IN PRINCIPIO ERA L’INFORMAZIONE – di Luigi Copertino

IN PRINCIPIO ERA L’INFORMAZIONE

La fisica post-galileiana, affermatasi nel corso del XX secolo, ci dice che l’universo è una tessitura di informazioni. La stessa materia è in-formata. A partire dalle ricerche di Max Planck (1858-1947), il padre della cosiddetta “meccanica quantistica”, si è compreso che le particelle hanno una doppia natura, corpuscolare ed ondulatoria.  La materia è dunque costituita, al tempo stesso, da particelle ed onde. Sicché la materia è in qualche modo energia condensata e l’energia è materia fluidificata. Non solo: le onde si comportano come particelle e le particelle come onde, oltrepassando le barriere e comunicando tra loro in modo “telepatico”. Questo spiega il bizzarro “effetto tunnel”, cioè il fatto che le particelle possono passare attraverso un muro. Ma il fenomeno più curioso è l’“entanglement” (intreccio). Due particelle ai lati opposti dell’universo risultano sempre in contatto trans-spazio-temporale tra esse. Le informazioni della prima particella sono trasferite istantaneamente all’altra particella che spazialmente si trova agli antipodi. Non è teletrasporto di materia. Si tratta di un trasferimento di informazioni. Particelle “gemelle”, legate tra loro dalla proprietà dell’entanglement, pur trovandosi in punti opposti dell’universo riescono a comunicare istantaneamente fra loro, agendo come un tutt’uno. Questo fenomeno, ormai dimostrato, demolisce uno dei pilastri della fisica tradizionale: il principio di località. Viviamo, dunque, in un tutto indivisibile, le cui parti sono interconnesse. L’informatica si basa sullo stesso principio: testi, immagini, suoni e filmati viaggiano in Internet da una parte del mondo all’altra sotto forma di sequenze di 0 e 1: i bit. Si tratta, anche in tal caso, di trasferimento di informazioni. Questa nuova visione dell’universo induce alcune domande: la realtà è, quindi, formata da materia o da informazioni? O meglio, l’informazione è la materia oppure è qualcosa di superiore alla materia e che, appunto, la in-forma, le dà forma? Sembra proprio, dai risultati della ricerca, che le informazioni, di cui è intessuta la materia, siano modulazioni di una unica Informazione, la quale conferirebbe forma alla materia stessa ovvero conferirebbe forme diverse alla materia, in sé informe ma predisposta a recepirla.

Il paradigma fondamentale della nuova fisica è chiamato Olismo. Gli scienziati, senza averlo subito compreso, sono tornati alle antiche concezioni della Metafisica Tradizionale e questo assevera la convinzione di quei pensatori di scuola perennialista per i quali l’umanità delle origini era in possesso di profonde conoscenze, oggi diremmo scientifiche, che le derivavano dalla Sapienza Primordiale. Le stesse che hanno poi ad essa consentito di costruire i templi e gli edifici megalitici di cui il nostro pianeta è pieno a tutte le latitudini.

Qui, però, ritorna anche l’eterno dilemma che accompagna da sempre la Metafisica tradizionale e che segna la differenza tra la Rivelazione abramica – quella delle tre fedi monoteiste, ebraismo, Cristianesimo ed islamismo – e le altre spiritualità extra-abramiche. Queste sembrano in parte condizionate da un tendenziale “panteismo”, che oltretutto svaluta la creazione come caduta. La patristica e la scolastica medioevale, alla Luce della Rivelazione, avevano recuperato, depurandola da quella tendenza, l’alta spiritualità extrabiblica. Per i Padri della Chiesa Dio ha parlato anche ai pagani disseminando di Semina Verbi la loro spiritualità, che era in qualche modo un parziale allontanamento, causa peccato originale, dalla Fonte Perenne della Sapienza ossia dal Logos Eterno. Ma a partire dalla crisi umanistica del XV secolo, con la decristianizzazione dell’eredità antica, la tendenza panteistica è ritornata in forma filosofica nel pensiero occidentale.

