una ricchezza sempre maggiore, spesso non correlata a nessun reciproco bene sociale”.

(105 miliardi. Non è accettabile)

Eliminare i  miliardari, essenzialmente con la tassazione marginale  progressiva e molto alta, è una richiesta che sta avanzando negli Stati Uniti, dal lato “progressista”.  La deputata Alexandra Ocasio Cortez, 29 anni, esponente in crescita del partito democratico,  femminista militante, sta guidando una campagna  per l’abolizione dei ricconi,  con  lo slogan: “Ogni miliardario  è  un fallimento politico”.  Huffington Post se  n’è uscito con un articolo,  firmato da una ex direttrice del  Wall Street Journal, che pone la domanda: “ Perché  poi i miliardari dovrebbero esistere?”

Should Billionaires Even Exist?

https://www.huffingtonpost.com/entry/billionaires-tax-the-rich_us_5c51ea30e4b0ca92c6dcafc6

Insomma in USA –  grazie anche all’odio dei liberal per il milionario Trump – l’atmosfera  sta cambiando.   Ne avvertiamo soprattutto i progressisti nostrani, radicali e radicalchic: in USA, da cui accogliete tutte le mode, la moda sta cambiando, si entra nella critica all’iper-capitalismo, e voi  non avete niente da mettervi. Del  resto  cosa volete pretendere, sapendo che gli “intellettuali di sinistra” da noi vanno da Eugenio Scalfari (200 milioni di capitale) ad Augias (“giornalista” da 370 milioni annui),da Fabio Fazio e Saviano con casa a Manhattan passando per le giornaliste Rai da 200 mila e più : se  non miliardari, almeno milionari  e quindi per forza solidali  coi super-ricchi, difensori estremi dei “mercati” e del loro potere punitivo dei popoli e dei populisti,  adoratori dei banchieri centrali e  della UE.

Per essere più precisi, questi  esponenti della “sinistra” sono parte integrante  di quella Jacques Attali  ha chiamato la “superclasse”.

Attali – La Surclasse, l’Express, 7 mars 1999. 

L’ho ritrovato grazie all’amico Nicolas Bonnal.  In questo articolo agghiacciante,  il banchiere dei Rotschild e uno degli autori  dei trattati europei ha raccontato  e prefigurato vent’anni fa, con gelida freddezza, l’avvenire che ci stata preparando  il sistema di potere di cui  lui è membro.

Negli Stati Uniti, la classe  operaia è rapidamente dissolta dalla concorrenza della tecnologia del Nord e dei bassi salari del Sud. Il salario operaio cala da 20 anni.  In dieci anni, la proporzione di impieghi  precari è quadruplicata, e la possibilità di restare disoccupato almeno una volta nei cinque anni a venire, è triplicata. Questa precarizzazione tocca  a poco a poco la classe  media: ingegneri, commercianti, impiegati, quadri intermedi sono minacciati dall’entrata dell’informatica nei servizi e per la concorrenza dei loro omologhi nel Sud (del mondo) entrambe accelerate dalla telecomunicazione”.

In questo mondo  di precari, sorgeranno le nuove “fortune”.

Queste fortune nuove non sono  quelle dei capitalisti tradizionali  né dei dirigenti dei grandi gruppi, ma invece dei detentori di rendite informazionali,   che dispongano, anche per un tempo breve, di un saper o di saper-fare (know-how) unico” .  Sono i “manipolatori di simboli”, le cui “fortune” sono, in fondo, parimenti precarie (il loro sapere ha  mercato “per breve tempo”).

In questo capitalismo globale di alta competizione e bassa inflazione, bisognerà disporre di capitali liquidi, non avere debiti né immobilizzi, e soprattutto  disporre di una “rendita di posizione”  tecnologica (un sapere, una competenza, un’opportunità di essere  un intermediario utile alla  valorizzazione o  circolazione dell’informazione, un’innovazione nel piazzamento di titoli, la genetica, lo spettacolo o l’arte).

Attali descrive estatico questi fortunati: “Coloro che saranno padroni di queste  rendite costituiranno ciò che chiamo una superclasse, perché non si unificano in una classe che deve i suoi privilegi alla proprietà dei mezzi di produzione. Le teorie liberali o  marxiste non si applicheranno a loro: non sono né imprenditori-creatori di posti di lavoro e di  ricchezza collettiva, né capitalisti  sfruttatori della classe  operaia.  Non possiedono né le imprese, nè i terreni, né i posti amministrativi”.

