ALLE RADICI DEL “NUOVO CRISTIANESIMO 4.0” – di Luigi Copertino

ALLE RADICI DEL “NUOVO CRISTIANESIMO 4.0”

Il Progetto

Il progetto del World Economic Forum (WEF), denominato Great Reset, per la riorganizzazione globale post pandemia degli assetti del mondo, era già tutto contenuto nel libro di Klaus Schwab, che del WEF è co-fondatore e tecnocrate di massimo livello, “La Quarta Rivoluzione Industriale”, pubblicato nel 2016 (1).

In questo libro vengono delineate le potenzialità tecnologiche della rivoluzione cibernetica in atto che consentiranno la trasformazione dell’esistenza umana. Una trasformazione epocale, inimmaginabile fino a qualche decennio fa, intorno alla quale ha preso corpo un progetto di centralizzazione pianificata della governance mondiale al quale l’élite finanziaria mondiale, da qualche anno a questa parte, va prestando tutta la sua attenzione e tutto il suo appoggio.

Il progetto in questione è stato messo a punto e pubblicamente esposto, nel 2020, dallo stesso Schwab, in collaborazione con il principe Carlo d’Inghilterra, nell’annuale riunione a Davos del WEF. Se ne è ricavata l’impressione che si voglia mirare a una forma di organizzazione totale nella quale, tra l’altro, sulla base di giustificazioni di tipo ambientalista, il diritto di proprietà personale tenderà gradualmente a scomparire surrogato da contratti di godimento – uso, affitto e noleggio – dei beni. Una abolizione capitalista della piccola e media proprietà, ritenuta un elemento di antieconomicità e di inefficienza ai fini della nella riorganizzazione del mondo, che tuttavia sarà accompagnata dalla formazione di grandi proprietà la cui titolarità verrà accentrata nelle multinazionali globali. I cittadini, quindi, potranno godere dei beni ma pagandone la remunerazione di uso alle grandi concentrazioni monopoliste proprietarie. Una sorta di “comunismo delle multinazionali” che configura una ferrea ri-gerarchizzazione della società mondiale al cui vertice, però, non ci saranno, come nell’Ancien Régime, il trono e l’altare ma la Finanza e la Banca.

Lo scenario degli assetti sociali come proposto nel Great Reset non coincide per niente con la redistribuzione, fra tutti, della proprietà privata auspicata dalla Tradizione cristiana. Quello prospettato dal WEF è, al contrario, l’esproprio universale di ogni proprietà da parte del potere capitalistico finanziario mondiale. Non è possibile, riguardo al progetto del Great Reset, parlare di ridistribuzione della proprietà ma, casomai, di abrogazione del diritto di proprietà sostituito dall’uso precario dei beni “benevolmente” concesso, non in forma gratuita, dai padroni transnazionali del mondo che, in cambio, promettono all’umanità un avvenire di “giustizia ecologica”. Siamo ancora al “Sol dell’avvenire” ma in salsa capitalista, a dimostrazione che capitalismo e comunismo hanno la medesima radice teologico-filosofica e, all’esito del percorso storico della scristianizzazione, finiscono per convergere fino a coincidere.

Gaia o del ritorno della “Grande Madre”

La vera natura del Great Reset – nel quale un ruolo di primo piano è rivestito dalle politiche “green” attuabili mediante le possibilità aperte dalla rivoluzione cibernetica – non è comprensibile se non evidenziandone la dipendenza dal paradigma culturale oggi noto come “Gaia”. Questo, progressivamente impostosi dagli anni ’70, più che un paradigma scientifico è in realtà una “nuova religione” caratterizzata da un retroterra neospiritualista che affonda le sue radici nell’occultismo teosofico sette-ottocentesco e nella gnosi spuria novecentesca.

La nuova religione di Gaia è, per molti aspetti, una riedizione postmoderna del culto neopagano della Grande Madre. Secondo il nuovo paradigma, la responsabilità del presunto riscaldamento globale deve essere attribuita esclusivamente all’attività umana. Si tratta, secondo climatologi di altro orientamento, di una asserzione priva di qualsiasi riscontro sperimentale e soprattutto storico, dato che il clima del nostro pianeta è ripetutamente cambiato, nel corso delle ere, anche quando non c’era presenza umana o l’attività umana aveva caratteri pre-industriali. Ciononostante secondo il paradigma Gaia l’uomo, all’interno della Totalità Olistica, per la sua pretesa di considerarsi qualcosa di non completamente riducibile al solo “bios”, è necessariamente un parassita che sta disturbando l’armonia immacolata della Natura, ad un tempo Madre e Matrigna. Nell’ottica di Gaia, infatti, l’uomo non è l’Imago Dei posto al Centro del Cosmo, come nelle antiche Religioni tradizionali, ma è solo una parte, alquanto marginale, del Tutto di cui quest’ultimo può fare benissimo a meno.

Privo di ogni base scientifica, Gaia in realtà è un culto “neopagano” che attacca frontalmente soprattutto le Tradizioni abramitiche, ed il Cristianesimo in particolare. Ne deriva una critica ideologica rivolta contro quella peculiare specie di uomo che è l’uomo euro-occidentale forgiato dal Cristianesimo, responsabile della desacralizzazione della natura, il quale con il suo comportamento sta depauperando le risorse del pianeta provocando fame e povertà al di fuori dell’Occidente depredatore.

