CHI È IL VOSTRO MESSIA?

La lettera dei rabbini a Trump

È notizia di questi giorni che alcuni rabbini hanno inviano una lettera al presidente statunitense Donald Trump benedicendolo per l’istituzione di un “Ufficio della Fede” (1) nella Casa Bianca. Nell’occasione detti rabbini hanno ribadito una antica aspirazione dell’ebraismo postbiblico ossia quella di vedere instaurato un Tribunale Divino Internazionale a Gerusalemme con lo scopo di raggiungere la pace universale tra tutte le genti.

I firmatari della missiva – Daniel Stawsky Hacohen, Meir Halevi, Erel Segal-Halevi, Ben Abrahamson, Roee Zaga – sono i rabbini del Nascent Sanhedrin di Israele, ossia il “nascente sinedrio” che dovrà guidare Israele quando il Tempio di Gerusalemme sarà ricostruito. Si tratta, a quanto pare, di rabbini aderenti al potente gruppo chassidico Lubavitch Chabad, con sede in New York. Lo Chabad Lubavitch è un gruppo ebraico, di matrice askenazita, che si richiama al cabalismo di Isaac Luria (XVI secolo).  È stato fondato nel XVIII secolo da Shneur Zalman, proveniente da Liadi, o Lida, località della Bielorussia. Zalman era propugnatore di una riforma della spiritualità chassidica.

Oggi i Lubavitcher costituiscono una organizzazione molto potente negli Stati Uniti, la principale lobby ebraica presente in America, molto dotata in termini finanziari. Ad essa fa capo una vastissima rete di istituzioni e iniziative sociali, educative, umanitarie. La politica americana è intrinsecamente influenzata, si potrebbe persino dire determinata, dalla lobby Chabad, in particolare per quanto riguarda il Medio Oriente e Israele. Per pubblica ammissione di molti politici statunitensi, negli Stati Uniti non è possibile, pena l’ostracismo civile, farsi portatori di una agenda mediorientale diversa da quella stabilita dal Lubavitch. La cosa non meraviglia. Le origini degli Stati Uniti affondano nel puritanesimo seicentesco. Quella puritana era una setta calvinista radicale segnata da una profonda de-evangelizzazione del Cristianesimo ossia da un ritorno al Vecchio Testamento con l’abbandono della centralità del Nuovo e, quindi, in fondo, della centralità di Cristo. Non è un caso se ancora oggi l’onomastica americana è segnata dal ricorrere continuo di nomi tratti dal Vecchio Testamento. I puritani si consideravano gli eredi del popolo eletto – che fuggivano dall’Europa “Babilonia”, sede satanica del papismo e del falso protestantesimo – in cerca di una nuova terra promessa dove costruire la “città di luce posta sul monte a faro delle genti”, la nuova Sion. Trovarono la loro terra promessa nel Nuovo Mondo, nel continente nord-americano, “incontaminato dalla corruzione europea”. Queste origini, mai rinnegate, degli Stati Uniti dovrebbero far riflettere tutti coloro che si ostinano, contro la storia, a parlare dell’Occidente quale civiltà unitaria che ricomprenderebbe America e Europa.

Il Rebbe

Lo Chabad-Lubavitch è guidato dalla figura carismatica del rebbe. A tutt’oggi, dalla sua fondazione, se ne sono contati sette. L’ultimo rebbe, che alla morte ha lasciato il gruppo senza eredi formali, è stato Menachem Mendel Schneerson, succeduto al suocero nel 1950. Chiamato il “Rebbe” per antonomasia, la sua figura ha assunto agli occhi dei seguaci caratteri messianici – benché lui si dicesse soltanto un preparatore della via per il “messia” – tanto che quando morì, nel 1994, si registrarono a New York, e altrove negli Stati Uniti, scene di delirio e disperazione da parte dei Lubavitcher. Alcuni di essi lo avevano addirittura creduto immortale. Altri sperano tuttora nella sua “resurrezione” che qualcuno ha inutilmente atteso immediatamente dopo il trapasso. Una vera e propria “parodia cristo-mimetica” fino a che punto in loro inconsapevole è difficile stabilire ma che tuttavia già ci dice molto sull’effettiva, ambigua, spiritualità dell’organizzazione.

Rebbe Schneerson ha avuto un ruolo cruciale nella politica americana tanto è vero che negli Stati Uniti la data del suo compleanno – l’11 del mese ebraico di Nissan cadente nel periodo di marzo-aprile – è stata dichiarata “Education and Sharing Day”. Il Congresso gli ha assegnato, benché postuma, la Medaglia d’Oro, ossia la sua massima onorificenza. Tra i duecento deputati promotori dell’onorificenza spiccò il repubblicano Newt Gingrich. Il Rebbe, in pratica, è stato il “direttore spirituale” dei Presidenti americani da Richard Nixon in poi. Non c’è stato presidente, da Ronald Reagan fino a Jimmy Carter e Bush padre, che non abbia ricevuto la “benedizione” del Rebbe nella sua veste di eminenza grigia della Casa Bianca e di “guida morale della nazione”.

