Golpe contro Al-Sisi? Lo “prevedono” in USA

“Fonti Usa hanno lanciato un attacco   personale senza precedenti contro il presidente dell’Egitto”, rende noto DEBKA: “Sui media americani han cominciato ad apparire articoli   contro Al Sisi. Uno dice: ‘La decisione di trasferire le isole [Tiran e Sanafir,  cedute ai sauditi] è  probabilmente il chiodo finale sula bara di Al Sisi.  L’Egitto viene descritto come sull’orlo di una rivoluzione contro Al Sisi”.

Così  si comincia a intuire a che gioco si è prestata la sinistra italiana, dalla Cgil al Manifesto, il nostro governo e i nostri media progressisti, con  l’enorme grancassa “Verità per Regeni”,  le inchieste in loco su  Regeni, le fughe di notizie di giornalisti e sindacalisti locali che spifferano,  di colpo senza paura,  contro il regime oppressore,  tutta  una serie di notizie imbarazzanti: abbiamo preparato il rovesciamento del dittatore  decretato da Washington.  Un nuovo golpe,  con un cambio di generali  sulla poltrona, oppure una “primavera”  colorata che  darà il potere ai Fratelli Musulmani?

DEBKA descrive la gelida rabbia degli americani per il fatto che Il Cairo abbia ceduto all’Arabia Saudita le due minuscole ma strategiche isolette (chiudono il golfo di Aqaba)  senza consultarsi con Washington.  Consultandosi invece con Tel Aviv, che anzi sembra aver dato  il suo convinto consenso e forse ha attivamente  promosso la cessione  (oggi Ryad è il suo miglior complice nell’area), ancora una volta  tenendo all’oscuro la Superpotenza  che tiene al suo servizio. Ma può la Superpotenza prendersela con Israele? No. Essa se la prende quindi con il generale egiziano. Per ritorsione, il capo degli stati maggiori riuniti Joseph Dunford  ha ritirato  il centinaio di soldati che teneva nel Nord-Sinai, come parte di una forza multinazionale di protezione contro il terrorismo “dell’ISIS”.

Obama tradito in Medio Oriente

Una  ritorsione che certo non compensa Washington  dallo scacco bruciante dall’essere stata esclusa da  una combutta fra i tre paesi più importanti del Mar Rosso, che  per di più credeva suoi alleati (o vassalli). Perché questo schiaffo così umiliante? Si può forse capire da parte del principino saudita Bin Salman, noto “impulsivo” che ha  in odio gli americani per  la distensione con Teheran;  ma gli ebrei, perché? Secondo DEBKA,  che cita le sue ‘fonti’ , il ritiro americano della sua presenza  aero-navale dalla regione “ha reso possibile alla flotta dell’Iran controllare quelle acque”,   sicché la cessione sotto il controllo saudita delle due isolette è parte della “difesa coordinata” che Tel Aviv, Il Cairo e Ryad stanno organizzando in funzione anti-iraniana. E l’hanno fatto di nascosto dal loro grande protettore per non essere impicciati “dalle obiezioni della Casa Bianca”.

Povero Obama. Impiega i suo ultimi mesi  a  dare lezioni e sollevare obiezioni agli alleati, e nessuno gli dà più retta. Persino i vassalli europei, persino la Commissione UE, che fino a ieri si affaticavano ad accettare tutte le clausole più rovinose del trattato di commercio transatlantico, si sono   accorte – improvvisamente, grazie ad un brogliaccio dell’accordo segreto giunto in mano a Greenpeace (chissà come) che l’ha pure reso pubblico (quando mai!) –  che il trattato è “preoccupante” per lo smantellamento delle leggi  europee a protezione dell’ambiente, della salute, a tutela dei consumatori, e del principio di precauzione, che sarebbero di fatto soppiantate dalle leggi Usa molto più lasche quanto ad OGM,  prodotti di  ingegneria genetica,  additivi negli alimentari, inquinamento e schifezze. Si scopre persino che gli Usa, imponendo il trattato, si rendono colpevoli di riscaldamento globale.

Nessuno gli obbedisce più

Tutti segreti di pulcinella. Solo che mentre prima i governanti europoidi firmavano in segreto tutto quel che le multinazionali Usa ordinavano, adesso  no.  D’improvviso  Hollande, attraverso il suo ministro del commercio estero Matthias Fekl, annuncia la “più che probabile” sospensione dei negoziati sul trattato di libero scambio;  gli industriali tedeschi scoprono che sulla legislazione a protezione dei consumatori, degli investitori e delle piccole imprese, Usa ed UE “sono due mondi a parte”.

La verità è che anche tra i vassalli europei nasce la questione: forse non c’è fretta di obbedire a Obama,  visto che fra qualche mese alla Casa Bianca ci può essere Donald Trump, che tutt’altre idee sulla politica estera e su quasi tutto.  E’ meglio aspettare, per obbedire al nuovo.

Figurarsi se obbediscono quelli che servi  non sono. La Cina sta portando rapidamente a completamento  la “sua” area di libero scambio del Pacifico;  Obama ha scritto un articolo sul Washington Post per dire che “sono gli Stati Uniti,  e non paesi come la Cina” che devono “scrivere le regole” del commercio internazionale. Lo diceva più che a Pechino, al Congresso, che, in piena sindrome isolazionista,  non vuole ratificare il Trattato Transpacifico messo  insieme da Obama;  “elevare  muri per isolarsi dall’economia globale non farà che isolarci da prospettive incredibili”, ha scritto (l’iperbole caratterizza l’ultimo Obama:  pochi giorni prima ha detto che è stato lui “a salvare l’economia mondiale”; prima, che è stato lui a “sconfiggere l’ISIS” in Siria). Ebbene: a stretto giro, Pechino ha risposto che non spetta ad un solo paese di dettare le regole del commercio estero, “contrariamente  alla dichiarazione del presidente Barak Obama”.

Povero Obama.

Gli restano obbedienti: il regime di Kiev,  Rebekka Dorothea Kasner in arte Angela Merkel, e la sinistra italiana del concertone del Primo Maggio  “Verità per Regeni”. Ah, i baltici e i polacchi.  Gli altri sono pronti ad obbedire, ma al prossimo.