Essi sono ricchi di un  attivo nomade, monetario o intellettuale e l’utilizzano in modo mobile   essi stessi, mobilitando rapidamente del capitale e delle competenze in  combinazioni cangianti, per finalità effimere  in cui lo Stato non ha alcun ruolo.  Essi non voglio dirigere gli affari pubblici (la celebrità  politica è per loro una maledizione)”.

Essi amano creare, gioire, spostarsi; non si preoccupano di trasmettere le  loro fortune o  potere ai figli: ciascuno per sé. Ricchi, vivono lussuosamente, spesso senza pagare ciò che consumano” . Questi nomadi dell’effimero che stanno attaccati al telefonino negli aeroporti, sugli aerei, negli hotel del lusso-standard..

“Essi portano con loro  – dice Attali   – il meglio  e il peggio, installando una società  volatile, egoista ed edonista, nel sogno e nella violenza”.

Violenza? Egoismo, edonismo nomade, sogno e violenza? Evidentemente Attali  prefigura  con precisione chiaroveggente  il regime di Macron, di cui i Gilet Gialli provano la violenza, della Erasmus generation  e dei miliardari nomadi, i cui saperi e successi sono ugualmente  effimeri. Quella classe che “si fa passare per detentrice di una conoscenza superiore”, quella  middle class  globale” descritta da Preve, “ caratterizzata  dalla sua facilità di viaggiare, dall’inglese scolastico, dall’uso moderato delle droghe, da una nuova estetica androgina transessuale”, di  cui Emmanuel Macron è  la incarnazione, e addirittura la caricatura.

Attali  sta dalla parte di  questa superclasse.   Lo  dice il disprezzo con cui tratta “le elites tradizionali europee: anch’esse saranno spazzate via da questi nuovi venuti. Civiltà agricola, l’Europa è di fatto meno ben piazzata dell’America per questa vittoria della mobilità.  Farà  più fatica ad accettare che il potere economico non sia più dei proprietari di  terreni, dei muri, di officine, di diplomi. Le sue elites che cumulano queste proprietà divenute anacronistiche saranno a poco a poco declassate.  La Francia è particolarmente mal preparata a questo avvenire. E’ una nazione contadina e statica (statica perché contadina)”.

Non si legge qui la parafrasi degli insulti di cui Macron ha riempito i  i suoi concittadini? “Galli refrattari alle riforme”, “fannulloni, cinici, estremisti” ,  “une foule haineuse” (folla  odiatrice”, detto dei Gilet Gialli), gente  che non fa che lamentarsi, gente “che non sono niente”…

Attali ci ordinava: “Bisogna accettare questa mutazione, perché questa superclasse porta la creatività e il benessere di domani. […]  L’Europa  non deve avere complessi. Nella formidabile fase di  crescita che inizia, e che durerà trent’anni, l’Europa ha tutte le possibilità di essere la  prima potenza del XXI secolo. A condizione di permettere a questa superclasse europea di esprimersi liberamente e di mettere le sue competenze creative  al servizio  del lungo termine e della solidarietà”.

Non sarà come in America, assicura, dove “una superclasse trionfante  galleggerà sulle acque fangose della miseria, e la riuscita di alcuni si  pagherà al prezzo della marginalizzazione del più gran numero e  della violenza de declassati”-

Certo, gongola Attali, “per questo, bisogna immaginare più che un programma politico, una rivoluzione culturale: l’accettazione del nuovo come  una buona novella, la precarietà come valore, l’instabilità come una urgenza e il meticciato come ricchezza.  La creazione di tribù nomadi adattabili  senza  tregua, liberanti mille energie e  portatrici di solidarietà originali”.

“A questo scopo bisogna cambiare tutto – e presto – nel sistema fiscale, educativo e sociale.  Serve una fiscalità che favorisca la creazione più che il possesso di ricchezze, l’innovazione più che la routine, il lavoro ad alto valore aggiunto più che il lavoro non qualificato. E’ assurdo che ci si interessi solo al lavoro non qualificato, abbassando le tassazioni che gravano su di esso, mentre  la disoccupazione più pericolosa per il futuro delle nostre società  è quella dei giovani diplomati, membri potenziali di questa superclasse e  creatori futuri di impieghi non qualificati. Bisogna favorire in ogni modo la creazione  di prodotti, di idee, di intraprese  per cui nascano  impieghi valorizzanti e che ciascuno possa esprimere le sue potenzialità”.

