Gay Pride e Madonna profanata. Che i morti seppelliscano i morti.

di Roberto PECCHIOLI

Fermate il mondo (occidentale), voglio scendere. Non se ne può più dei mille spropositi di quest’epoca folle e invertita. Viene voglia di occupare un territorio lontano, un’ultima Thule e, da ribelli, passare definitivamente al bosco. Giugno è il mese delle ciliegie e da un po’ di anni anche dei gay pride, le piazzate a base di oscenità, esibizionismo, esaltazione di ogni perversione, pardon orientamento sessuale, tranne quello normale. Di nuovo pardon: cisgender. Non mancano mai, nelle parate delle magnifiche sorti e progressive arcobaleno, le blasfemie e gli insulti alla religione. Quella cristiana, ovvio; con Allah e con il profeta non ci provano, troppo pericoloso.

Stavolta è toccato a Cremona, dolce città padana, sperimentare le meraviglie del mondo nuovo. Nel corteo, insieme a tutto il resto della paccottiglia gay – ormai abusata, irritante e con il retrogusto del dejà vu – è stata fatto sfilare un manichino della Madonna a grandezza naturale con il seno scoperto. Bestemmia, blasfemia, insulto alla religione? Non sappiamo, né ci interessa se esistano profili di illegalità, tanto più che non crediamo da tempo nella legalità di una civilizzazione al capolinea. Siamo però certi che le provocazioni della composita tribù LGBTQI+ (speriamo di non aver dimenticato qualche iniziale) svelino la cattiva, pessima coscienza di un mondo in decomposizione.

Giorni fa leggevamo l’accorato appello di un ragazzo quindicenne che accusava le generazioni adulte di non avere protetto la sua dalle menzogne. Che cosa rispondergli, se non chiedergli scusa per non aver saputo combattere contro tutto il male che si è abbattuto su di noi? Nel caso dei gay pride, oltre alla glorificazione di condotte che ogni civiltà, in modi diversi ha sempre respinto, assistiamo all’attacco preordinato e cosciente nei confronti di tutto ciò che richiama lo spirito. Non poteva fiorire che in una società di anime morte, di un materialismo assoluto, figlia del lasciar fare, lasciar passare del liberalismo divenuto anarchia morale e deserto spirituale purché calcolabile in denaro. Una rumorosa ignoranza che nega la realtà e proclama la menzogna, imponendo a chi dissente il silenzio, la contrizione e l’autocensura.

Aveva ragione la nonna, donna semplice nemica della bestemmia e della blasfemia. Se credi in Dio e nella Madonna, perché bestemmi? E se non ci credi, perché bestemmi? Per manifestare odio, avversione irriducibile, per devozione invertita al Male. Oppure sono gli ultimi a credere ancora al potere dei simboli e per questo li sfregiano, li insultano, li calpestano. Il senso di certi gesti, di rappresentazioni come quella di Cremona, dal punto di vista dei militanti LGBTQI+, può essere solo il livore verso la legge naturale, che per la tradizione religiosa è iscritta da Dio nel cuore dell’uomo. Paradossalmente, immagini tanto ripugnanti potrebbero essere interpretate come odio di sé: l’ostentazione della diversità sino alla caricatura come segno di un disagio personale irredimibile che prende la via peggiore.

Un omosessuale che certo non si sarebbe riconosciuto nei gay pride, Pier Paolo Pasolini, in uno dei suoi Scritti Corsari, descriveva la schiavitù verso un potere totalitario che si stava impadronendo delle esigenze di libertà trasformandole in consumo- anche di sé- osservando che la vita non è più sacra, se non nel senso di maledetta, giacché il termine latino sacer aveva anche quel significato. Il senso del sacro, così connaturato all’uomo, viene calpestato come segno di una maledizione che Pasolini forse avvertiva nelle pulsioni irrefrenabili che talora gli facevano abbandonare il set cinematografico nel bel mezzo della direzione di una scena. Pure, alla fine della vita, si rivolse in lingua friulana – l’idioma materno – a un giovane fascista, Fedro, e lo implorò: “Difendi, conserva, prega”.