Il Rebbe ha svolto un ruolo cruciale nel consolidamento dell’alleanza, già di per sé naturale, tra Stati Uniti e Israele. Pur non visitando mai la Palestina israeliana, dove aveva molti seguaci, – per via del fatto che, secondo talune scuole religiose ebraiche, un ebreo che torna in Israele non può poi legittimamente lasciarne il territorio e stabilirsi altrove – il Rebbe ha guidato in modo determinante la politica interna dello Stato sionista. Dal suo “magistero” hanno tratto legittimazione diversi politici israeliani e non a caso tra i più estremisti del sionismo: da Zalmar Shazar, che diventò anche presidente di Israele, ad Ariel Sharon, da Moshe Karsav a Benjanim Netanyahu. Di quest’ultimo, quando egli era ancora uno sconosciuto parlamentare della Knesset, il Rebbe predisse l’ascesa politica e pare lo abbia indicato quale prescelto da Dio per preparare l’avvento del “messia” affidandogli la missione del consolidamento dello Stato di Israele in vista della sua futura espansione “dal Nilo all’Eufrate”, secondo la promessa biblica, che il “messia” verrà a realizzare. Questo spiega, con tutta evidenza, molti aspetti della fanatica e sterminatrice politica antiaraba praticata dal governo Netanyahu.

Vicino alla destra religiosa ultraortodossa israeliana, il Rebbe interveniva nelle competizioni elettorali esortando l’elettorato a non votare i candidati laburisti ritenuti portatori di una visione irreligiosa micidiale per Israele. Troppo cedevoli nei rapporti con i palestinesi, i governi laburisti secondo il Rebbe avrebbero esposto Israele all’ira divina. In occasione delle guerre sioniste, da quella “dei sei giorni” nel 1967 a quella dello “Yom Kippur” del 1973, Schneerson indirizzò pubblici appelli affinché, in nome di Dio, l’IDF, l’esercito israeliano, conquistasse Damasco e la Siria, il Cairo e l’Egitto, opponendosi a qualsiasi tregua o pace che comportasse cedimenti, territoriali o politici, alla popolazione araba.

Schneerson ha anche cercato, con l’appoggio dei politici suoi seguaci, di far modificare la legislazione israeliana sulla cittadinanza per uniformarla al criterio etnico-religioso dell’ebraismo, in modo che lo status di cittadino ebreo fosse riconosciuto soltanto a chi nasce da madre ebrea o si converte in base ai paradigmi stabiliti dall’Halakhah. Un criterio evidentemente discriminatorio che in qualsiasi altro Paese occidentale sarebbe immediatamente bollato come razzista. In Israele invece sono molte le forze politiche che cercano di introdurlo, per ridurre gli israeliani non ebrei al rango di cittadini di second’ordine con minori diritti.

Ma il punto focale della predicazione del Rebbe stava nella sua convinzione di essere stato chiamato da Dio alla missione di “accelerare la venuta del Messia”. I riferimenti all’imminenza dell’arrivo del “messia” erano una costante nella sua predicazione durata mezzo secolo. Egli esortava i suoi seguaci a farsi attivi nell’educazione religiosa dei non ortodossi allo scopo di affrettare i tempi messianici attraverso una maggiore diffusione dell’osservanza ebraica. Il suo incitamento maggiore era, però, quello di adoperarsi con tutti i mezzi per rendere possibile la ricostruzione del Tempio in Gerusalemme. Il Rebbe considerava la ricostruzione del Tempio un dovere messianico di Israele che gli impone persino di correre il rischio di una guerra mondiale pur di realizzare l’obiettivo. Infatti il Terzo Tempio deve essere ricostruito dove storicamente sussisteva il Secondo, quello dei tempi di Cristo, ossia laddove oggi sorge il complesso dell’Haram al-Sharif, costituito dalla Cupola della Roccia e dalla Moschea di Al-Aqsa, terzo luogo santo, dopo Medina e La Mecca, dell’Islam in quanto è da lì che Maometto fu rapito al Cielo. Il sito – si badi – è santo anche per cristiani e gli stessi ebrei perché situato nel luogo dove, secondo la comune Tradizione abramitica, il Patriarca dei tre monoteismi fu fermato da Dio nell’atto di sacrificare, per obbedienza, il figlio Isacco.

Questa costante esortazione del Rebbe a prepararsi alla imminente era messianica, è esattamente ciò che alimentò tra i suoi seguaci l’idea che fosse egli il “messia” e che stava per rivelarsi come tale (2).

Una fondamentale questione esegetica

La lettera inviata a Trump dai rabbini del Sinedrio Nascente ha ridato adito ai sospetti, da tempo circolanti, circa una segreta sua conversione al giudaismo sotto la pressione del genero Jared Kushner e della figlia Ivanka. Il genero infatti è membro del Chabad e la figlia, con il matrimonio, ha seguito il marito aderendo al chassidismo. D’altro canto, invece, corrono voci di una conversione di Trump al Cattolicesimo cui già appartengono la moglie Melania, di origini slovene, e il suo vice Vance. Comunque stiano le cose, di certo c’è che molti ebrei sono inseriti in posti di rilievo nell’entourage di Donald Trump. Nell’edizione del 19 novembre 2024 del Jerusalem Post è stata pubblicata una lista di una quindicina di ebrei, tra politici, giornalisti e benefattori miliardari, che fanno parte della sua corte. Uno dei più in vista è il rabbino milionario Kirt Schneider, invitato nel 2015 da Donald alla Trump Tower a New York. Il rabbino in quell’occasione impose sul suo capo le mani benedicenti e pregò per le “uniche due nazioni che intrattengono una relazione privilegiata con Dio” ossia Stati Uniti e Israele. Una preghiera che meglio di qualunque trattato di teologia politica spiega lo stretto legame religioso tra l’America protestante, con le sue radici puritane, e Israele, con il suo messianismo postbiblico (3).