I fisici ci dicono che nelle loro ricerche si imbattono in continuazione in un “Quid”, nascosto dietro le forme quantificabili, che tuttavia perennemente sfugge loro perché sembra essere assolutamente incommensurabile, quindi non classificabile mediante l’indagine scientifica. Trapela, come in un lampo di luce, come in un guizzo improvviso, tra le maglie della rete cosmica, tra le pieghe del tessuto della creazione, ma non si lascia catturare. Questo ha indotto diversi scienziati, quelli che non accettano l’inaccessibilità del “Quid”, ad interpretare l’olismo riemergente, dalla nuova fisica, in termini panteistici, al modo della filosofia di un Baruch Spinoza, tanto per citare uno dei principali filosofi post-cristiani ed oltretutto in contrasto con la stessa sua tradizione ebraica. Secondo la visione “panteistica” esiste una sostanza unica e infinita, sicché Dio e natura coincidono (Deus sive natura, “Dio, ovvero la natura”) come causa interna al tutto. Come Anima Mundi ma immanente alla realtà.

Approfondendo le conseguenze del nuovo paradigma scientifico, i fisici sono attualmente alla ricerca di una Teoria del Tutto, in grado di unificare ogni cosa: uomo e stelle, piccolo e grande, materia ed energia. Si pensi a Stephen Hawking ed alla sua – appunto – “teoria del tutto”. L’olismo così approcciato, tuttavia, non può che dare un esito ateistico, nel senso della negazione del Dio trascendente della Rivelazione abramica, ed approdare ad una religiosità, per l’appunto, panteista.

Orbene, di fronte a questi sviluppi della nuova scienza olista, il vecchio tomismo scolastico – attenzione!, non stiamo facendo riferimento all’autentico pensiero dell’Aquinate, che è altro, quello riscoperto, da ultimo, da padre Cornelio Fabro –, con la sua pretesa di “cosificare” Dio, non può offrire risposte. Bisogna tornare alla Tradizione patristica, al platonismo cristiano, alla vera scolastica di età medioevale ed anche all’autentico Tommaso. E soprattutto alla grande Mistica cristiana. I “tradizionalisti” se ne facciano una ragione: la Rivelazione è immensamente più grande di qualsiasi sillogismo.

L’unità e l’infinità che certi fisici olisti pretendono di affermare sul piano immanente, benché vastissimo come quello del macrocosmo siderale o piccolissimo come quello del microcosmo atomico, non sono possibili su detto piano. Assegnare all’immanenza unità e infinità è un controsenso, dato che l’immanente è per definizione molteplice e finito. Unità e Infinità sono attributi soltanto della Trascendenza. L’olismo, che la nuova scienza ci indica quale paradigma di comprensione del mondo, ha necessità della Trascendenza, pena il ridursi ad un “meccanicismo liquido” che non costituisce una alternativa al “meccanicismo solido” della fisica classica ma soltanto il suo oltre-passamento verso il basso, verso il sub-razionale anziché verso il Meta-razionale.

A codificare una Teoria del Tutto ci aveva già provato nel VI sec. a. C. Pitagora, affidando ai numeri, costituenti ultimi della natura, il compito di tenere unito l’universo. I numeri, però, rimandano anche alle lettere dell’alfabeto. Ed infatti secondo la tradizione cabalista ebraica (1) l’universo è intessuto dalla Sapienza di Dio attraverso la combinazione numerica delle lettere dell’alfabeto che si dipanano come rami dall’Albero Sephirotico corrispondente all’edenico Albero della Vita, immagine ripresa in ambito cristiano nella Croce/Albero. Non a caso, nell’iconografia medioevale, la Croce era spesso raffigurata come un Albero a sei rami, tre per parte intorno all’Asse Centrale, a formare un Settenario, essendo il 7 il numero della perfezione (perché unisce il Tre, della UniTrinità – 1 + 2 = 3 –, con il Quattro, della creazione). La scienza oggi ci dice che la vita biologica sussiste per la combinazione di quattro nucleotidi, ossia informazioni genetiche, a formare, come lettere di un alfabeto, il DNA, che è una doppia catena polinucleotidica (A, T, C, G), antiparallela, orientata, complementare, spiralizzata, informazionale. In particolare è l’ordine nella disposizione sequenziale dei nucleotidi a costituire l’informazione genetica, non la materia chimica dei geni medesimi. La scienza tuttavia, mentre ci dice dei quattro nucleotidi, nulla può dirci dell’Uno Ternario, incommensurabile, che presiede, per partecipazione, alla sequenza quaternaria del Dna. Tre + Quattro: ecco il Tutto, ossia la Trascendenza in-formatrice dell’immanenza, che la nuova scienza olista inutilmente si ostina a cercare solo sul piano immanente.

