Accoglienza migranti. 640anni di carcere a clan Arena. Gestiva Cara calabrese

Flussi migratori e criminalità organizzata. Ecco come i clan “mangiano” dalla gestione migranti. Il caso esemplare dell’hub Sant’Anna di Crotone.

di Antonio Amorosi

 

Diamo da mangiare ai poveri migranti! 

Si sono sprecati per mesi i servizi giornalisti e tv sul Cara calabrese considerato il più grande centro d’accoglienza per migranti d’Europa, l’hub Sant’Anna di Crotone.

Oggi, dalle cronache nazionali, è sparita ogni traccia. 

Una sentenza di queste ore del Tribunale Ordinario di Catanzaro, Sezione Gip/Gup, racconta come il centro procurasse grandi introiti al clan di ‘ndrangheta Arena. Il giudice di Catanzaro Carmela Tedesco ha inflitto un ammontare di 640 anni di carcere agli imputati per i quali il pm antimafia Domenico Guarascio aveva chiesto quasi un millennio di pene. La cosca Arena, in un decennio, si sarebbe impossessata di 36 milioni di euro sui 105 stanziati dallo Stato. Guadagni ottenuti soprattutto dal servizio catering.

I 640 anni di carcere riguardano i soggetti che hanno chiesto il rito abbreviato nel processo scaturito dall’operazione interforze Jonny, che ha scavato negli anni per capire il funzionamento del business. Nella sentenza compaiono i nomi di spicco del clan che dovranno scontare pene da un minimo di 2 anni agli oltre 20 anni ma anche Leonardo Sacco, l’ex governatore della Misericordia di Isola e vice di quella nazionale (che si è costituita parte civile contro i processati). Considerato l’enfant prodige locale, Sacco, per il quale il pm ha chiesto 20 anni di carcere, si è visto infliggere dal giudice 17 anni di carcere. Sacco è stato condannato anche per associazione mafiosa, ma è stato assolto per dodici capi d’imputazione relativi a ipotesi di malversazione e frode in forniture pubbliche.

Sacco, tra le altre cose, dovrà risarcire per danni, da quantificare successivamente, la Misericordia nazionale e quella interregionale di Calabria e Basilicata. Oggi è detenuto al carcere duro dentro Rebibbia, poiché è ritenuto il tassello che teneva i rapporti con le istituzioni e che ha permesso alla cosca di accedere ai fondi pubblici.

Tra i soggetti coinvolti nell’inchiesta anche l’ex parroco della chiesa di Maria Assunta di Isola Capo Rizzuto Edoardo Scordio che però ha scelto di essere processato con il rito ordinario, insieme ad altri 37 soggetti.

 

Il meccanismo funzionava pressappoco così. La cosca Arena riusciva tramite Sacco e Misericordia ad aggiudicarsi gli appalti indetti dalla prefettura di Crotone per le forniture dei servizi di ristorazione al centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto e di Lampedusa. Gli appalti andavano poi in affidamento a imprese appositamente costruite dagli Arena e da altre famiglie di ‘ndrangheta che gestivano il catering e la mensa. Il grosso degli introiti si muoveva lì. Un cibo di qualità!

All’esplosione del caso è stato proprio il capo della procura di Catanzaro Nicola Gratteri a parlarne: “Indagando sulla famiglia Arena siamo arrivati all’interno del Cara di Isola Capo Rizzuto. All’interno sono successe cose veramente tristi: un giorno sono arrivati 250 pasti per 500 migranti. Ebbene 250 persone hanno mangiato il giorno dopo. Non solo era poco, ma solitamente era un cibo che si dà ai maiali. Questi si arricchiscono sulle spalle dei migranti. Questa è un’indagine che abbraccia quasi 10 anni di malaffare all’interno del Cara gestito in modo mafioso dalla famiglia Arena”. “Il Centro di accoglienza e la Misericordia sono il bancomat della ‘ndrangheta”, aveva spiegato senza tanti giri di parole il generale Giuseppe Governale, comandante del Ros dei carabinieri, secondo il quale la cosca Arena aveva scelto i suoi uomini: “E tra questi ci sono Sacco e il prete Scordio”.

La condanna più alta alla fine è stata inflitta a Pasquale Arena, 20 anni e 2 mesi, ma non sono da meno quelle a 20 anni per ognuno impartite ai cugini Antonio e Ferdinando Poerio, titolari della società di catering Quadrifoglio, che offriva il suo servizio al Cara, mentre a Giuseppe Arena e a Paolo Lentini sono stati inflitti 16 anni e 4 mesi ciascuno.

 

Un rete criminale diffusa che ricadeva su tutto l’indotto locale.

Infatti, come ha più volte raccontato il cronista de Il Quotidiano del Sud Antonio Anastasi, la cosca sarebbe stata diretta, nella fase focalizzata dall’inchiesta, da Paolo Lentini, che gestiva la raccolta delle estorsioni agli imprenditori, specie quelli turistici, incamerava i proventi illeciti e li distribuiva ai rappresentanti delle varie famiglie che compongono la galassia della ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto.

La cosca aveva un ruolo così imponente da risultare anche dominante nel settore scommesse con due  imprese che avevano monopolizzato il settore anche se il business più importante era i migranti.

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