Nonostante sia un falso storico e spirituale l’identificazione tra Cristianesimo ed Occidente moderno – in realtà non esiste alcun uomo euro-occidentale forgiato dalla fede cristiana perché, al contrario, l’Occidente moderno nasce dall’apostasia di quella che un tempo fu la Cristianità – nel nuovo paradigma l’ecologismo panteista ed il terzomondismo convergono in una unica ideologia che è riuscita ad imporsi anche a causa delle attuali carenze della teologia cristiana odierna. Infatti, a partire gradualmente dall’età moderna, in ambito cristiano è venuta meno la memoria della “sacralità partecipata” della creazione, attestata dalla grande tradizione sapienziale rintracciabile tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento ma anche negli sviluppi medioevali della teologia, in particolare di quella di matrice cristiano-platonica, per la quale il creato è inteso quale manifestazione riflessa dell’Amore di Dio, della Sua Somma Bontà e Bellezza e, quindi, quale “Libro della Creazione” accanto al “Libro della Rivelazione” che è la Scrittura.

Il “Nuovo Cristianesimo” in versione 4.0

Benché sia portatore di un radicale panteismo ecologico, dipendente come appena visto dal culto neopagano di Gaia, il progetto di riorganizzazione mondiale del WEF non ripone – attenzione! – la salvezza nel ritorno arcadico alla terra. Nessun romanticismo del genere è negli orizzonti del progetto patrocinato da Schwab. Al contrario la salvezza dalla presunta catastrofe globale – il cui allarmismo è stato artificialmente amplificato dai media per decenni e che con la pandemia ha trovato apici di impensabile livello – verrà, secondo l’élite mondiale, dagli sviluppi della Nuova Rivoluzione Industriale 4.0 all’insegna della intelligenza artificiale, della digitalizzazione, della cibernetica, della robotizzazione, delle politiche maltusiane intese al de-popolamento dell’umanità congiunte, in una contraddizione “umanitaria” che è solo apparente per chi non ha occhi per vedere oltre le apparenze, alle politiche “scientifiche” a sostegno della diffusione degli ogm con cui le multinazionali promettono di eliminare la povertà e la fame dal mondo.

A ben vedere, il progetto illustrato dal libro di Klaus Schwab configura una riedizione del “Nuovo Cristianesimo”, enunciato nel XIX secolo dai padri positivisti del pensiero tecnocratico ossia Claude-Henri de Rouvroy conte di Saint Simon e Auguste Compte, per il quale Scienza e Tecnica, rigorosamente con la maiuscola, sostituiranno Gesù Cristo nell’opera di Redenzione dell’uomo. Si tratta di un “Nuovo Cristianesimo 4.0” ossia aggiornato all’epoca dell’intelligenza artificiale, della robotica, della manipolazione genetica e della piattaformizzazione algoritmica dell’esistenza.

In un altro libro, edito nel 2020, “Covid-19: The Great Reset”, scritto a quattro mani con Thierry Malleret, Schwab afferma: «Prima di tutto, l’era post-pandemia introdurrà un periodo di massiccia ridistribuzione della ricchezza, dai ricchi ai poveri e dal capitale al lavoro». Essa avverrà, sempre secondo Schwab, attraverso un grande intervento dei governi per attuare politiche ambientali “sostenibili”. La “redistribuzione della ricchezza” della quale parla Schwab, in realtà, lungi dall’essere distribuzione della proprietà, è nient’altro che la diffusione del mero godimento dei beni, dietro pagamento alle multinazionali produttrici del prezzo di affitto, in luogo della proprietà degli stessi. In questa falsificazione del concetto di redistribuzione della ricchezza si svela l’aspetto para-socialista del “Nuovo Cristianesimo” dell’era digitale, il cui vero approdo sta piuttosto nella transizione dall’umanesimo classico, come finora lo abbiamo conosciuto a partire dal XV secolo, verso il trans-umanesimo ossia verso la sintesi cibernetica tra uomo e macchina, con la nascita dei cosiddetti “cyborg” e l’inveramento del sogno di immortalità ma a prezzo della trasformazione dell’uomo in un semi-robot all’occorrenza riparabile con la sostituzione dei pezzi guasti.

Analogamente a quello ottocentesco di Saint Simon e Compte, anche il progetto di trasformazione scientifica della società propugnato da Schwab è nient’altro che una parodia del Cristianesimo. Come a suo tempo Saint Simon ed Auguste Compte si fecero banditori della “religione positiva” proponendosi alla Chiesa quali annunciatori di ciò che del Cristianesimo sarebbe possibile affermare e finalmente realizzare dopo la fine della Metafisica – una proposta chiaramente seduttiva che implica la rinuncia alla fede nella Divino-Umanità di Cristo –, così nell’ottica di Schwab la Chiesa è l’“alleata” migliore per la realizzazione del disegno di riorganizzazione “felice” del mondo progettato dal WEF.

Nel 2014 Klaus Schwab ha invitato a Papa Francesco a parlare all’incontro di Davos. L’invito fu declinato ma da allora Papa Francesco ha dato mostra di tenere in alta considerazione le idee del tecnocrate. Klaus Schwab non solo è stato ricevuto, in pompa magna, in Vaticano ma è stato anche destinatario di una lettera di incoraggiamento pubblicata sul sito ufficiale dello Stato papale. Nell’ottobre 2020, sul sito web ufficiale del WEF di Davos si trovava scritto: «In una sorprendente enciclica di 43.000 parole pubblicata domenica scorsa, il papa ha posto il suo sigillo sugli sforzi per plasmare quello che è stato definito un grande reset dell’economia globale in risposta alla devastazione del Covid-19».

Sbaglia alla grande chi si illude che il Great Reset realizzerà «una massiccia ridistribuzione del reddito dalla classe media della società in giù». Al contrario il Great reset è un accentramento delle ricchezze dal basso e dal medio strato della società verso l’alto della piramide mondiale rappresentata da un’élite di non più di 2000/3000 soggetti tra finanzieri, banchieri, mega-manager, alti tecnici del digitale e della robotizzazione produttiva. Stiamo assistendo ad una proletarizzazione del ceto medio, del lavoro intellettuale, ma non a vantaggio della classe lavoratrice bensì a vantaggio dell’élite globale che assurgerà a nuova nomenklatura, di vertice, espropriatrice. Classe media impiegatizia e ciò che resta della classe operaia finiranno entrambe nella vasta ed uniforme area dell’umanità “ilica”, che camperà di reddito di cittadinanza alimentato da moneta bancaria creata ex nihilo, per assicurare uno sbocco di mercato alla produzione automatizzata.

