Central Banking Digital Currency: una applicazione distorta della moneta geselliana

CENTRAL BANKING DIGITAL CURRENCY: UNA APPLICAZIONE DISTORTA DELLA MONETA GESELLIANA.

IN MARGINE AD UN RECENTE INTERVENTO DI MASSIMO MAZZUCCO

Il “Digital Wallet” – ossia il “portafoglio digitale – è lo strumento prossimo venturo mediante il quale interagiremo con il sistema di realtà virtuale che ha ormai sostituito la realtà fisica. Esso ci consentirà, come in una unica banca dati, di disporre sul nostro cellulare tutti i dati personali, anagrafici, curriculari, professionali, bancari, fiscali e via dicendo. Non avremmo più bisogno di documenti cartacei e neanche di quelli informatici più vetusti. Tramite il passaporto digitale, in un giorno non lontano, ci sarà consentito l’accesso facilitato ai servizi pubblici e privati che saranno offerti esclusivamente in rete. Anzi solo tramite detto passaporto potremo accedere ai servizi.

Massimo Mazzucco, in un video recente (https://www.youtube.com/watch?v=j7D9TOjlFr4), lo ha definito un “trappolone gigante” paventandone, non a torto, il potenziale di strumento di manipolazione a fini di controllo e di speculazione. L’aspetto più ambiguo di questa imminente rivoluzione digitale è quello monetario. Il portafoglio digitale, infatti, sarà lo strumento attraverso il quale verrà implementato il “Central Banking Digital Currency” (CBDC), in sostanza il sistema operativo della moneta digitale creata dalle Banche Centrali per combattere quella, come i bitcoin, di matrice non bancaria (che, a giudizio dello scrivente, è altrettanto ambigua e pericolosa). Digital Wallet e Central Banking Digital Currency sono un primo passo verso l’“internet delle cose”, ovvero l’interazione cibernetica continua tra uomo e macchina attraverso l’automatismo digitale, esaltato da Klaus Schwab nel suo “La Quarta Rivoluzione Industriale”.

Naturalmente, per convincerci ad accettare la svolta tecnologica digitale, di essa sono presentati i vantaggi, senza però evidenziare i pericoli. La supposta è indorata prospettandoci la comodità di disporre una unica banca dati attraverso un unico strumento operativo con il quale essere costantemente connessi e interattivi. Anzi, viene esaltata la possibilità attraverso l’uso della moneta digitale central-bancaria – che non è in gestazione solo in Occidente, perché la Cina sta già sperimentando lo yuan digitale – di aggirare i tradizionali intermediari finanziari, ossia le banche, nelle transazioni finanziarie tra un capo e l’altro del mondo. Per non spaventare troppo l’opinione pubblica ed evitare un collasso repentino del sistema bancario attuale, la moneta digitale banco-centrale resterà, almeno agli inizi, ancorata al valore delle divise nazionali, e come esse soggetta ad inflazione o deflazione, in modo da impedire, insieme al fatto che non sarà inizialmente fruttifera di interessi, che possa diventare troppo attraente per gli investitori o come veicolo di risparmio in luogo dei tradizionali depositi bancari.

Mentre dunque, come dicevamo, vengono prospettati i lati accattivanti della rivoluzione tecnologica imminente, sono, tuttavia, tacitati i risvolti poco gradevoli di questa totale digitalizzazione e virtualizzazione delle nostre vite. Infatti, quel che non si dice, quel che si tende a nascondere, è che il prezzo da pagare per la comodità digitale sarà la nostra subordinazione, attraverso la devoluzione sebbene volontaria dei nostri dati, al continuo controllo e al costante monitoraggio di tutto quanto facciamo, dei nostri gusti, delle nostre opzioni, delle nostre azioni. Forse, un domani, anche dei nostri pensieri, in un inveramento dell’orwelliana psico-polizia. È il “capitalismo della sorveglianza” di cui all’omonimo libro di Shoshana Zuboff.

Massimo Mazzucco, nel video citato, ha osservato che basta semplicemente togliere la Sim card ai refrattari al portafoglio digitale per impedire loro non solo di telefonare ma anche di accedere al proprio conto bancario. Pare che una cosa del genere sia già prescritta legalmente in Nigeria contro i resistenti all’innovazione.