Numeri e lettere, dunque, altro non sono che “informazioni”. Ma dire numero, lettera ed informazione è un modo diverso per dire Parola, Verbo, Logos. Quel Logos Primordiale e Trascendente mediante il Quale tutto è stato fatto e senza del Quale nulla di ciò che è stato fatto esiste. L’Unità nascosta dietro l’universo fisico, quella che spiega il fenomeno dell’entanglement, inutilmente cercata dagli scienziati olisti nell’immanenza, non sta nella Natura divinizzata da Spinoza, ma nel Logos Eterno che trascende il Tutto e dal Quale il Tutto è stato fatto per partecipazione a Sé.

“En arché ev o Logos”. In Principio era il Verbo (Gv. 1,1). Dove il “principio” richiama espressamente il “Bereshit” del Genesi, “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1).

Il fisico tedesco Werner Gitt, uno scienziato olista, ma consapevole delle implicazioni sapienziali e tradizionali del nuovo paradigma, ha pubblicato un libro dal significativo ed evocativo titolo “In the beginning was information” ossia “In Principio era l’Informazione”. Gitt spiega che l’Informazione è la pietra fondamentale della vita perché la sua presenza in tutto il reale rivela una Intelligenza che presiede alla sussistenza del cosmo. La necessità ontologica dell’informazione postula immediatamente la necessità di un Informatore che organizza le informazioni e che si prende cura del Tutto.

Nel lessico della Metafisica Tradizionale, cui si richiama il Perennialismo, la creazione è chiamata “manifestazione” perché non viene ben percepita la differenza tra emanazione e partecipazione. Nelle Metafisiche extra-abramiche il cosmo è considerato una caduta ontologica causata dalla frammentazione dell’Uno ovvero dall’emanazione, per allontanamento, degli esseri dall’Unica Sostanza Unitaria che in origine, prima che fosse disturbata, riposava in una armonica Quiete Assoluta, in un Silenzio totale. La conseguenza di questo approccio è, inevitabilmente, quella per cui la creazione è malvagia, è una prigione dello spirito dalla quale evadere per ritornare nell’annichilimento all’Uno iniziale.

Nella prospettiva abramica invece il mondo non è per frammentazione o emanazione. Anzi, nel Genesi, proprio ciò che la spiritualità extra-abramica considera in negativo, ossia la separazione dell’unità originaria, contrassegna il processo creativo e lo rende possibile nella sua benefica realtà. In Genesi, Dio crea separando le acque di sopra dalle acque di sotto, la luce dalle tenebre, la terra dal mare. La creazione è resa possibile dall’Unità Trascendente la quale, senza frammentarsi, partecipa di Sé il molteplice, che caratterizza l’immanenza, conferendogli una relativa, ma non illusoria, realtà ontologica. Essa, pertanto, è un dono dell’Amore Infinito che, lungi dall’emanarla dalla sua sostanza o lungi dal frammentarsi, la partecipa ontologicamente, secondo gradi diversi dell’essere ossia dal più vicino a Sé al più distante. L’uomo, nella creazione, è il punto di congiunzione tra Trascendenza ed immanenza e per questo è Imago Verbi. La Rivelazione abramica guarda con ottimismo alla creazione che è buona come il suo Creatore e, quindi, destinata alla Glorificazione nel Verbo. Questa, la glorificazione, non è annientamento in una Quiete indifferenziata, in un Abisso senza forme, ma ricongiungimento all’Uno nel Quale “agiamo, ci muoviamo, viviamo” (san Paolo) restando, tuttavia, altri da Lui benché sempre partecipati da Lui e senza mai essere fuori di Lui che è ovunque. L’identificazione con l’Uno nella Rivelazione abramica non è una panteistica dissoluzione nel Nulla/Tutto ma è, a seconda dei gradi, il “fidanzamento” o il “matrimonio” spirituale con l’Amato, con l’Ospite segreto dei nostri cuori, di cui parlano i grandi mistici ebrei, mussulmani e cristiani.