Klaus Schwab, d’altronde, non nasconde affatto, tra le pieghe del suo libro del 2016 sulla “Quarta Rivoluzione Industriale”, il volto luciferino del progetto. Egli scrive apertamente di transumanesimo e di manipolazione del patrimonio genetico dell’uomo, ponendo in dubbio, quale varco verso la liceità morale della manipolazione medesima, la possibilità stessa di affermare l’esistenza di una “natura umana” data ed intangibile.

Egli, ad esempio, tra i grandi cambiamenti in arrivo, è affascinato dalla «pianificazione degli esseri umani e [dal]le neurotecnologie» fino allo sviluppo di «nuove modalità di utilizzare e impiantare dispositivi interni che monitorano i nostri livelli di attività e i valori ematochimici e in modo che questi siano associati al benessere, alla salute mentale e [guarda caso!] alla produttività a casa e al lavoro (…). Stiamo inoltre imparando a conoscere meglio il funzionamento del cervello e assistendo a sviluppi esaltanti nel campo della neurotecnologia (…).  Ci troviamo … a dover rispondere a domande relative a cosa significhi essere “umani”, quali dati e informazioni inerenti al nostro corpo e alla nostra salute possiamo condividere con gli altri, quali siano i nostri diritti e le nostre responsabilità al momento di cambiare il codice genetico delle future generazioni … [perché] … il genoma umano [potrà] essere manipolato con maggiore facilità e precisione attraverso embrioni …».

Ritorna, qui, la distorsione biologistica moderna per la quale l’io, ossia l’auto-coscienza della persona, il suo elemento spirituale e trascendente che la rende appunto umana, si identifichi nel cervello e nella sua biochimica, e non nel cuore dell’uomo.

E’ evidente la übris faustiana che si nasconde dietro affermazioni come quelle sopra riportate. Un atteggiamento faustiano che rivela, se si hanno occhi per vedere, l’odio prometeico verso il Creatore. Come anche nei passaggi seguenti nei quali, esaltando le nuove possibilità della tecnica “tridimensionale” applicate al genoma, si afferma: «Coerentemente con le riflessioni precedenti in merito a come le diverse innovazioni tecnologiche si combinano e completano le une con le altre, le tecniche di realizzazione dei prodotti tridimensionali potranno essere combinate a quelle di modifica dei geni per produrre tessuto organico da utilizzare per riparare o rigenerare quello esistente, processo noto come “bioprinting”, già in uso per rigenerare tessuto vascolare, cutaneo, osseo e cardiaco».

Chi, avendo orecchi per udire, non si fa condizionare dalla parvenza del beneficio immediato che l’umanità conseguirebbe dal “bioprinting”, non può non accorgersi che in realtà qui viene cantato il peana all’uomo il quale, sostituendosi a Dio, “si fa dio di sé stesso” fino ad impadronirsi della capacità di generare tessuti biologici, in attesa di acquisire anche il potere di creare la “vita” in laboratorio – come è già stato fatto con gli animali – e così proclamare la propria auto-divinità. Si fanno le lodi, in altri termini, dell’auto-potenza umana che la manipolazione genetica consentirà di manifestare. Ma non – si badi! – all’umanità in generale bensì all’élite che governerà il mondo a venire. Come ogni menzogna, benché paludata scientificamente, anche questa finirà per mostrare il rovescio distruttivo della medaglia. Rigenerare tessuti organici e manipolare il genoma animale, come nel caso della pecora Dolly, non è creare ex nihilo la vita ma – a partire da elementi già dati e presupposti, quindi non dal nulla come è nel potere creativo di Dio – è soltanto una maldestra imitazione della vita che, puntualmente, finisce nel disastro. La povera Dolly visse poco e nella continua sofferenza.

La Fonte Teologica

Alla radice del “Nuovo Cristianesimo” di Klaus Schwab – pochi lo sanno – c’è una teologia ben precisa. Una fonte che ci riporta al nome di uno dei più noti teologi “progressisti” degli anni ’70. Lo ha rivelato lo scrittore tedesco americano Frederick William Engdahl (2).

La fonte ecclesiale che ha ispirato Klaus Schwab è l’arcivescovo brasiliano Dom Helder Pessoa Câmara (1909-1999), che il tecnocrate fondatore del WEF ha conosciuto negli anni ’70. Noto come il “Vescovo Rosso”, Câmara, insieme agli ex teologi francescani Leonardo Boff e Gustavo Gutierrez, è stato figura di primo piano della cosiddetta “Teologia della liberazione” (3). Nominato arcivescovo di Olinda e Recife nel nord-est del Brasile, per reggere tale diocesi dal 1964 al 1985, Câmara fu tra i primi ad introdurre la formula per la quale “Dio ama preferenzialmente i poveri” ma fraintendendone il senso in chiave politico-sociologica.