Che cosa ci sia ancora da conservare o da difendere, nel gaio tsunami in corso, non lo sappiamo. La preghiera chiesta da Pasolini resta l’ultimo rifugio, nonostante l’infastidito silenzio di chi dovrebbe custodire simboli e sentimenti. Quando poi, tirati per i capelli, i responsabili dell’ex popolo di Dio sono costretti a rompere il silenzio, rivelano il vuoto più disperante, il timore imbarazzato di esporsi. Il vescovo di Cremona, Antonio Napolioni, ha così commentato la sfilata della Madonna di cartapesta a seno nudo. “Sono gesti che non fanno bene a nessuno e che feriscono anche i tanti che si stanno impegnando con reciproco rispetto per una società senza discriminazioni.  La Chiesa cremonese alimenterà nella preghiera l’ulteriore impegno di annuncio e dialogo che questi tristi episodi non hanno la forza di intaccare. “

Don Abbondio in riva al Po. Che coraggiosa difesa della fede, quale ferma condanna! Di grazia, monsignore, chi discrimina chi?   Chi compie “gesti” che fanno schifo, ma in fondo, sembra di capire, sono ragazzate, sia pure “che non fanno bene a nessuno “. Quanto al rispetto reciproco, eminenza, ci lasci ridere. Il dialogo poi, lo dice la parola stessa (lei ha studiato il greco) è un colloquio tra due soggetti, non l’accettazione passiva dell’insulto, del disprezzo, della volgarità. Quale “annuncio”, inoltre, se non si ha più niente da annunciare, difendere, proclamare? Infine, eminenza, i “tristi episodi” intaccano, eccome se intaccano, e hanno almeno un pregio, quello di costringere a prendere posizione. Non lo disse un tale Gesù “chi non è con me è contro di me”? E parlava dopo aver scacciato un demone.

Più rispettabile la reazione dell’industriale siderurgico Arvedi, cremonese, patron della squadra di calcio cittadina, che ha parlato di gesto squallido e irrispettoso, offensivo della sensibilità altrui ed ha deplorato l’inazione delle istituzioni.  Viene voglia di invocare Giovanni Arvedi vescovo subito, tanto più che Napolioni è lo stesso che, riferendosi all’epidemia, ha chiesto di “aprirsi alla scienza, perché la preghiera non basta”. Giustissimo, ma l’affermazione, in bocca a un prelato, suona un tantino stonata.

Il presule sarà un cattolico adulto, come il sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, il quale, patrocinando la manifestazione, parla di “un faro acceso su discriminazioni che esistono ancora, dando la possibilità di esprimersi senza attaccare (ecco come lo hanno ripagato…) consentendo di riaffermare che occorre la pari dignità di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, come recita anche la nostra Costituzione”. Senza distinzioni di sesso, certo, ma la costituzione intendeva proteggere le donne, non gli “orientamenti sessuali”, i capricci e le stramberie soggettive.

Dare il patrocinio ai gay pride significa esprimere su di essi un giudizio positivo e, sul piano pratico, concedere vantaggi burocratici. Noi crediamo nella libertà e non vogliamo impedire le sfilate, ma almeno che le tasse dei cittadini non vadano a finanziare quelle parate, nelle quali l’oscenità è un elemento comune. La definizione di osceno è l’ostentazione sguaiata, irriverente, scandalosa di motivi nell’ambito del sesso. O, se preferite, ciò che offende il pudore con parole, azioni o immagini riferite alla sfera sessuale, come recita il dizionario de La Repubblica, tavola della legge progressista. Blasfemo, per il medesimo vocabolario, è ciò che “offende la divinità, sacrilego”. Non nel nostro nome, non con il nostro denaro. Purtroppo, definire oggi termini come pudore o sacrilegio è pressoché impossibile.

