La lunga, strana (e scomoda…) storia del “fascio-comunismo”

Anche se silenziate, le frequenti “convergenze parallele” tra destra radicale e estrema sinistra, in genere contrapposte, pongono una serie di domande che scardinano certezze e schematismi ideologici

Fabio Andriola – set 6

Buongiorno, questa è la puntata #26 di È la Storia Bellezza, la newsletter settimanale che parla di Storia prendendo spunto dalla cronaca. L’argomento che ho scelto è sicuramente curioso ma, credo, anche perfettamente in linea con quella che è l’ispirazione di fondo che mi ha mosso e cioè raccontare la Storia secondo una visuale che ne esalti paradossi, contraddizioni (anche apparenti) e lati nascosti. Questa volta lo spunto arriva dalla copertina del secondo Speciale di Storia In Rete da pochi giorni in edicola: due uomini – in camicia nera l’uno, in camicia rossa l’altro – che sono appoggiati di schiena, senza apparente ostilità. E’ l’immagine che l’AI mi ha suggerito per rappresentare simbolicamente il fenomeno del “fascio-comunismo” (o, come si legge sulla copertina “Fascio&Martello”) cioè quell’eresia ricorrente che, da oltre un secolo, in varie parti del mondo, ha portato “fascisti” e “social comunisti” , abitualmente portati a scontrarsi duramente, a sfiorarsi, a collaborare, a volte a fondersi. E’ un paradosso storico che si è ripetuto così tante volte che vale la pena fermarsi un attimo a riflettere sul perché di questo fenomeno che, per il fatto solo di esistere, scardina molti schemi ideologici ancora in auge.

Ricordo che i vostri commenti saranno importantissimi così come lo sarà il vostro aiuto a far conoscere questa newsletter che cerca di essere diversa da tutte le altre. In basso, come sempre, trovate i bottoni per fare entrambe le cose. Per chi ha un minuto di tempo c’è anche un breve questionario che mi sarà utile per migliorare questa newsletter.

Buona lettura e appuntamento a sabato 13 settembre. Ciao

Il vecchio detto secondo il quale “gli opposti si attraggono” ha una applicazione pratica in campo ideologico, storico e politico di cui si parla poco. Non mi riferisco tanto agli incontri – al posto dei più scontati e frequenti scontri – di una generica “destra” con una non meno generica “sinistra”. L’attenzione è qui per un fenomeno più circoscritto ma ancora più paradossale, radicale e sconcertante che, come vedremo, è globale e si allunga, in mille forme, dai primi del Novecento ad oggi. E’ il cosiddetto “fascio-comunismo”, espressione con quale si definiscono i rapporti non solo di contiguità ma di vera e propria osmosi che si sono registrati, in entrambe le direzioni tra movimenti fascisti e organizzazioni social-comuniste. Cortocircuiti storici, ideologici ed esistenziali che potrebbero essere derubricati nella categoria delle “curiosità storiche” se non fossero così tanti e così ben distribuiti nel tempo e nello spazio al punto, forse, da suggerire la possibilità di poter definire una “teoria generale”. Di sicuro, ad ogni modo, le “convergenze parallele” tra estrema destra ed estrema sinistra pongono una serie di questioni destinate a scardinare molte certezze e molti schematismi ideologici. Che infatti non aiutano a capire le comuni radici anti capitaliste e anti liberali di movimenti che, per altri versi, appaiono antagonisti tra loro.

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A questi temi è dedicato il nuovo numero degli “Speciali di Storia In Rete” in edicola da qualche giorno (116 pagine, € 11,90, dal 26 settembre disponibile in digitale anche sulla nostra Libreria di Storia e su Amazon). Al “fascio-comunismo” abbiamo dedicato il dossier centrale del fascicolo e cioè oltre 70 pagine che sarebbero però potute essere molte di più. La vastità del fenomeno, non molto considerate a destra e visto con “gran fastidio” a sinistra è resa da una bella intervista a Michele Rallo, una firma storica di Storia In Rete e da moltissimi anni studioso dei fascismi in tutto il mondo. In una dettagliata carrellata lungo il mappamondo, Rallo ha raccontato ad Emanuele Mastrangelo, il manifestarsi di questi “incroci scandalosi” in Europa (praticamente ovunque: Italia, Francia, Germania ma anche dal Belgio all’Inghilterra, dalla Romania al Portogallo, dalla Norvegia all’Ungheria), in America del Nord e in quella del Sud (Bolivia, l’Argentina del peronismo, il Brasile…), in Asia (Giappone, Cina e India…) e in nord Africa. Un fenomeno con radici lontane, spiega Rallo: «Subito dopo la Prima guerra mondiale il rimescolamento delle vecchie carte di “destra” e “sinistra” si fa strada prepotentemente, fino a sfociare nella formula politica che viene poi battezzata “fascismo”. Ma certe commistioni erano presenti sulla scena europea anche prima, almeno dalla fine dell’Ottocento. La costante di tali fenomeni era sempre la stessa: la confluenza di ideali patriottici e nazionalisti (quindi “di destra”) con istanze popolari e socialiste (quindi “di sinistra”). Si potrebbe partire – come minimo – dal francese Edouard Drumont, che fra l’altro coniò nel lontano 1892 il termine “nazionalsocialismo”. E dal suo contemporaneo Maurice Barrès, secondo il quale “il nazionalismo genera necessariamente il socialismo”…».