Dietro tale, in apparenza nobile, formula teologica, si cela il paradigma ideologico per il quale la povertà è una condizione esclusivamente sociale. La Tradizione cristiana non ha mai inteso la povertà come una condizione spirituale meritoria in senso sociologico. In realtà, secondo la Rivelazione, Dio ama l’umiltà più che la povertà in sé. Quest’ultima, la povertà intesa come rinuncia ai beni terreni, aiuta ad essere umili quando è volontaria. D’altro canto la povertà può essere anche “di spirito”, ossia umiltà pur nella ricchezza, ed essere lo stesso gradita a Dio, sebbene, come esplicita l’incontro, attestato dal Vangelo, tra Cristo ed il giovane ricco, la ricchezza è sovente più un ostacolo che un aiuto alla povertà di spirito, ossia all’umiltà. In ogni Tradizione spirituale la “liberazione” – nel Cristianesimo si deve parlare piuttosto di “salvezza” – si raggiunge rinunciando a tutto ciò che è transeunte e, quindi, anche ai beni terreni. Da qui la “povertà” che porta alla “liberazione” in senso spirituale e salvifico. Nulla o poco c’entra l’aspetto sociale della questione, che può venire in auge solo come un momento subordinato a quello spirituale, il quale è e resta quello principale. Cristianamente l’aspetto sociale della povertà, della rinuncia, non deve essere negato ma soltanto messo al suo giusto posto che è secondario e derivato, nel senso che è solo una conseguenza della scelta cristiana sacramentalmente vissuta.

Alla luce di questo ordine di priorità il magistero cattolico insegna che per risolvere le questioni sociali non è necessario abrogare la proprietà ma è necessario, in vero, distribuirla e diffonderla quanto più possibile. Renderne partecipi o compartecipi coloro che ne sono esclusi e vivono nella povertà materiale. Questa è la Caritas la quale non è l’elemosina, o non solo essa, ma è l’apertura del cuore all’Amore Infinito di Dio che in tal modo, attraverso il cuore convertito, si dispiega anche all’esterno sugli altri, nelle relazioni sociali.

Ma Helder Câmara, sulla scia di Gutierrez e Boff, ha confuso la metanoia del cuore, che – certo! – può e deve essere anche “politica”, con il progetto di autocostruzione della società futura che i teologi della liberazione hanno elaborato utilizzando l’analisi marxista in luogo del Vangelo. Infatti Boff e gli altri teologi della liberazione, dichiarandosi marxisti, quando proponevano di redistribuire il latifondo agrario, occhieggiavano più ai kolchoz e ai sovchoz sovietici – i primi cooperative solo apparentemente tali, essendo in realtà strumenti della pianificazione centralizzata, e i secondi vere e proprie aziende agricole statali – che non al “distributivismo”, approvato dalla “Rerum novarum” di Leone XIII e fatto proprio dal pensiero sociale di un grande cattolico quale Gilbert K. Chesterton (4).

Il “distributivismo” è la sola soluzione cristiana, anti-accentratrice, del problema della redistribuzione della ricchezza. Ma è soluzione che necessita, appunto, della mutazione del cuore quale autentica premessa della mutazione delle relazioni sociali. Gli strumenti autoritativi della politica, se disgiunti dalla Giustizia e dalla Carità, sono destinati al fallimento perché non tengono conto della ferita originaria inferta al cuore umano, distolto, a sua causa, dall’Amore all’egoismo auto-idolatrico. La soluzione marxista ha costituito storicamente la copertura di un assalto prometeico al Cielo, nel quale consiste l’essenza dura e pura del marxismo, che oggi, deposta la forma socialista, continua nella globalizzazione transumanista annunciata dal Great Reset.

Il “vescovo rosso” ed il tecnocrate

Gli eventi del 1989 hanno costretto la Teologia della Liberazione ad un aggiornamento. Il marxismo originario è stato integrato con l’ambientalismo e l’indigenismo o nativismo, in chiave “neopagana”. Non deve trarre in inganno la formazione francescana di Gutierrez e di Boff perché questo ecologismo nativista con la concezione cristiana della bontà e bellezza della creazione, come espressa da Francesco d’Assisi e dal migliore medioevo – si pensi a san Bonaventura da Bagnoregio o alla scuola teologica platonica di Chartes – non ha niente a che fare. L’indigenismo è, in sostanza, l’anima terzomondista del mondialismo laddove l’occidentalismo, volto all’unificazione finanziaria e tecnocratica dei mercati capitalistici per realizzare un unico mercato mondiale dominato dalle multinazionali, ne è l’anima primomondista. Qui, in questa dialettica, nascosta dietro l’apparente opposizione, si svela il mistero della empatica relazione tra Klaus Schwab e Helder Câmara. Solo non perdendo di vista la complementarietà dialettica tra le due anime del mondialismo è possibile comprendere la loro convergenza, da ultimo ratificata nel progetto del Great Reset.

Nel libro di memorie “The World Economic Forum: A Partner in Shaping History – The First 40 Years 1971-2010” Schwab ricorda che era Henry Kissinger a selezionare i relatori e gli ospiti per gli incontri d’affari dell’élite globalista riunita a Davos. Nel 1974 alla conferenza europea del gruppo, che è oggi il WEF, partecipò anche Dom Helder Câmara. In tale sede il vescovo latino-americano portò la critica della teologia della liberazione agli assetti di potere disegnati dall’élite mondiale, presentandosi come «il portavoce di quei due terzi dell’umanità che soffrono per l’ingiusta distribuzione delle risorse della natura». Questa denuncia ebbe un effetto dirompente, sostiene Schwab, sull’élite. Câmara era stato invitato a Davos nonostante fosse considerato persona non gradita a molti governi ed alle multinazionali. D’altro canto come poteva esserlo un vescovo che affermava «Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista». Una frase a forte impatto provocatorio che tuttavia con la santità, in senso mistico, non ha molto a che vedere.