Ma non è questo che ha maggior rilievo in questa vicenda. La lettera dei rabbini è invece interessante perché è uno spaccato dell’esegesi a-cristologica mediante la quale gli ebrei postbiblici – tutti e non solo gli aderenti al Chabad-Lubavitch – leggono la Rivelazione. Secondo tale lettura gli ebrei, come popolo, sarebbero l’“agente di Dio” per portare alle genti la salvezza. Non avendo l’ebraismo postbiblico alcun vero interesse verso la sorte post-mortem dell’uomo, la salvezza è qui concepita come inerente all’aldiquà. Essa pertanto sarà raggiunta, dopo un millenario e faticoso travaglio, con l’inaugurazione dell’era messianica allorché il “messia” atteso verrà a restaurare il “Regno di Israele” sulla terra e governerà da Gerusalemme sulle nazioni del mondo unificato. Ciò avverrà attraverso un Tribunale Mondiale, con sede nella Città Santa, per giudicare le nazioni e comporne i conflitti. Si tenga conto che talune scuole ebraiche non identificano più il “messia” in una persona scelta da Dio – troppo  lunga e deludente è stata la sua attesa nel corso dei secoli e tutti i candidati a tale ruolo comparsi sulla scena (Simon Bar Kokheba, Sabbattai Zevi, Jacob Frank e altri ancora), dopo aver acceso entusiasmi incandescenti nelle sinagoghe, hanno miseramente fallito – ma nello stesso popolo ebraico, che dunque sarebbe un “messia collettivo”, costantemente perseguitato. In tale contesto il popolo ebreo, per le sue sofferenze, viene identificato con il “Servo di Javhé” di Isaia (53, 5-12) nel quale i cristiani, invece, riconoscono la profezia messianica di Gesù Cristo e della Sua Passione.

Se l’idea di un “Tribunale Mondiale della Pace” vi ricorda la Corte Penale Internazionale dell’Aja ci siete andati vicino dato che la filosofia portante dell’attuale Occidente post-cristiano deriva da questa esegesi biblica e, non per niente, è filosofia che aspira ad una “pace” diversa da quella di Cristo («Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» Gv. 14,27). Non si dice, nella lettera inviata dai rabbini a Trump, ma lo si può sospettare, che i giudici di tale tribunale dovranno essere scelti tra gli “eletti”. Il Tribunale Mondiale, auspicato dai rabbini, eserciterà la sua giurisdizione sulle genti applicando ad esse le “sette leggi noachiche” ovvero quelle che Dio ha dato all’umanità, mediante Noah, e che sono universalmente valide per tutti i non ebrei. Quella noachica è dunque, secondo l’esegesi ebraica, una Alleanza universale basata sul Monoteismo originario. La massoneria, che è una sorta di sinagoga riservata ai gentili quali adepti non ebrei dell’ebraismo, si richiama esplicitamente a tale Alleanza. La quale è, per l’ebraismo, condizione necessaria ma non sufficiente per la salvezza del mondo, perché nel disegno salvifico di Dio è stata prevista un’altra Alleanza ovvero quella con Abramo padre storico del popolo ebreo. Per questo, per l’esegesi rabbinica, gli ebrei sono speciali agli occhi di Dio e sono chiamati, attraverso la sofferenza e la fedeltà al Dio dei loro padri, a portare al mondo la salvezza. Una salvezza, ripetiamolo, tutta mondana, tutta terrena, tutta nell’aldiquà.

Nell’esegesi ebraica l’Alleanza abramitica non è considerata una continuazione, in una nuova forma, dell’Alleanza noachica ma un Patto esclusivo tra Dio e il popolo ebreo, al quale, e solo al quale, è stato assegnato il compito di soffrire per aprire al mondo l’era futura della pace universale. Nell’esegesi dell’ebraismo non ha alcun rilievo la sottomissione di Abramo, con il pagamento della decima, a Melchisedek “Re di Pace e Sacerdote dell’Altissimo”, dunque “Rex et Sacerdos”, attributi messianici, che benedice il Patriarca portandogli in dono i simboli eucaristici del Pane e del Vino (Gen. 14,18-20) (4). Nell’incontro tra il Patriarca e questo misterioso personaggio la parte principale viene svolta proprio da Melchisedek, sacerdote e re benché non ebreo. Nel racconto biblico, di fronte a lui, Abramo, antenato dei sacerdoti levitici, occupa un rango inferiore.