In poche battute Rallo ha spiegato tutto: semplicemente, “fascismi” e “social-comunismi” possono incontrarsi – e si sono incontrati più volte nel corso della Storia – perché, al di là dei tatticismi o delle contingenze, hanno alcune radici in comune. E questo implica, ovviamente, che è davvero difficile inserire, sic et simpliciter, ogni fenomeno “fascista” nella categoria politica della “Destra”. Almeno, non senza accompagnare l’attribuzione con una marea di distinguo e osservazioni tali da complicare in ogni caso una classificazione chiara e indiscutibile. Operazioni che non piacciono molto a chi ama affrontare il Passato non sulla base dei fatti concreti ma seguendo un rigido schema ideologico. Qualcuno forse ricorda gli strali che investirono Renzo De Felice quando, ed erano gli ormai lontani anni ’60, accennò alle «radici giacobine del Fascismo». Un dato del resto facilmente riscontrabile in molte esperienze: nel fascicolo in edicola c’è ad esempio un interessante intervento di Pietro Romano sull’esperienza francese, forse la più articolata di tutte visto il gran numero di partiti e movimenti, leader, sindacalisti e intellettuali coinvolti in avventure politiche, personali e collettive, nel corso di decenni. Senza contare, lo scandaloso caso del “collaborazionismo filo-nazista” del Partito comunista francese nel periodo settembre 1939-giugno 1941 durante il quale i comunisti francesi operarono di fatto a favore dell’invasore tedesco in ossequio al patto germano-sovietico Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939: «Pochi giorni dopo l’arrivo dei tedeschi a Parigi – scrive Romano – tornarono nella capitale anche diversi dirigenti comunisti riparati in precedenza a Bruxelles, già occupata dai germanici. In testa il nuovo segretario Jacques Duclos. Tramite l’ambasciata sovietica presero contatti con l’occupante, ottenendo il permesso di pubblicare il quotidiano del partito, L’Humanité, vedendo liberare i militanti imprigionati e tornare ai propri posti i dirigenti e in libertà gli esponenti comunisti “vittime della repressione per aver difeso il patto germano-sovietico”. Una entente cordiale che per il Pcf finirà il 22 giugno del 1941 con l’inizio dell’operazione ‘Barbarossa’ – cioè l’attacco della Germania nazista all’Unione Sovietica – ma non finirà per numerosi (ex?) comunisti – e socialisti – anche di primo piano rimasti al fianco dei tedeschi».

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Quindi in Francia ci sono stati casi sia di reali convergenze politiche come casi di opportunismo contingente. Un mix che ritroviamo anche altrove, ad esempio in Germania (ne ho già parlato in una precedente newsletter) ma anche in Russia dove ci fu l’esperienza del Partito fascista russo, guidato da Konstantin Rodzaevskij che chiuse la propria parabola politica con una tardiva conversion allo stalinismo che gli evitò però la condanna a morte.

C’è poi l’Italia ovviamente. E’ da noi che il Fascismo si è formato ed affermato fornendo così un modello con cui tutti si son dovuti confrontare. Prima di fare una veloce carrellata su passaggi di campo e convergenze va fatta però una precisazione di carattere generale, valida sia per l’Italia che per i casi esteri: l’opportunismo non è per forza l’attore principale di queste vicende. Può esserci stato anche del calcolo ovviamente ma quelli che vanno sottolineati sono i percorsi politici e intellettuali, spesso scomodi, quasi sempre travagliati, vissuti da moltissime persone convinte di seguire sempre la stessa ispirazione. Al di là del momento storico o della scelta dello “strumento politico” più comodo (in quanto “dominante” ma non per questo immune da contaminazioni e influenze diverse). Per restare al caso italiano, ricordiamo ad esempio le parole dello storico tedesco Ernst Nolte secondo il quale se Hitler aveva dato vita ad «un movimento radicalizzato di destra» che aveva assorbito «taluni tratti della sinistra, facendoli suoi», viceversa il Fascismo di Mussolini è stato «una sintesi riuscita di sinistra e destra».