Per capire l’ascendente di Helder Câmara sull’élite di Davos bisogna tener conto anche del concetto di “Capitalismo Integrativo” propugnato dalla componente Rothschild del WEF, ed in particolare dalla baronessa Lynn Forester, terza moglie di Sir Evelyn de Rothschild. In questo concetto è contenuto il programma di inclusione dei poveri e dell’ascolto del “grido della Madre Terra”, formule familiari al mondo oligarchico al quale appartiene questa ricca signora e che oggi sono diventate di dominio corrente. La baronessa Lynn Forester rappresenta un gruppo plutocratico che vuole dare al capitalismo un “volto umano”: un modo, alquanto ipocrita, di lavarsi la coscienza sporca per il godimento in via privilegiata di una accumulazione ipermiliardaria mentre il 90% della popolazione mondiale ha ricevuto qualche briciola della ricchezza prodotta. Un gruppo che teme le conseguenze di tale situazione sulla possibilità del mantenimento del proprio potere globale. In questo senso stringere rapporti con le componenti ecclesiali “progressiste” diventa indispensabile all’élite per garantirsi un valido alleato nel controllare i popoli e giungere, senza eccessivi ostacoli, al compimento definitivo della globalizzazione ovvero all’adempimento della promessa di pace e prosperità mondiali quale realizzazione del Nuovo Cristianesimo. Un “cristianesimo”, però, senza Cristo.

Nelle sue memorie Schwab ricorda come: «Dom Helder prevedeva che un giorno i paesi in via di sviluppo avrebbero potuto sfidare e scontrarsi con le principali potenze economiche. Ha criticato le multinazionali per aver mantenuto così tanta umanità in condizioni spaventose. Ha chiesto una maggiore responsabilità sociale e prosperità per tutte le persone». Dopo questo incontro, Schwab intraprese un viaggio in Brasile accompagnato da Câmara. Un viaggio che, a suo dire, fu “un momento cruciale” per la sua vita.

In una visita del 2013 in Brasile, all’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha elogiato Dom Helder Câmara affermando che egli ha segnato in modo indelebile il “cammino della Chiesa in Brasile” e nel 2015 ha dato la sua approvazione all’avvio del processo ufficiale di “beatificazione” del vescovo rosso. Tuttavia, l’impressione è che Helder Câmara, morto pacificamente nel suo letto, nonostante certe similitudini, sia molto diverso da Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo martire di San Salvador sulla cui tomba, contravvenendo al protocollo ufficiale, pretese di sostare in preghiera Giovanni Paolo II rivendicandolo alla Chiesa contro le false accuse di essere stato un teologo della liberazione. Anche Romero difendeva i campesinos dalla violenza dell’oligarchia terriera e delle multinazionali ma lo faceva con una formazione dottrinale profondamente tridentina, fino a pretendere da parte dei suoi sacerdoti la conservazione dell’uso della talare. Romero, a differenza di Helder Câmara, opponeva alla teologia della liberazione, nella quale vedeva una politicizzazione della fede che eliminava la soprannaturalità del Cristianesimo, la “teologia della salvazione integrale” senza per questo restare cieco e silenzioso sullo scempio che latifondisti, multinazionali e servizi segreti americani facevano della sua povera gente salvadoregna, ovvero del suo gregge cristiano (5). Il suo apostolato cristiano era fondato su un anti-liberismo assolutamente conforme al Magistero Sociale Cattolico. Quello di Câmara, al contrario, era troppo esposto a cedimenti al marxismo, benché rielaborato in salsa populista latinoamericana.

Dall’Integralismo al progressismo cattolico

Emerso accanto a Gutierrez e Boff, negli anni settanta, come esponente di spicco della teologia della liberazione, tuttavia Câmara aveva iniziato la sua carriera militando, dal 1934, nell’“Integralismo brasiliano” – ne fu addirittura segretario nazionale e membro del Consiglio Supremo –, un movimento cattolico tradizionalista, fondato dallo scrittore Plinio Salgado, caratterizzato da uno stile e da una ritualità politica ispirata ai coevi fascismi europei. I militanti dell’Integralismo brasiliano indossavano camicie verdi che richiamavano quelle di un altro movimento fascista dell’epoca ossia la rumena Legione dell’Arcangelo Michele fondata da Corneliu Zelea Codreanu. E come quello rumeno anche l’Integralismo brasiliano si caratterizzava per fortissimi accenti religiosi e mistici, tali da fare di essi fenomeni piuttosto religiosi che politici, o politici solo in subordine.

Con la sconfitta epocale dei fascismi, alla fine della guerra, nel 1946, Helder Câmara approdò al progressismo cattolico filomarxista quale assistente generale dell’Azione cattolica brasiliana che, in quegli anni, proclamava l’“importanza rivoluzionaria cruciale, teorica e pratica, del marxismo”, appoggiava la Rivoluzione Cubana di Castro ed auspicava la “socializzazione dei mezzi di produzione”. La storia delle idee politiche nel mondo ispanico ed ispano-americano è profondamente circolare. Sebbene ignoti ai più, tra il primo falangismo joseantoniano, il peronismo, il castrismo (lo studente, di buona famiglia, Fidel Castro fu educato da gesuiti di orientamento politico falangista) ed il guevarismo (Ernesto Che Guevara, anche lui di estrazione borghese, militò da giovane nell’ala sinistra del peronismo argentino) sussistono stretti rapporti ideali. Per questo non può destare meraviglia il passaggio di Câmara dall’Integralismo fascista al socialismo terzomondista. Ma bisogna capirne a fondo le dinamiche per non cadere in troppo facili equivoci intesi a mettere tutte le formule politiche anti-liberiste in un unico calderone, per condannarle insieme in blocco, accreditando come cattolicamente accettabile il loro comune nemico, il capitalismo liberale, secondo un cliché teo-conservatore oggi molto diffuso tra i cattolici anti-modernisti.