L’esegesi ebraica non dà alcun peso all’episodio mentre per l’esegesi cristiana esso apre uno spiraglio fondamentale e cruciale per la comprensione sapienziale del Mistero della Salvezza in atto nella storia. Melchisedek, un cananeo, quindi come detto un non ebreo ovvero un gentile, nella Lettera agli Ebrei (7,3) è definito «senza padre e senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno». Qui c’è una evidente allusione al suo essere depositario post-diluviano della Rivelazione e, quindi, della diretta connessione con la Tradizione Primordiale Adamitica dalla quale il peccato originale ha allontanato progressivamente l’umanità, come è chiaro, dalla narrazione del Genesi, nella sempre maggior diffusione, benché graduale, del male fino all’evento, di definitiva rottura, del Diluvio.

Per la Chiesa Melchisedek è figura tipologica di Cristo, Re e Sacerdote, e lo stesso re David, al quale si riferisce, con rimando al Messia a quel tempo ancora da venire, il salmo 110 – «Tu sarai per sempre Sacerdote al modo di Melchisedek» –, si pone in continuità con la Regalità Sacerdotale Universale di Melchisedek. La già ricordata Lettera agli Ebrei (5,6-10; 6,20) attribuisce a Cristo, per discendenza umana appartenente alla Casa di Davide, il Sacerdozio al modo di Melchisedek. Quello di Cristo infatti è un Sacerdozio Perfetto ed Eterno ben diverso da quello, effimero, dei leviti discendenti carnali di Abramo. Il Sacerdozio Regale di Cristo non si ricollega a quello di Levi. Piuttosto è quest’ultimo che dipende da Quello, in funzione vicaria nella transitoria attesa dello Suo svelamento definitivo nell’Incarnazione del Verbo di Dio. Gesù infatti, come Davide, appartiene alla tribù regale di Giuda – “Leone di Giuda” e “germoglio di Davide” – e invera il Sacerdozio Regale del Messia Davidico, in continuità con Melchisedek, sua tipologia e prefigurazione secondo, come visto, la profezia del Salmo 110. Cristo Re e Sacerdote, pertanto, è superiore ai sacerdoti levitici perché in Abramo, loro antenato, il sacerdozio levitico si è inchinato con atteggiamento di rispetto, quasi di adorazione, davanti a Melchisedek, figura del Cristo Venturo, per riceverne la benedizione e pagargli tributo.

L’ebraismo postbiblico – la sinagoga nelle raffigurazioni medioevali appare nelle vesti di una donna bendata a sottolinearne la cecità spirituale – non avendo riconosciuto in Gesù Cristo il Messia annunciato si trova costretto, nonostante l’evidente inutilità di una attesa senza soluzione, a una acrobazia esegetica nella drammatica impossibilità di ammettere che l’Alleanza abramitica è stata adempiuta ma al tempo stesso superata dalla Nuova Alleanza di Nostro Signore Gesù Cristo. Egli ha abolito ogni separazione tra “giudeo e greco” (Galati 3,28) aprendo sia agli ebrei sia ai gentili la Porta del Cielo.

L’Alleanza con Noah – simboleggiata dall’arcobaleno (oggi diventato l’emblema del wokismo ecopacifista e Lgbt, a dimostrazione di quanto l’esegesi ebraica sia penetrata tra gli inconsapevoli “noachici”) – era stata una premessa funzionale a preparare la vocazione, in Abramo, di un popolo “teologale” che diventasse, in vista dell’Incarnazione, il depositario transeunte della Tradizione Universale. Nello scenario postdiluviano, in un mondo nel quale nel frattempo, nonostante l’Alleanza noachica, non si era affatto arrestata la dinamica di progressivo allontanamento dall’Origine, quindi di oblio del Monoteismo primordiale, era necessario che con Melchisedek tornasse a rivendicare i propri diritti la Tradizione Universale Adamitica.

Gli ebrei postbiblici non accettano che l’Alleanza da Dio con gli uomini si sia progressivamente inverata in successive e più spirituali formulazioni nei millenni della lunga vicenda biblica da Noah per Abramo fino al definitivo adempimento in Cristo. Nella loro prospettiva la separazione “tra giudeo e greco” resta integra perché ritenuta, per volontà divina, insuperabile sicché i gentili possono avere parte nel mondo futuro solo se obbediscono alle leggi noachiche e se si sottomettono al Tribunale Mondiale dell’Umanità che il “messia” – sia esso un individuo o il popolo di Israele – instaurerà insieme alla Teocrazia ebraica. Il mondo futuro per essi non è né l’aldilà, come per i cristiani e gli islamici, né la restaurazione post-storica, ossia escatologicamente trasfigurata nella Luce Divina, dell’Origine edenica ma soltanto l’instaurazione nel mondo attuale, così come esso è, della “pace universale” sotto la guida (solo religiosa o anche politica?) di Israele.