Questa salutare “correzione” dell’ontologia negativa, sottesa alla spiritualità extra-abramica, si è palesata in modo chiaro e fermo, alla Luce della Rivelazione, a partire dai Padri della Chiesa. Tra essi quello che ha, forse, maggiormente fatto tesoro della sapienza antica fu lo Pseudo-Dionigi Areopagita, il quale, insieme ad Agostino e più di Aristotele, è stato l’ispiratore fondamentale di Tommaso d’Aquino. Lo Pseudo-Dionigi era un cristiano siriaco del VI secolo (tradizionalmente confuso con il Dionigi convertito da san Paolo nell’Areopago di Atene), profondo conoscitore dell’opera dei filosofi neoplatonici Plotino e Proclo ma anche della Rivelazione biblica, alla Luce della quale ha riletto la filosofia ellenistica, ad iniziare dal senso che lui stesso dà al concetto platonico di “emanazione” che diventa piuttosto una “partecipazione”.

Mentre il neoplatonismo riprendeva dalla luminosa tradizione platonica l’idea che, in fondo, il mondo è un disvalore, in quanto, più che “copia” dell’Iperuranio o “riflesso” degli archetipi, esso è una “caduta” nell’essere, quindi un allontanamento ontologico dall’Uno – il mito platonico della caverna, se da un lato vuole indicare la via sapienziale verso l’Alto, dall’altro lo fa a discapito della materia perché considera il corpo una prigione da cui evadere per la salvezza della sola anima (2) –, il platonismo cristianamente riletto dallo Pseudo-Dionigi recupera il valore benefico della creazione come rivelato dal Genesi.

Nelle sue opere più importanti, “De Coelestis hierarchia”, “De Divinis Nominibus” e “De Mystica Theologia”, lo Pseudo-Dionigi illustra quelli che sono i Piani Molteplici del Reale – un odierno guenoniano userebbe, arrischiando qualche indifferenza, l’espressione “stati molteplici dell’essere” – nella loro ordine gerarchico, sicché i Piani superiori della Gerarchia, mediante una dinamica di “partecipazione” e “trasmissione”, ricevono la Luce direttamente da Dio, in proporzione alla loro capacità di ricezione, e la trasmettono ai Piani inferiori (3). Tuttavia, lo Pseudo-Dionigi, quando affronta il problema del male – che egli considera come mancanza parziale e non totale di bene in quanto tutti gli esseri, perfino gli angeli ribelli e decaduti, provengono dal Sommo Bene – afferma chiaramente, discostandosi dalla tendenza svalorizzante del neoplatonismo, che il male non è presente né negli animali irrazionali, né nella natura, né nei corpi. In altri termini, per lo Pseudo-Dionigi il male non è presente nella materia, che invece partecipa del Bene.

Partecipa – oggi possiamo dire, con il lessico della nuova scienza olista opportunamente vagliata e corretta nella Luce dello Spirito – all’Informazione Primordiale. Che noi cristiani affermiamo essersi incarnata, essersi fatta Uomo, in Nostro Signore Gesù Cristo.

Luigi Copertino

NOTE

  1. Esiste – lo affermiamo contro i “Torquemada” di turno sulla scorta della riflessione, in proposito, di un autore tradizionalista e tomista come Julio Meinvielle – un cabalismo metafisicamente e perfettamente ortodosso, in senso cristiano, che è diverso da quello eterodosso delle sette gnostiche antiche e di certo neo-spiritualismo odierno.
  2. Questa svalutazione del corpo è passata in parte anche al Cristianesimo, compresa la mistica, ma mai, destinato come è alla glorificazione nella resurrezione finale, fino al punto di considerarlo, insieme alla creazione, un male. Malvagie sono solo le conseguenze, persistenti, del peccato originale, ossia i vizi capitali, nell’anima e nel corpo umano.
  3. Lo Pseudo-Dionigi è stato anche il primo, forse, in ambito cristiano ad aver accredito come complementari, ossia vie entrambe legittime, l’apofatismo ed il catafatismo, ovvero la teologia negativa e la teologia positiva, che molto spesso vengono erroneamente opposti. La via apofatica considera Dio non-essere perché prende in considerazione l’essere delle creature, sicché nega che Egli sia identificabile con un qualsiasi essere creato (Dio non è questo, non è quello, etc.). La via catafatica, invece, con metodo solo apparentemente contrario, considera Dio l’Essere sussistente per Sé (l’Ipsum esse subistens), sicché nega l’essere in senso assoluto delle creature, le quali di fronte a Lui non sono se non relativamente ma anche questo relativo, in via di principio, svanirebbe se Dio stesso non lo garantisse mediante la partecipazione ontologica della creatura a Sé.