Plínio Salgado (1895-1975), il fondatore dell’Azione Integralista Brasiliana, fu scrittore e teologo, autore tra l’altro di una apprezzata “Vita di Gesù”. Salgado abbracciò la fede in Cristo a seguito della morte della moglie che lo spinse allo studio della teologia cattolico, approfondendo in particolare le opere dei pensatori cattolici brasiliani Raimundo de Farias Brito e Jackson de Figueiredo. Quel che sarebbe diventato un movimento politico nacque inizialmente come espressione di un percorso spirituale e letterario. L’integralismo non fu mai propriamente fascista. Pur essendo all’epoca il più grande movimento nazionalista di massa del Brasile, la sua impostazione dottrinaria, riconoscendo il primato dello Spirito sul Politico, lo annoverava piuttosto tra le formazioni politiche tradizionaliste. Ma, a differenza di quelle classiche a struttura e tendenza aristocratica, l’assunzione della politica di massa e la ricerca di una “terza via”, oltre il capitalismo ed il comunismo, sul modello immediato del fascismo italiano, ne faceva, analogamente alla prima falange joseantoniana in Spagna, un “tradizionalismo fascistizzato”, il cui riferimento spirituale ultimo, tuttavia, rimaneva sempre il Cattolicesimo. Socialmente interclassista, radicato tra i ceti medi e le classi lavoratrici, nonché multietnico, l’Integralismo rifiutò apertamente il razzismo. Salgado Dopo aver inizialmente appoggiato l’Estado Nôvo di Getúlio Vargasuna variante “opportunista” del fascismo finì per essere perseguitato dalla polizia del regime ed il suo partito sciolto.

Per il pensiero teologico-politico di Plinio Salgado l’obiettivo è la restaurazione dell’“uomo integrale”, da cui il nome di “integralismo”. Nell’opera “O Integralismo Perante a Nação” Salgado scrive: «Sopra la Politica vi è l’Uomo, e sopra di lui il Suo Creatore, verso cui dobbiamo dirigere i nostri passi in questo nostro breve soggiorno terreno». Respinte, perché monche, sia le teorie che considerano l’uomo soltanto come membro di una comunità politica, in sé autosufficiente, sia le teorie che considerano l’uomo come un mero agente economico, mosso esclusivamente dalla ricerca dell’utile, l’integralismo salgadiano, alla luce della tripartizione tradizionale spirito anima e corpo, si proponeva di restaurare l’Uomo Integrale contestualmente legato – secondo una gerarchia di sfere ontologiche che vede al primo posto lo Spirito – alla dimensione spirituale dell’Homo religiosus, alla dimensione della cultura e delle relazioni comunitarie dell’Homo politicus e alla dimensione dei bisogni materiali dell’Homo oeconomicus. Salgado rigettava sia l’individualismo sia il collettivismo con i sistemi da essi generati, capitalismo e comunismo, denunciandone il carattere “mutilo” e “unilaterale”. Ai due sistemi egemoni, generati dalla modernità anticristiana, Salgado contrapponeva il corporativismo cattolico, benché modulato su quello fascista, che avrebbe dovuto fondare una “democrazia organica” o un “organicismo democratico.

E’ evidente che, come nel caso rumeno del movimento di Cornelio Zelea Codreanu, anche per quello di Plinio Salgado siamo di fronte ad un fenomeno prima religioso che politico. L’apertura alla mistica, la volontà di ritorno alle radici tradizionali della fede cristiana, il riconosciuto primato della religione sulla politica rappresentano tutti elementi che distinguono, sul piano teologico-politico e filosofico, l’integralismo brasiliano dalla maggior parte dei fascismi europei. Affinità possono registrarsi solo, appunto, con la Guardia di Ferro di Codreanu che era più un movimento mistico e religioso cristiano che un movimento politico.

Resta, allora, da capire come sia stato possibile ad Helder Câmara transitare da una militanza sì politica ma atteggiata quasi come quella di un Ordine religioso alla militanza “socialista” sub specie della teologia della liberazione. Molto probabilmente lo scivolamento deve essere stato indotto da una chiusura “autocostruttivista” – non sappiamo quanto inavvertita – che ha portato Helder Câmara alla sopravvalutazione del momento politico e degli strumenti umani, senza alcun apporto di Grazia dall’Alto, sul momento mistico, forse fin quasi a negarlo, laddove invece la sfera mistica era, almeno nominalmente, prioritaria nella dottrina integralista. Da qui al passaggio ad un Cristianesimo esclusivamente o, almeno, prioritariamente “sociale” il passo deve essere stato breve.

Conclusione

Il percorso di Helder Câmara è esemplare della deriva verso l’“orizzontalismo” di molto cristianesimo contemporaneo. Una deriva alla quale, in una sorta di dialettica distruttiva della complessità della Verità e della realtà, molti oppongono un eccesso di “verticalismo”. La prospettiva giusta, veramente cattolica, è invece l’“et-et”. Verticalità ed orizzontalità, Trascendenza ed immanenza, si danno sempre insieme ed è un errore devastante – fu l’errore di Lutero, ad esempio – quello di separarle o opporle. Però va anche rispettato il giusto ordine per cui l’orizzontalità-immanenza è plasmata ed in-formata dalla Verticalità-Trascendenza. Quindi quando un cristiano opera in politica, nell’economia o nel sociale deve far discendere, in modo chiaro e netto, il suo pensiero ed il suo agire da Cristo. Il pericolo, nel quale troppi cadono, è un pensare ed operare, sul terreno politico-sociale, in modo generico, in modo meramente “umanitario”, annacquando lo specifico cristiano e finendo per confondere il proprio pensiero e linguaggio con la retorica politichese, aziendalista o sindacalese. Se il cristiano non si differenzia anteponendo l’essenziale, lo specifico cristiano, diventa soltanto una copia di chi, per professione, usa molto meglio di lui il linguaggio mondano della politica e dell’economia. D’altro canto, non si può affatto, come fanno taluni cristiani conservatori, limitare il discorso religioso allo spirituale, all’anima, disincarnandolo dalla storia, dal politico e dal sociale. Siamo cristiani ossia seguaci del Dio che si è, concretamente, incarnato, non siamo platonici che aborriamo la carne. E, tuttavia, non possiamo neanche dimenticare che è la carne a dipendere dallo Spirito, nel giusto ordine che santifica anche la carne. Il senso della Militia Christi – il senso alto della vita come paolina “militia super terram” che fu della Cristianità – sta tutto nell’“et-et”. Un equilibrio tradizionale dissoltosi nelle varie ideologie e forme di pensiero post-cristiano le quali, a ben vedere, altro non sono che verità cristiane parziali ed in quanto tali impazzite ovvero destinate a seccare come i tralci sradicati dalla Vite. Verità parziali che nelle loro totalizzante pretesa di essere il Tutto manifestano un carattere “ereticale”, atteso che “eresia” significa, letteralmente, “parte che si erge illegittimamente a tutto”.

