Perché la Sardegna brucia

Non riesco a guardare le immagini della mia terra che brucia. Non posso fermare il pensiero su tutte le creature, animali e vegetali, che hanno perso la vita in modo straziante. Non posso avvicinarmi alla disperazione dei miei conterranei che hanno perso tutto. Mi si fermerebbe il cuore. Ma penso, con rabbia grande, a quando la nostra terra era continuamente sorvolata dai droni, per scongiurare il pericolo che qualcuno andasse in campagna a respirare quando era proibito. Penso a quando due camionette di forestali riuscirono ad avvistare e si precipitarono su una coppietta che si era peccaminosamente appartata. Penso a tutte le auto di carabinieri e polizia mandati di corsa a controllare quel gruppo di medici che aveva deciso di incontrarsi all’aperto qualche mese fa, e a identificarli come criminali. Penso ai controlli a tappeto che abbiamo subito per mesi, per cielo e per terra, perché avevamo la pretesa di respirare la nostra aria.

Ma sapete, per vigilare sui piromani non ci sono soldi. Non si possono pagare le vedette. Le risorse per la lotta agli incendi sono state drasticamente tagliate, anno dopo anno. E i droni vanno conservati per il prossimo lockdown. Soprattutto bisogna fare spazio ai progetti “green” di Cingolani, che guarda caso ha posato gli occhi sulla Sardegna. Tanto la gente, sardi in testa, è troppo occupata a chiedere campi di concentramento per quelli come me, invece di cercare i veri nemici del popolo e della terra. E poi, diciamocela tutta, unire i puntini e capire il grande disegno a molti non conviene: rischierebbero di darsi la zappa sui piedi.

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