Nella loro esegesi della Bibbia non c’è alcun posto per Cristo Sacerdote e Re, Giudice e Salvatore del mondo, perché il suo ruolo messianico è invece attribuito ad un altro “messia” che deve venire, e del quale il Rebbe Schneerson, insospettabile ispiratore della recente politica statunitense e sionista, annunciava l’imminente arrivo. Per essi, nella migliore delle ipotesi Cristo è solo un profeta ebreo fallito mentre per i Toledot Yeshau del Talmud è un eretico che marcisce negli inferi. Non c’è chi spiritualmente sveglio non si avveda della straordinaria coincidenza tra la prospettiva ebraica dell’era messianica come era di pace universale, propria del giudaismo postbiblico, e la filosofia globalista, umanitaria, dell’Occidente post-cristiano. Persino nei suoi fondamenti filosofici più alti: si pensi, solo per fare un esempio, al Kant de “Per la pace perpetua”, opera di filosofia politica scritta dal noto filosofo luterano nel 1795. Purtroppo molti sono i cristiani che oggi dormono a quattro cuscini il sonno della fede, scambiando lucciole per lanterne, perché non conoscono affatto la spiritualità del giudaismo postbiblico nonostante possono ogni giorno constatarne alcune tragiche e drammatiche ricadute politiche in Terra Santa.

Trump il nuovo Ciro

Il “Sinedrio Nascente”, nella sua lettera, ha augurato a Trump successo per la “divina missione” che gli sarebbe stata affidata. Già nel 2017, durante il suo primo mandato, era stata coniata una “moneta del Tempio” per celebrare il trasferimento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme e, insieme, il centenario della “Dichiarazione Balfour”. Nella moneta celebrativa, in questione, sono stati effigiati i profili di Donald Trump e di Ciro il Grande, il monarca persiano che concesse agli ebrei, deportati a Babilonia, di tornare in Palestina e ricostruirvi il Tempio distrutto. L’immagine del Tempio ricostruito era raffigurata sul rovescio della moneta. Una moneta simile è stata coniata nel 2018 aggiungendo ai profili di Trump e di Ciro anche quello di Netanyahu, per celebrare il settantennale dell’indipendenza dello Stato di Israele. Vi campeggiano, in ebraico e in inglese, due iscrizioni: «Egli mi incaricò di costruirGli una casa in Gerusalemme» e «Guerra dei Figli della Luce contro i Figli della Tenebra». Una espressione, quest’ultima, non a caso richiamata, insieme ai più tremendi passi biblici inneggianti allo stermino degli Amaleciti, avversari dell’antico Israele, da Netanyahu per giustificare biblicamente il massacro dei palestinesi, da parte dell’esercito israeliano, seguito al 7 ottobre.

Sembra che Trump riscuota molta attenzione da parte del rabbinato proprio in relazione agli eventi messianici ritenuti imminenti. Il rabbino Yekutiel Fish gli ha attribuito un ruolo decisivo nella preparazione dell’avvento del “messsia”: « Gaza … è solo una parte dell’agenda della fine dei tempi, la quale riguarda gli ebrei che vivono nei confini di Israele previsti dai profeti; e la Torah vi include esplicitamente Gaza. Quello che Trump sta facendo è ripulire Gaza di tutti gli odiatori di Israele. Loro non possono stare in Israele dopo la venuta del Messia» (…). Ciò riguarderà Gaza, metà del Libano e buona parte della Giordania. Vediamo che ci siamo quasi: la Siria è caduta, il Libano è quasi scomparso, Gaza gliel’abbiamo strappata. Tutto è quasi pronto per il Messia. Ma come possono i Palestinesi restare qui quando noi stiamo per accogliere il Messia? Il Messia ha bisogno di qualcuno che se ne occupi, e costui è Donald Trump, che sta, semplicemente, svolgendo i compiti finali, necessari prima che venga rivelato il Messia» (5).

Quando, nel 2017, Trump trasferì l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, a sottolineare che la Città Santa alle tre fedi abramitiche sarebbe esclusivamente la capitale dell’Israele sionista, Laurie Cardoza-Moore, esponente dell’evangelismo cristiano-sionista, inneggiò a tale decisione dichiarando al quotidiano israeliano “Haaretz” che: «Insediando l’Ambasciata a Gerusalemme, il presidente Donald Trump sta attuando una delle iniziative storiche, di dimensione biblica della sua presidenza. Come molti ebrei in Israele, tutti gli Israeliani attendono la ricostruzione del terzo Tempio» (6).

Nello stesso anno, primo presidente in carica degli Stati Uniti a recarvisi, Donald Trump, insieme alla moglie Melania, alla figlia Ivanka e al genero Jared Kushner, sostò in preghiera davanti al Muro del Pianto ultimo residuo del distrutto Tempio che gli ebrei vogliono ricostruire.

Chi è dunque colui che deve venire?

La domanda che, a questo punto, va posta a costoro, agli ebrei post-biblici in genere e a quelli del chassidismo Chabad-Lubavitch in particolare, è questa: «Chi è il “messia” che state aspettando?».

Noi cattolici, almeno quelli ancora spiritualmente vivi –  ma anche gli altri cristiani con radici apostoliche, come gli ortodossi, i copti e tutte le comunità che hanno origine dalla predicazione degli apostoli (non dunque gli evangelici, e i protestanti vari, che quelle radici non possiedono e anzi hanno rigettato) –, conserviamo coscienza di quanto Cristo ha svelato circa i “tempi della fine” ossia che il Suo Ritorno Glorioso, nel giorno della Parusia, sarà preceduto dall’apostasia universalmente trionfante, dal misterium iniquitatis provvisoriamente ovunque vincente, e che questa apostasia sarà accompagnata, nella sua fase finale, dalla comparsa del Falso Messia, dello Pseudo-Cristo, del Figlio della Perdizione, il quale si assidererà nel Tempio di Dio per innalzarsi sopra Dio (2Tessalonicesi, 2,1-12), promettendo pace, felicità, fratellanza universale, giustizia, solidarietà, inclusività, salvaguardia del creato ma proclamando – come ricorda il grande scrittore russo Vladimir Soloviev nel suo “Racconto dell’Anticristo” – che tutte queste cose le dà lui e non Gesù Cristo.