La cosa dovrebbe sortire in tutti noi preoccupazione, perché, benché le autorità monetarie occidentali promettono che il contante resterà comunque una opzione di pagamento valida, in realtà, facendo leva sulla comodità del pagamento elettronico, l’uso della moneta digitale si diffonderà sempre più e diventerà quasi globale. Il contante, con il suo retaggio di libertà, sparirà da solo, come un tempo accadde alle monete auree. Una cosa del genere è, del resto, già avvenuta con l’introduzione delle carte di credito (che poi sono carte di indebitamento) ormai di uso quasi generale, in luogo del residuo contante.

Attraverso il Central Banking Digital Currency la Banca Centrale contabilizzerà sui nostri conti correnti moneta digitale. Direte: ma che bello! Avremo a disposizione non solo una facilitazione nelle transazioni finanziarie ma anche moneta creata dal nulla in abbondanza, sui nostri conti correnti! Il problema è che la moneta digitale creata dalla Banca Centrale nei nostri conti correnti, o in essi contabilizzati attraverso qualche transazione commerciale, sarà, a quanto sembra, anche “prescrittibile” ossia a scadenza. Pertanto essa sarà cancellata dal conto corrente di chi non la spende entro un certo lasso di tempo.

Ciò dimostra che, come diceva Giacinto Auriti, non siamo noi i proprietari dei soldi che abbiamo sul conto corrente ma che proprietaria, legalmente ma illegittimamente, ne è la Banca Centrale di emissione, un soggetto che non è neanche pubblico ma privato ed è organismo esponenziale, incuneato nella struttura statale, della consorteria finanziario-bancaria mondiale.

Secondo Mazzucco attraverso la moneta digitale prescrittibile, quindi a scadenza, ci impediranno persino di risparmiare. Ma qui, ci sia consentito, è necessario fare alcune puntualizzazioni. Il risparmio non sempre è una virtù, soprattutto in un sistema monetario “endogeno” nel quale le banche non raccolgono moneta, come facevano nei secoli passati, per poi investirla prestandola, ma la creano esse stesse ex nihilo in dipendenza della domanda di moneta da parte del mercato. Ogni apertura di credito, ossia ogni concessione di fido, che avviene, ormai da quasi un secolo e mezzo, senza alcuna copertura, quantomeno integrale, in moneta legale, equivale a creazione di moneta bancaria in forma, per l’appunto, di prestiti “allo scoperto”.

Questo è anche il motivo per cui le ricette monetariste, come quella che sta riproponendo in Argentina il neo-presidente anarco-liberista Javier Milei, per le quali l’inflazione si combatte abolendo le banche centrali, o perlomeno fissando target quantitativi alla moneta a corso legale emessa dalla Banca Centrale, non funzionano ed hanno come unico effetto la contrazione del welfare e della spesa pubblica, a tutto vantaggio del sistema bancario e delle attività finanziarie speculative. Senza neanche riuscire, oltretutto, a contenere l’inflazione che non dipende sempre e comunque dall’eccessiva quantità di moneta legale in circolazione ma da altri fattori, in genere un crollo dell’offerta o un eccesso di domanda o aumenti dei costi delle materie prime o dell’energia, non esclusa l’incontrollata creazione di moneta creditizia da parte delle banche.

Che il risparmio non sia sempre una virtù è poi dovuto al fatto che esso comporta l’immobilizzazione del denaro creando ristagno dell’economia. Come affermava Keynes chi tesaurizza, chi non spende, toglie al prossimo la possibilità di lavorare e portare il pane a casa.

Nella imminente rivoluzione tecnico-finanziaria del Central Banking Digital Currency dobbiamo registrare – e questo un aspetto ancora poco meditato – il recupero, ma in modalità fraudolenta, da parte del sistema capitalistico finanziario di una antica idea che un tempo lo stesso sistema ha combattuto.

La “moneta prescrittibile” non è, infatti, una novità assoluta. L’auspicava, negli anni venti del secolo scorso, quale strumento per evitare la tesaurizzazione che uccide l’economia, Silvio Gesell, un economista pratico, che fu anche ministro nell’immediato primo dopoguerra della effimera Repubblica socialista bavarese. Gesell è stato uno degli economisti cui faceva riferimento Ezra Pound.