Se obiettate all’idea che bisogna tassare   di più  i meno qualificati,  ossia i poveri,  Attali ha il rimedio: “In contropartita, bisogna imporre una  giustizia sociale più esigente, che assicuri ad ognuno l’eguaglianza delle opportunità  di accedere a questa superclasse. Ossia, cessare di confondere sicurezza e immobilismo, e dare a ciascuno al minimo i mezzi di mangiare, apprendere e di abitare”.

Sentite, assaporate come Attali si esalta a descrivere la sua utopia, il suo ideale di società, miscuglio inestricabile di sessantottismo totale, di rivoluzione permanente o trotzkismo psichico  radicalmente imposto non solo alla società  ma alle anime, in nome del capitalismo ultimo creativo delle competenze fugaci e  dei mercati effimeri, come le rendite. Egli desidera realizzare come utopia questo mondo orribile dove “la liquidazione delle radici forma la base del programma, per cui solo gli sradicati possono accedere alla libertà intellettuale e politica” (ci avvertiva già Christopher Lasch).

E infatti, l’Europa di Maastricht è sempre più evidentemente adattata   su misura della superclasse – e dei suoi maggiordomi del circo mediatico e politico.

Nella realtà, questa società ha fatto apparire anche in Europa uno squallido fenoemno americano: quelli dei “working poor”, dei poveri che, pur lavorando, restano poveri:  perché  le loro paghe sono al disotto del 60 per cento del reddito mediano (non medio)  delle  famiglie.  Lavoratori e  lavoratrici che non riescono ad assicurare il cibo ai figli.

 

La mancanza di lavori a tempo pieno, l’austerità, le tasse gravanti proprio sui redditi bassi, sono fra le cause.  Così come l’enorme estensione dei lavori in nero  ed illegali. I “lavoratori poveri” sono numerosi   nella stessa Germania . Milioni di bambini nei paesi europei hanno  un genitore che lavora ma vivono  in povertà.   Famiglie con un salario devono ricorrere ai pacchi delle banche alimentari, che in Usa ricorrono ai food stamps. Altri  lavorano 60 ore la settimana per poi abitare in tuguri e faticare a cavarsela. Le nuove povertà europee sono la diretta conseguenza della  “utopia”  attaliana.

I Gilet  Gialli lo hanno capito – anche perché di questa decomposizione della sociailità, di questo globalismo, sono fra levittime, e sono in gran parte “working poor” –  mentre gli intellettuali “di sinistra”  lino, e li bollano di fascisti. E’ il caso  tipico rilevato da Costanzo Preve:

“Oggi ci troviamo in una situazione nuova: gli intellettuali sono nella stragrande maggioranza più stupidi delle persone comuni”.

Orbene, questo mondo  sta cominciando ad essere messo in discussione   proprio  negli Stati Uniti, ad un livello intellettuale che i nostri “intellettuali” non sospettano nemmeno. Non solo si è capito che i miliardari sono dannosi.

Miliardari, affini ai criminali per irresponsabilità sociale

The American  Interest, bimestrale colto, ha anche cominciato a constatare che i miliardari   che  “vivono in comunità chiuse, viaggiano con jet personali e flotte di autobus privati ​​e mandano i loro figli in scuole esclusive”  eludono vittoriosamente le tassazioni perché non si sentono più obbligati a contribuire, poniamo, ai servizi sociali di un moderno stato sociale. E questo loro rigetto “dall’alto” converge con un altro rifiuto “dal basso “ nelle società globalizzate: “Cartelli della droga, trafficanti di esseri umani, hacker informatici, contraffattori, trafficanti d’armi “ e  mettiamoci i nigeriani cannibali , “che  sfruttano le scappatoie, le eccezioni e le falle  delle istituzioni governative per costruire imperi”, spesso micro-sovranità  neo-tribali incistate nella società come piccole enclaves  impenetrabili.

Tutti e due i gruppi privilegiati opprimono e derubano –  dall’alto  i primi,   dal basso  i delinquenti –  “le classi medie,  – le persone che “giocano secondo le regole” andando a scuola e ottenendo tradizionali lavori della classe media la cui principale virtù è la stabilità. Questo tipo di persone, che non hanno la crudeltà di agire come insorgenti criminali o le risorse per agire come insorti plutocratici, possono solo  assistere all’erosione delle istituzioni sociali  costruite nel corso del 20 ° secolo per garantire un’alta qualità della vita per un’ampia maggioranza di cittadini. A mano a mano che le basi sociali dell’azione collettiva si sgretolano, gli individui delle classi medie potrebbe o dover accettare una progressiva perdita di sicurezza sociale e de facto degrado sociale, o aderire a una delle due cosche del rifiuto”; ovviamente come servi.

 

The Twin Insurgency

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