Se, dunque, Cristo non è ancora tornato e se prima di Lui dovrà manifestarsi l’Iniquo, vorremmo che i Lubavitcher, e gli ebrei postbiblici in genere, rispondessero alla nostra domanda: “Chi è il vostro “messia?”.

Chi è, dunque, colui per il quale, supportati dagli evangelici americani cristiano-sionisti, volete ricostruire a Gerusalemme il terzo Tempio che dovrà funzionare, stando a ciò che dite e auspicate, anche come Tribunale Mondiale dell’Umanità per il giudizio di tutte le genti e l’inaugurazione del regno di Israele, e con esso dell’era messianica, nella realizzazione del sogno millenarista della “pace perpetua” sulla terra?

Chi è colui che aspettate se, al contrario, Gesù Cristo ha affermato «Distruggete questo Tempio e io in tre giorni lo farò risorgere» (Gv. 2, 19.22) allo scopo di esortarvi a riconoscere in Lui solo il solo Vero Tempio e a prendere atto che l’era messianica si è aperta con Lui ma in vista, alla fine dei tempi, della deificazione per Grazia, della glorificazione trans-storica dell’uomo e della creazione, e non certo per instaurare il regno politico, teocratico, di Israele sul mondo?

Chi è il vostro “messia” se Cristo, che non avete riconosciuto, vi ha profetizzato «Io sono venuto nel nome del Padre e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste» (Gv. 5, 43)? E se, per la vostra sclero-cardia, a margine della parabola dei vignaioli omicidi, vi ha ammonito dicendovi: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare. Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà» (Mt. 21, 42-44)?

Non ha alcuna importanza se le parole di Gesù, di duro ammonimento verso il vostro cuore chiuso, sono state, talvolta, lungo i secoli arbitrariamente strumentalizzate dagli antisemiti (7). Gesù Cristo, Verbo di Dio, ha assunto natura umana tra voi ebrei, attraverso il Cuore Immacolato di una ragazza ebrea, che però è anche la Donna del Genesi (3,15) e dell’Apocalisse (12,1), e quindi nella sua vita terrena come uomo è appartenuto all’ebraismo, al popolo ebreo. Ma Egli è, innanzitutto e di più, il Figlio dell’Uomo, è l’Adam Kadmon, quindi Dio, e ha restaurato l’Ebraismo nel suo contenuto eterno e metafisico, che travalica l’appartenenza etnica, a smentita dell’esegesi antitradizionale, prevalsa fra voi, misurata sul metro del vostro sogno millenarista di un regno politico mondiale. Sicché qualsiasi miserabile strumentalizzazione delle parole di Cristo, da parte di antisemiti idioti, nulla toglie al loro senso escatologico, nulla toglie di essenziale all’avvertimento che vi ha dato di non farvi ingannare mentre inseguite un disegno che non è quello di Dio.

Perché questo è il Suo, e nostro, accorato appello da duemila anni: non fatevi ingannare! Non scambiate l’Impostore per il Messia! «Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. Gesù disse loro: “Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata” … “Guardate che nessuno vi inganni; molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno” … “Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti”» (Mt. 24, 1-11). Questi ammonimenti non sono solo per noi cristiani ma, forse, soprattutto, per voi ebrei!

La vostra è la folle corsa verso l’abominio della desolazione (Dn. 9,27; Mt. 24,15; Mc 13,14) mentre acclamate la venuta del “messia” e con voi corre quasi l’intera umanità. È stato, infatti, svelato che il regno del falso messia sarà materialmente universale, globale, a scimmiottatura di quello spirituale di Cristo (Ap. 13, 5-8; 13, 16-17), giacché l’Impostore – «Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna» (Gv. 8,44) – ingannerà gli uomini promettendo ad essi “pace e sicurezza”. Ma l’Apostolo delle genti ci e vi ha avvertiti «E quando si dirà “pace e sicurezza”, allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie di una donna incinta, e nessuno scamperà» (1Tessalonicesi 5).