In sostanza, attraverso la moneta prescrittibile, Gesell intendeva indurre la gente a spendere per sostenere la domanda e per impedire la deflazione con le conseguenti depressioni economiche. John Maynard Keynes, nella sua “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” (1936), ha fatto esplicita citazione di Silvio Gesell riferendosi a lui come ad un geniale economista dilettante che aveva intuito il vero fondamento della scienza economica, ossia il primato della domanda sull’offerta, pur senza essere riuscito a definirlo in termini scientifici. Per Keynes, tuttavia, non si trattava di introdurre la “moneta prescrittibile”, con il suo complicato meccanismo come ipotizzato da Gesell, in quanto per sostenere la domanda egli preferiva il ricorso alla spesa pubblica di investimento (non a quella corrente). Keynes, dunque, apprezzava di Gesell non tanto l’idea della moneta prescrittibile quanto l’aver intuito, contro il paradigma liberista anche nella sua versione neoclassica, che l’economia è mossa dalla domanda e non dall’offerta.

Senza dubbio, nell’economia capitalista, un ruolo molto importante lo giocano il marketing e la pubblicità. Ma non bisogna ingannarsi. Un prodotto può essere messo sul mercato con il più ampio corredo di marketing e con la più ampia campagna pubblicitaria ma quando non ci sono soldi, ossia non c’è reddito sufficiente, l’offerta resta al palo. Salvo – attenzione perché qui sta un aspetto molto oscuro del capitalismo! – indebitare i consumatori. Ed è ciò che avviene nell’economia finanziarizzata con il sistema bancario organizzato – negli Stati Uniti in modo “scientifico” ma anche in Europa – per sostenere la domanda a debito ovvero per prestare denaro persino agli insolventi potenziali in modo da supportarne, ripetiamo a debito, la propensione al consumo. Poi però accade, come nel caso dei mutui sub prime americani o in quello della Grecia di qualche anno fa in piena crisi dell’euro, che, alla lunga, l’insolvenza dei debitori fa scoppiare la bolla finanziaria del credito bancario facile, le banche vanno in default e l’economia entra in depressione. È la storia del 1929 e del 2008.

Quando questo accade le prefiche del liberismo, le stesse che negli anni della gallina dalle uova d’ora predicano le virtù del mercato in nome dello Stato minimo, iniziano ad invocare, attraverso la stampa, il salvataggio di Stato per le banche decotte a causa della speculazione creditizia. E gli Stati, o meglio le classi politiche dirigenti ignare dei meccanismi finanziari e quindi beote, salvano le banche private con i soldi pubblici. Il Meccanismo Europeo di Stabilità, il Mes, che tanto piace alla sinistra europea, tra 2014 e 2020 ha salvato, con fondi pubblici, le banche tedesche e francesi in crisi per l’insolvenza dei greci. Poi la Troika ha pensato a spellare viva la Grecia per ripianare i prestiti ottenuti dal Mes. Il capitalismo finanziario è un sistema marcio ed usuraico.

Ora, per tornare alla moneta geselliana, il punto sta nel capire le finalità della moneta prescrittibile secondo Gesell per metterla a confronto con le finalità della sua versione digitale.

Quella di Gesell era moneta cartacea e per impedirne la scadenza bisognava apporre ogni mese sulle banconote un bollino del valore di un dodicesimo di quello facciale della banconota. Un esperimento pratico della moneta geselliana fu realizzato, nel periodo tra le due guerre, in piena Grande Depressione, nel 1932, nel villaggio tirolese di Wörgl e consentì al borgomastro, Michael Unterguggenberger, di introitare notevoli somme nelle casse comunali, con la vendita dei bollini, che gli hanno permesso di realizzare un piano di opere pubbliche dando lavoro ai suoi concittadini disoccupati, mentre la necessità per i suoi detentori di spendere la moneta a scadenza aveva rimesso in moto l’economia stagnante del piccolo paese.

La moneta prescrittibile emessa dal Comune di Wörgl – denominata “certificato di lavoro” per evitare che fosse considerata moneta illegalmente emessa (come poi accadde) – scadeva dopo 30 giorni dalla data dell’emissione. Essa tuttavia poteva essere mantenuta con validità in circolazione se il suo detentore vi apponeva mensilmente un bollo, da acquistare presso lo stesso Comune emittente, che costava un dodicesimo del suo valore facciale. In tal modo, per mantenere valido un “certificato di lavoro” del valore di 12 scellini si pagava 1 scellino ogni mese. La moneta prescrittibile assicurava una più veloce circolazione monetaria, con incremento della spesa privata a supporto della domanda e quindi anche a beneficio dell’offerta, giacché chi la possedeva cercava di sbarazzarsene, spendendola, per evitare l’apposizione dei bollini – in altri termini, la sua prescrittibilità ne impediva la tesaurizzazione – e, al tempo stesso, assicurava al Comune emittente introiti non fiscali, ossia senza aumento delle tasse, per un dodicesimo del valore della quantità di moneta emessa.