Il Great Reset non è affatto una fissa da complottisti. Non lo è. Schwab ha scritto diversi libri per spiegare il piano mondialista dell’élite globale. Esistono documenti pubblici, come quello del “Gruppo dei Trenta” – un club di banchieri mondiali – del quale è membro insigne Mario Draghi, che illustrano con chiarezza il progetto di accentramento capitalistico, a discapito della piccola impresa e della democrazia sociale, che l’élite sta perseguendo, per mezzo della intelligenza artificiale, sull’onda della propaganda “green”. L’obiettivo maltusiano e transumanistico, con tanto di cyborgizzazione dell’uomo, non è nascosto ma proclamato dai tetti al posto del Vangelo. Per chi non ha voglia o pazienza di affrontare testi scritti, su youtube sono disponibili le conferenze del ministro del governo Draghi alla transizione ecologica, Roberto Cingolani, che spiegano i contorni della futura società distopica, verso la quale l’élite vuol indirizzare il mondo, sul presupposto che – parole di Cingolani – il pianeta è troppo popolato essendo stato “progettato” (sic!) per non più di tre miliardi di persone contro gli attuali sette. Insomma, è tutto palese. Nessun complotto.

Se i cristiani conservatori non hanno alcuna possibilità se non quella di diventare subalterni alle strategie politico-economiche neoconservatrici, i conti dei cristiani progressisti non tornano proprio perché essi, inevitabilmente, finiscono per cadere nella soluzione/tentazione di surrogare la fede con il “Nuovo Cristianesimo” in versione 4.0. La messinscena a base di economia inclusiva, lotta alla fame ed alla povertà e di rispetto del creato, che tanto attira il progressismo cristiano, in realtà è un utile strumento per il WEF onde attirare nel progetto globalista anche le masse cristiane che, per la loro fede, dovrebbero essere immediatamente reattive verso una proposta chiaramente volta a sedurle, come nel “Racconto dell’Anticristo” del Solov’ëv. La gerarchia attuale, così facilmente propensa all’accreditamento di certe strategie globali, non sembra comprendere che organizzazioni come il WEF rappresentano l’espressione storica attuale di ciò che tradizionalmente, dai tempi degli apostoli Paolo e Giovanni, è stato di volta in volta indicato come “colui che si oppone”, “figlio della perdizione che vuol assidersi nel Tempio”, “Ingannatore”.

Luigi Copertino

 