Il vostro recente ritorno in massa in Terra Santa non sarebbe stato mai possibile senza la comparsa sulla scena storica di un personaggio inquietante che i Padri della Chiesa non avrebbero esitato a chiamare “precursore dell’Iniquo”, quel noto dittatore di lingua tedesca che la Chiesa a suo tempo – mentre impegnava i suoi figli nel soccorrervi nell’ora della persecuzione (si è calcolato che il solo Pio XII, con l’ordine di aprirvi chiese e conventi, ha salvato almeno 850mila di voi) – bollò quale strumento di Lucifero condannandone l’ideologia dalle radici panteistico-occultistiche (Pio XI “Mit Brennender Sorge”, 1937). Questo vostro ritorno, tuttavia, lungi dal segnalare, secondo quanto credete voi e i cristiano-sionisti, il sopraggiungere del regno mondiale di Israele, è stato annunciato – «Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti» (Lc. 21,24) – ma in un contesto profetico che alludendo all’occupazione romana dell’anno 67 d.C. rimanda, per la proiezione verso i tempi ultimi tipica dell’intero profetismo biblico, al compimento e completamento, in Cristo Re e Sacerdote al modo di Melchisedek, dell’ingresso dei gentili nell’Alleanza allorché, però, mentre la Porta resta aperta per il tempo stabilito – «Frattanto questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine» (Mt. 24,14) –, colui che deve venire, prima della Parusia di Cristo, possa apparire.

Se oggi siete ad un solo passo dalla ricostruzione del Tempio nella Città Santa, in Al-Quds, è perché il vostro messianismo millenarista ha conquistato quasi tutto il mondo ed è riuscito perfino a penetrare tra i cristiani in quanto le fondamenta del Katéchon, della Chiesa di Roma, sono state erose ed indebolite fino allo sfinimento, salvo – perché questo non è possibile – la colonna indistruttibile dell’Eucarestia che, come nel sogno profetico di san Giovanni Bosco, insieme alla colonna anch’essa indistruttibile di Maria Vergine, continua ad essere ancòra di salvezza per la Barca di Pietro sbattuta dalle onde spaventose della tempesta ed aggredita dalle navi dei suoi nemici.

Resterà di noi cristiani, pertanto, anche questo è stato promesso, solo un pusillus grex, un “piccolo gregge”, quello del quale parlava da ultimo Papa Benedetto XVI, che, come nel racconto di Soloviev, vivrà nelle catacombe esistenziali rifiutandosi di adorare l’“imperatore del mondo” nel suo Tempio ricostruito a Gerusalemme. Voi trionferete, almeno «per un tempo, due tempi e la metà di un tempo» (Dn. 7,25; Ap 12,6-13; 12,14; 13,5), perché così sta scritto, ma il vostro trionfo non sarà quello del Vero Messia, del Salvatore del mondo. Sarà, invece, la catastrofe delle vostre malriposte speranze messianiche.

Se, tuttavia, può consolarvi, dalla catastrofe verrà anche la vostra salvezza allorché proprio voi, ebrei postbiblici, che nonostante tutto il Padre non ha dimenticato (Romani 11, 11-15; 11,25), smaschererete l’Impostore quando vedrete Gesù Cristo tornare nella gloria per distruggerlo con il soffio della sua bocca (2Tessalonicesi 2,8). Quel giorno – del quale nessuno conosce l’ora, neanche il Figlio ma solo il Padre – finalmente riconoscerete in Cristo il Figlio di Dio, proclamerete la Sua Divino-Umanità ed entrerete nella Chiesa di Dio per essere di nuovo reinnestati nell’Olivo Santo (Romani 11,23). In quel giorno il Tempio, sì!, sarà “ricostruito” ma non per mano d’uomo, o per scopi terreni, giacché esso scenderà direttamente dal Cielo, come quei pochi tra voi ancora fedeli alla Tradizione continuano, contro i disegni politico-messianici sionisti, a credere e come Giovanni, l’apostolo, ha visto: «E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap. 21, 1-2).

Luigi Copertino

 