E’ lo spirito dei tempi, dicono, che tuttavia non si alza la mattina per cambiare le nostre idee, ma è in gran parte frutto di volontà precise e ricchi finanziamenti, provenienti, guarda caso, dai soliti noti, i sedicenti filantropi alla Soros, Gates e simili, da decenni sostenitori dell’agenda LGBTQI+ e non certo per inclinazioni personali.

Nel mondo capovolto, sono invertite anche le parti in commedia. Faust- uno dei personaggi archetipici della civiltà europea- vende l’anima a Mefistofele in cambio del piacere ma anche della conoscenza. Le tappe del suo tormento e della sua redenzione sono diventate, in Goethe, la prova più alta della letteratura tedesca. Lo stesso Goethe, ragionando sulla libertà, scrisse che vivere a proprio gusto è da plebei; l’animo nobile aspira a un ordine e a una legge.

Faust fa uno scambio: vende l’anima, ciò che per noi è facilissimo, poiché ad essa non crediamo. Ma non crediamo neppure allo spirito e alla dignità dell’uomo, altrimenti non ci degraderemmo nei mille modi in cui lo facciamo.  L’inversione che lascia senza fiato è che paghiamo di tasca – denaro, principi, valori- per scendere sempre più in basso. La vita umana, dalla sua origine alla fine naturale, non è più un valore assoluto: paghiamo gli aborti volontari – non terapeutici – benché la società abbia interesse a riprodurre se stessa con nuovi membri. Se la vita non ha più “qualità”, ecco il suicidio assistito, pagato dalle tasse collettive. Logico che siano a carico dei contribuenti anche le marce dell’orgoglio omosessuale. Quello dei normali, mi scuso ancora, cisgender– non ha cittadinanza e non è degno di patrocinio.

Sgomenta che tutto ciò sia chiamato libertà: un altro segno di inversione. Come tutto il resto, anche i gay pride sono un’occasione di mercantilizzazione della vita. Costituiscono un brand interessante e un lucroso mercato. Gay, cioè felici; di essere sterili, di essere i forzati dell’eccesso, quasi obbligati, nelle parate pubbliche, all’oscenità e all’esagerazione. Contenti perfino di ferire l’immagine di Gesù e della Madonna, che riconoscono nemici naturali. Con buona pace dei timidi e di certi monsignori, Carl Schmitt, descrivendo la dialettica amico-nemico, ricordava che se qualcuno ci tratta da nemici, a poco vale la neutralità, o il dialogo, questo farmaco universale che cura ogni male come l’elisir di Dulcamara. Si è nemici se qualcuno ci considera tali. Chi fa sfilare certe immagini – che restano sacrileghe e blasfeme- tra gridolini di gioia, applausi e rumorosa approvazione, compie un gesto di inimicizia non solo verso Dio e la Madonna, che se ne infischiano dall’alto dell’eternità, ma anche nei nostri confronti, credenti o meno che siamo.

Avanza un dispotismo sconosciuto nel passato, non per questo meno pericoloso, che si nutre di divieti, capovolgimenti, odio per i simboli della civiltà e per la normalità naturale. Nella corsa verso il basso non ci sono più paletti o muri di protezione. Perciò dobbiamo riconoscere l’abisso dietro certe immagini, certe ostentazioni e certi modelli di vita, e ci tocca seguire perfino Pasolini: difendi, conserva, prega. Prega, perché solo un Dio ci può salvare (Heidegger); difendi, perché crediamo nella vita e nella legge naturale; conserva, perché” il senso del conservatorismo non è ostacolare il movimento in alto o in avanti, ma nel contrastare il moto all’indietro e verso il basso, il buio caotico, il ritorno allo stato barbarico.” (Nikolaj Berdajev). In una società di spettri, lasciamo che i morti seppelliscano i morti.