NOTE

  1. K. Schwab, “La Quarta Rivoluzione Industriale”, con prefazione di John Elkann (ultimo rampollo della famiglia Agnelli), Franco Angeli, 2016.
  2. F. W. Engdahl “La sinistra convergenza del Grande Reset di Klaus Schwab con il Vaticano e la teologia della liberazione”, sul sito http://www.williamengdahl.com/englishNEO24Dec2021.php
  3. La “teologia della liberazione”, nelle opere dei suoi massimi esponenti Gustavo Gutierrez e Leonardo Boff, entrambi dell’ordine dei frati predicatori – dopo che già Papa Paolo VI sentì il dovere di intervenire nel 1976 con la “Evangelii nuntiandi” per correggerne le deviazioni – è stata condannata, su volontà di Giovanni Paolo II, dalla Congregazione per la dottrina della fede, presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger, (Istruzioni “Libertatis Nuntius” del 1984 e “Libertatis Conscientia” del 1986), ratificando la presa di posizione dell’episcopato latino-americano a Puebla (Messico) nel 1979. La motivazione del rifiuto papale di accreditare la teologia della liberazione – e qui si richiede l’attenzione massima da parte del lettore! – non sta nella denuncia delle gravi ingiustizie sociali presenti nel continente latino-americano ma nell’applicazione, in sede di spiegazione ed interpretazione di tali iniquità, dell’analisi marxista – dunque non una analisi genericamente “socialista” ma precipuamente marxista – che in tal modo i teologi della liberazione avrebbero voluto far entrare nella teologia in luogo della lettura ed interpretazione del problema sociale alla luce della Dottrina di Cristo, quindi alla Luce della Carità e della metanoia del cuore. La teologia di Gutierrez e Boff, surrogando il Vangelo con il marxismo, nega la Trascendenza per un progetto politico-sociale di autocostruzione umana. Il respingimento da parte di Roma della teologia della liberazione fu, pertanto, sacrosanto, non una operazione di repressione “reazionaria” come sostiene la pubblicistica progressista. Leonardo Boff, infatti, dichiarava esplicitamente: «Quello che proponiamo è il marxismo, il materialismo storico, in teologia» ed è evidente che qui siamo al di fuori del solco della fede e della Chiesa. Il teologo sudamericano, dopo un confronto serrato con Roma durato fino al processo ecclesiastico, sarebbe uscito, nel 1992, dall’ordine francescano per attestarsi oggi, da laico e coniugato, su posizioni di ambientalismo terzomondista in una prospettiva di mondialismo “neopagano” ed “arcobaleno”. La teologia della liberazione, d’altro canto, non ha rappresentato una novità nella storia delle eterodossie cristiane. Teologie intese ad “umanizzare” Cristo fino a farne il “primo rivoluzionario” o il “primo socialista” appaiono già tra gli eterodossi di sinistra nel XIX secolo. Un riduzionismo di sinistra che sin dal suo apparire trovò il suo polo dialettico in un analogo riduzionismo di destra, quello dei conservatori atei e nazionalisti eterodossi, alla Ernest Renan ed alla Charles Maurras – antesignani degli attuali “atei devoti” fiancheggiatori del teo-conservatorismo a marca statunitense – i quali vedevano nella Chiesa soltanto il puntello teologico-istituzionale dell’Ordine sociale.
  4. La cosiddetta “destinazione universale dei beni” è un insegnamento tradizionale della Chiesa, anche in epoche antiche e anche in periodo preconciliare. In questo senso tra un Leone XIII, un Pio XI, un Pio XII ed i Papi postconciliari non ci sono differenze se non quelle dello stile linguistico che risente dei tempi diversi. Quando, nel novembre 2020, Papa Francesco ha dichiarato: « la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto e inamovibile» egli altro non ha fatto che riecheggiare Leone XIII che, nella “Rerum Novarum”, afferma al numero 7 «L’aver poi Iddio dato la terra a uso e godimento di tutto il genere umano, non si oppone per nulla al diritto della privata proprietà (…). La terra, per altro, sebbene divisa tra i privati, resta nondimeno a servizio e beneficio di tutti, non essendovi uomo al mondo che non riceva alimento da essi». Quando, nell’ottobre 2020, il Papa nell’enciclica “Fratelli Tutti” scriveva: «Il diritto alla proprietà privata è sempre accompagnato dal principio primario e prioritario della subordinazione di ogni proprietà privata alla destinazione universale dei beni della terra …» altro non ha fatto che riecheggiare Pio XI il quale, nella “Quadragesimo Anno”, afferma ai numeri 45 e 46 «In primo luogo, si ha da ritenere per certo, che né Leone XIII né i teologi che insegnarono sotto la guida e il vigile magistero della Chiesa, negarono mai o misero in dubbio la doppia specie di proprietà, detta individuale e sociale, secondo che riguarda gli individui o spetta al bene comune; ma hanno sempre unanimemente affermato che il diritto del dominio privato viene largito agli uomini dalla natura, cioè dal Creatore stesso, sia perché gli individui possano provvedere a sé e alla famiglia, sia perché, grazie a tale istituto, i beni del Creatore, essendo destinati a tutta l’umana famiglia, servano veramente a questo fino; (…). Pertanto occorre guardarsi diligentemente dall’urtare contro un doppio scoglio. Giacché, come negando o affievolendo il carattere sociale e pubblico del diritto di proprietà si cade e si rasenta il cosiddetto “individualismo”, così respingendo e attenuando il carattere privato e individuale del medesimo diritto, necessariamente si precipita nel “collettivismo” …». La Tradizione cristiana, in materia sociale, con il suo insegnamento “distributivista”, non è affatto consensuale con la prospettiva di espropriazione universale contemplata dal Great Reset di Klaus Schwab. Non bisogna dimenticare che “Colui che si oppone”, ovvero colui che si pone davanti come ostacolo e che quindi è in una frontale posizione di opposizione, appunto “anti”, utilizza da sempre un linguaggio simile a quello cristiano ma senza la Grazia che sostiene pensiero ed agire cristiano. Per questo la Tradizione lo definisce “Simia Dei”, “Scimmia di Dio”, e l’arte cristiana lo ha raffigurato al modo di Luca Signorelli nell’affresco “La predica dell’Anticristo”, nella cappella di san Brizio del duomo di Orvieto, ossia come un deforme imitatore di Cristo e, quindi, come un Ingannatore dietro parvenze apparentemente “cristiche”. Tenendo conto di questo, la similitudine che molti conservatori di destra credono di rinvenire tra il magistero sociale cattolico, radicato nella Tradizione, ed il pensiero di Schwab, è solo apparente.
  5. Cfr. Roberto Morozzo della Rocca, “Oscar Romero. La biografia”, San Paolo, Milano, 2015. Tra le eterodossie latino-americane non c’è solo la teologia della liberazione. Ve ne sono anche diverse politicamente conservatrici, di destra. In America Latina, infatti, esistono gruppi conservatori “cattolici” che, mentre mostrano un atteggiamento di difesa della Tradizione, operano per la conservazione dell’ordine sociale terriero unitamente alla diffusione delle strategie di modernizzazione neoliberista. Il principale di questi ambigui gruppi, appoggiati dalla Cia e dalla New Right americana, è la TFP (Tradizione Famiglia Proprietà) che rivendica la sottomissione dei campesinos e degli operai in nome dell’intangibilità del latifondo terriero e dell’organizzazione autoritaria dell’impresa capitalistica quali baluardi della gerarchia sociale “naturale”. Nella distorta concezione di questi conservatori, che usano anche camuffarsi con paludamenti da crociati – “Crociato del XX secolo” è non a caso il titolo di un’opera dedicata da Roberto De Mattei al fondatore di tale gruppo, Plinio Corrêa de Oliveira –, la Tradizione e l’unità della famiglia sarebbero funzionali alla tutela del latifondo e del grande capitale. Siamo, come è evidente, anche in tal caso di fronte ad una deviazione eterodossa. Il conservatorismo latifondiario della TFP, che altro non è che una sorta di pseudo-cattolicesimo fondamentalista, è stato bollato – anche per i suoi equivoci risvolti “esoterici” ed idolatrici verso la figura della madre del fondatore – dalla 23sima assemblea plenaria dei Vescovi brasiliani, come riportato da “L’Osservatore Romano” del 07.07.1985. Un respingimento è arrivato perfino da un vescovo lefrebviano, già collaboratore della TFP, monsignor de Castro Mayer, il quale se ne allontanò, dopo averne scoperto le ambiguità spirituali, definendo questo gruppo una “setta eretica”.