A garanzia dei certificati di lavoro emessi dal suo Comune, il buon borgomastro Unterguggenberger, nel caso qualcuno avesse voluto cambiare la moneta comunale con quella ufficiale della Banca Centrale austriaca, raggiunse un accordo con la banca commerciale locale presso la quale depositò le poche riserve monetarie in scellini possedute dall’ente dal lui amministrato. Ma nessuno chiese mai il cambio.

In un analogo esperimento, questa volta nel 2000, in quel di Guardiagrele, in provincia di Chieti, il giurista ed accademico Giacinto Auriti mise in circolazione, gratuitamente e senza caricarli di interessi all’atto dell’emissione, i simec (simboli econometrici) con tasso di cambio iniziale con la lira, ossia al principio del circuito, alla pari – 1 lira = 1 simec – ma con un tasso di cambio finale, ossia alla fine del circuito,  doppio – 1 simec = 2 lire  –  in modo che con mille lire si ottenevano mille simec il cui potere d’acquisto era però doppio perché consentivano l’acquisto di merci per un valore, in lire, raddoppiato. I possessori della nuova moneta locale la spendevano ed i commercianti che accettavano i simec potevano successivamente cambiarli secondo il rapporto 1 a 2 ottenendo con mille simec duemila lire. In tal modo si costituiva una parziale riserva in moneta ufficiale, a disposizione di chi volesse eventualmente cambiare simec in lire. Lo scopo, tuttavia, non era quello di conferire un sottostante al simec, il quale – in base alla teoria che Auriti voleva dimostrare, all’atto pratico, valida – doveva circolare su base esclusivamente fiduciaria, ma quello di indurre una fiducia iniziale nel simec. In modo che poi, per il graduale oblio del cambio, ossia quando, per la fiducia sopravvenuta, il simec avrebbe circolato senza più ricorso al cambio continuo, per il semplice fatto che avendo un potere d’acquisto doppio, rispetto alla lira, diventava preferibile spenderlo anziché cambiarlo in lire, esso si sarebbe reso spontaneamente indipendente dalla lira. Nel frattempo, come previsto, i commercianti detentori dei simec non si recavano tutti insieme a cambiarli in lire sicché non si creava alcun problema di solvibilità per l’emittente, ossia lo stesso Auriti. Si trattava, certo, di un rischio dato che la quantità di lire, disponibile a riserva, era soltanto la metà del valore dei simec in circolazione. Ma, come detto, per la fiducia con la quale il simec si impose sul mercato locale, non si registrò alcun problema.

Del resto Unterguggenberger ed Auriti non hanno fatto altro che imitare il comportamento quotidiano delle banche commerciali – con la non piccola differenza che lo hanno fatto senza lucrarci interessi – giacché le banche creano ex nihilo moneta creditizia in misura superiore alle riserve e quindi senza alcuna copertura integrale in moneta legale. Addirittura, in quei Paesi nei quali non vige alcun obbligo di riserva le banche creano moneta bancaria del tutto allo scoperto. Ma nessuno si pone alcun problema in quanto la fiducia nel sistema è garantita dal prestatore di ultima istanza ossia dalla stessa Banca Centrale pronta, nell’eventualità, a monetizzare l’attività creditizia, allo scoperto, delle banche commerciali.

Piuttosto una riflessione va fatta a proposito di un problema che nel sistema della moneta prescrittibile geselliana sarebbe potuto emergere ma che non emerse probabilmente per via dell’interruzione dell’esperimento. Come abbiamo visto, la bollinatura della moneta prescrittibile avveniva mediante marche acquistate con scellini, ossia con la moneta a corso legale di emissione della Banca Centrale. In tal modo la moneta emessa dal comune di Wörgl restava in qualche maniera dipendente dalla moneta ufficiale. La necessità di acquistare i bollini in scellini rendeva impossibile svincolare del tutto il certificato di lavoro di Wörgl dalla moneta legale in quanto le marche non potevano essere acquistate con la stessa moneta prescrittibile, o con i suoi decimali, perché essendo a scadenza aveva bisogno di essere bollinata essa stessa. Se si fosse provato a rendere acquistabili i bollini attraverso la stessa moneta prescrittibile il sistema si sarebbe avviluppato su sé stesso. Questo problema non sussisteva nell’esperimento del simec auritiano che non era soggetto a bollinatura periodica, sicché laddove, per pratica e consuetudine, l’oblio del cambio avesse gradualmente svincolato il simec dalla lira, inizialmente sottostante, non sarebbe sorta alcuna impasse nel sistema.