NOTE

  1. Detto Ufficio è stato affidato da Trump alla sua consulente spirituale la pastora Paula White-Cain, seguace della “teologia della prosperità” che insegna il “vangelo della salute e della ricchezza”. Si tratta di una teologia, di matrice calvinista, tipicamente americana che riduce il Cristianesimo a una sorta di terapia per il benessere psicologico e a un metodo di marketing per propiziare i buoni affari. La pastora in questione avrebbe dichiarato di avere l’autorità per proclamare la Casa Bianca un “luogo santo” in quanto sarebbe la sua stessa presenza a santificarla.
  2. Naturalmente l’ebraismo postbiblico non può essere ristretto soltanto al chassidismo o al Chabad-Lubavitch. Quello ebraico è un mondo religioso molto complesso, un pullulare di scuole e correnti talvolta in forte contrasto tra esse. Gli ebrei ortodossi, anch’essi askenaziti, del “Neturei Karta” (Guardiani della Città), ad esempio, un gruppo della corrente Haredì dell’ebraismo postbiblico, pur mantenendo centrale la credenza nella futura era messianica, rifiutano, in nome dei “tre giuramenti talmudici”, di riconoscere la legittimità dello Stato di Israele. La posizione del Neturei Karta è in linea con quella che – fino alla rimodulazione in senso nazional-religioso introdotta, sulla scorta dei successi politici dei sionisti, dal rabbino Abraham Isaac Kook – era stata la tradizionale ostilità dell’ebraismo religioso verso il sionismo. Una ostilità motivata in virtù del fatto che, secondo l’ebraismo tradizionale, il ritorno alla terra promessa sarà realizzato con mezzi spirituali dal “Messia della Casa di Davide” e non con la violenza bellica e l’inganno politico come hanno fatto i sionisti. I quali, in tal modo, secondo il Neturei Karta stanno esponendo Israele all’ira di Dio per la presunzione di “accelerare la venuta del messia” – ciò per cui invece operano i Lubavitcher – con mezzi umani. A differenza di altre scuole, gli Haredim, pur riaffermando la distinzione tra ebrei e non ebrei, hanno un approccio meno separatista verso i gentili. Li considerano in termini di tendenziale pariteticità rispetto agli ebrei. Per essi anche i gentili, nonostante la separazione, sono creature di Dio, con dignità spirituale alla pari degli ebrei, e hanno una parte, non subordinata, nel Suo disegno salvifico. Curiosamente essi insistono molto sull’appartenenza alla Casa di Davide del Messia che aspettano senza che questo li abbia finora spinti a porsi domande sul Yeshua dei cristiani. Come invece si sono posti gli “ebrei messianici” che già riconoscono in Gesù il Messia di Israele ma ancora all’interno di un quadro completamente ebraico e considerano il Cristianesimo successivo al primo Concilio di Gerusalemme del 49 d. C. una deriva paganeggiante. Diversi invece, anche da questi ultimi, gli “ebrei cattolici”, detti anche “cattolici di tradizione ebraica”, perché aderiscono completamente alla Chiesa cattolica pur conservando, per ragioni etniche, le osservanze mosaiche quando non in contrasto con la fede cristiana. In Terra Santa sono attualmente riuniti nel Vicariato di San Giacomo.
  3. Matteo Castagna “Donald Trump come Ciro il Grande?” https://www.informazionecattolica.it/2025/03/12/donald-trump-come-ciro-il-grande/ . Il quale cita Pierre-Antoine Plaquevent – Youssef Hindi “Il millenarismo teopolitico di Israele”, Edizioni all’Insegna del Veltro, Parma 2025, p. 31, a proposito del fatto che negli Stati Uniti le trasmissioni di questo rabbino, che dirige un impero della telecomunicazione da un milione e mezzo di seguaci su Facebook, X, YouTube, richiamano, ogni settimana, 1.600.000 telespettatori.
  4. Si noti che i doni di Melchisedek ad Abramo sono gli stessi “frutti della terra” offerti da Caino che Dio, a differenza delle primizie tra gli agnelli di Abele, aveva rifiutato ingenerando in lui gelosia e odio per il fratello fino al fratricidio. I frutti offerti da Caino – al quale comunque l’Altissimo imporrà un segno affinché nessuno avesse a toccarlo, per vendicare Abele, e quindi contenere la diffusione ormai in atto dell’odio tra gli uomini – non erano stati graditi da Dio perché Caino li aveva offerti con il cuore orgogliosamente chiuso verso la Luce della Trascendenza, verso il Suo Amore. Quella di Caino era stata un’offerta vissuta come un formalistico dovere sociale, un atto rituale senza alcuna adesione intima del cuore – «uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi» (Salmo 51,19) – mentre tale adesione sincera l’Altissimo aveva visto in Abele il giusto. Il quale, non a caso, nell’esegesi cristiana, è figura tipologica del Cristo venturo il cui Sacro Cuore, nell’unione ipostatica, è assolutamente obbediente al Padre e pertanto umile come nessuno, tra i cuori degli uomini, avrebbe potuto essere. Con Melchisedek le specie del sacrificio di Caino – che costituiranno la materia del Sacrificio Eucaristico futuro – sono proposte ad Abramo, come tutti gli uomini discendente di Caino, a significare che Dio ciò che rigetta a fronte della superbia invece accetta e gradisce se unito all’umiltà perché «Il Signore è vicino a quelli che hanno il cuore afflitto, salva gli umili di spirito» (Salmo 31,18).
  5. https://israel365news.com5/2/2025 citato in Matteo Castagna cit.
  6. In Matteo Castagna cit.
  7. In più occasioni, contro la nouvelle vague per la quale la Chiesa, ritenendosi a torto responsabile della durezza di molti cristiani verso gli ebrei nei secoli passati, abbiamo ribadito un fatto storicamente obiettivo ossia che l’antisemitismo non è cristiano ma è un fenomeno moderno, legato allo scientismo illuministico-positivista e al suo retroterra occultista. In ambito cristiano ha tenuto luogo soltanto l’antigiudaismo teologico che, nonostante una certa durezza polemica, nulla ha a che fare con discriminazioni o violenze fondate sulla razza e sul sangue. La Chiesa ha sempre rigettato la discriminazione di razza e la violenza antiebraica, laddove esse si manifestavano, pur non venendo meno alla questione squisitamente teologico-esegetica per la quale l’ebraismo post-biblico è ramo divelto dall’Olivo Santo, secondo l’immagine usata da san Paolo nella Lettera ai Romani. Lo stesso apostolo, tuttavia, raccomandava ai cristiani di provenienza gentile di essere misericordiosi verso gli ebrei decaduti giacché la loro caduta è ciò che ha reso possibile l’innesto sull’Olivo dei gentili. Ora, che i cristiani nel corso dei secoli hanno sovente dimenticato questa raccomandazione di Paolo è un fatto innegabile ma esso non toglie, né diminuisce spiritualmente parlando, la verità della caduta ebraica.