Nonostante si fosse dimostrato, come più tardi quello di Auriti, efficace nel riattivare l’economia locale stagnante, quello di Wörgl fu un esperimento di breve durata. Infatti, come accade anche nel 2000 a Guardiagrele, per il Simec, intervenne la Banca Centrale e tutto finì.

A Wörgl nel 1932 come a Guardiagrele nel 2000 è stato dimostrato che un’altra economia è possibile, un’economia umana e, mi sia consentito aggiungere, cristiana. Una economia fondata su un diverso principio a base del sistema monetario. Un principio tanto semplice e naturale quanto per questo infamato dall’establishment bancario e finanziario, con il solito espediente del “complottismo” che serve soltanto a non entrare nel merito delle questioni. Questo principio è quello per il quale il denaro non è un bene privato, non appartiene alle banche. La moneta è uno strumento della comunità politica nazionale. Non può appartenere ad una ristretta consorteria ma alla comunità nel suo insieme. Sicché essa deve essere democraticamente governata. É il popolo il solo soggetto titolato a decidere le regole di emissione, di diffusione e di distruzione degli strumenti monetari – attenzione: sia di quelli a corso legali emessi dalle Banche Centrali, sia di quelli creditizi creati dalle banche commerciali – che servono alla gestione dell’economia volta al bene comune.

Il borgomastro di Wörgl aveva capito, come dichiarò nel suo “programma di soccorso” proposto ai suoi cittadini, che «Come intermediaria di scambi, la moneta progressivamente sparisce dalle mani dei lavoratori. Filtra invece negli alvei dove scorre l’interesse, finendo con l’accumularsi nelle mani di pochi, che non la riversano sul mercato per acquistarvi beni e servizi. La trattengono invece per specularvi sopra».

Ora, tornando ai nostri giorni, mettiamo a confronto le finalità della moneta prescrittibile ideata da Gesell con quella che sarà imposta con il Central Banking Digital Currency. La moneta prescrittibile digitale della Banca Centrale, a giudizio dello scrivente, implementerà un sistema di controllo sociale piuttosto che di sostegno indotto alla spesa e quindi alla domanda. Qui sta l’ambiguità di un recupero sospetto dell’idea geselliana. La moneta geselliana non viene riproposta come moneta popolare, per migliorare l’efficienza della circolazione monetaria, ma come strumento, nelle mani della Banca Centrale, per consolidare l’attuale sistema di potere capitalistico attraverso un meccanismo di creazione monetaria a scadenza gestito dal potere finanziario privato e globale. L’obiettivo è sempre quello di garantire una domanda all’offerta ma, a differenza della moneta geselliana, questo avverrà attraverso una sorta di reddito di cittadinanza – consistente nella creazione contabile dal nulla di moneta digitale nei conti correnti dei cittadini – atto ad assicurare uno sbocco alla produzione nel momento nel quale questa sta diventando automatizzata attraverso la sostituzione del lavoro umano con i robot e l’intelligenza artificiale. Possiamo, pertanto, dire addio anche al ceto medio dopo averlo detto alla classe operaia che ormai è scomparsa o comunque ormai da decenni ridotta ad una specie ampiamente in estinzione.

In questo, dunque, consiste l’ambiguità di un recupero distorto, per scopi di controllo speculativo, dell’antica idea geselliana. Invece di funzionare per riattivare l’economia reale, dare lavoro, ridurre la disoccupazione, la moneta prescrittibile digitale delle Banche Centrali funzionerà come strumento di sostituzione dell’uomo nella produzione e di eliminazione del costo del lavoro in favore dei profitti del grande capitale azionario e multinazionale, ma con la certezza che la moneta digitale prescrittibile assicurerà una domanda all’offerta automatizzata, nonché per aumentare le quotazioni di borsa dei grandi oligopoli globali.

Luigi Copertino