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Questa “sintesi”, nel Fascismo italiano è ben visibile fin dalle origini: a cominciare ovviamente dallo stesso Mussolini, buona parte della classe dirigente fascista veniva dalla sinistra socialista, dall’anarchismo, dal sindacalismo rivoluzionario, dal partito repubblicano di ispirazione mazziniana. E va ricordato anche che la fusione tra Partito fascista e Nazionalismo (questo sì riferibile alla Destra) avvenne mesi dopo la Marcia su Roma, quando il Fascismo era già al governo e dopo che le camicie nere avevano accantonato la “pregiudiziale repubblicana”. Tutto questo, in estrema sintesi, conferma la tesi di De Felice sulle origini del Fascismo, fenomeno più vicino alla sinistra che alla destra classica, conservatrice e liberale. Avendo ben chiari questi presupposti si può capire come siano stati possibili tanti episodi che gli schematismi ideologici dominanti faticano ad accettare anche perché li portano dritti dritti verso forme radicali di dissonanza cognitiva.

Prendiamo lo squadrismo fascistaCurzio Malaparte, ex squadrista, nel suo celebre libro Tecnica del Colpo di Stato (1931) scrive che «Non bisogna dimenticare che le camicie nere provengono in generale dai partiti di estrema sinistra, quando non sono veterani della guerra, dal cuore indurito da quattro anni di linea, oppure giovani dagli slanci generosi». E un altro esponente di spicco del primo Fascismo, il “revisionista” Massimo Rocca dirà: «io stesso ho riconosciuto, fra gli squadristi più intemperanti del 1924, dei comunisti che randellavano nel 1919». Dalla metà del 1921, del resto, a convergere nel Fascismo non erano stati però solo gli “aspiranti squadristi” ma anche sindacalisti, intere cooperative rosse, giornalisti. Un fenomeno sempre più evidente man mano che il movimento di Mussolini prendeva piede fino ad arrivare al governo. Tutti desiderosi di correre in aiuto del vincitore? Sicuramente, in molti casi. Ma c’è anche un altro fattore che la vocazione autoflagellante degli italiani tende a non considerare per nulla: e cioè il fatto che, come ormai si è capito, da una parte e dall’altra c’erano spesso non solo letture ed esperienze comuni ma anche amici ed ex compagni di lotta con i quali non era impossibile riaprire il dialogo. Ma a noi piace troppo battere sempre sul tasto dell’italiano alla Sordi, voltagabbana e opportunista…

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La corsa verso la tessera del Partito fascista, ben prima che divenisse decisiva per fare carriera, vide la attiva partecipazione di ogni settore della società del primo dopoguerra. Si arrivò così ad una vera e propria alterazione antropologica dei “fascisti” al punto che un’ipotetica antologia dei malumori, delle proteste, delle scissioni da parte della “vecchia guardia” – squadrista e no – avrebbe proporzioni ciclopiche. Ma quel corpaccione che era già diventato il Partito fascista assorbì ogni cosa e le ricorrenti revisioni degli iscritti e blocchi alle nuove iscrizioni servirono da contentino per i più agguerriti custodi della “verginità” originaria, quasi sempre destinati alla marginalità. Del resto, Mussolini per primo guardava altrove: ci sono vari riscontri che tra il 1923 e la primavera 1924 progettasse di coinvolgere vari ex compagni socialisti (inclusi alcuni fuoriusciti come Alceste De Ambris) nel governo e, come è noto e ben documentato anche da De Felice, il Delitto Matteotti (10 giugno 1924) bloccò quel processo. Ma non lo impedì per sempre: ad esempio, recentemente, il professor Antonio Alosco ha pubblicato un interessante saggio (La Confederazione generale del lavoro (CGL) dalla lotta di classe al corporativismo, D’Amico Editore) che documenta il rapporto di sostanziale collaborazione offerto dal leader del sindacato socialista, Rinaldo Rigola al Regime grazie ai “fili” che legavano i sindacalisti ai corporativisti in camicia nera.

Certi fenomeni si moltiplicarono a più livelli tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli Trenta: iniziavano gli anni del Consenso per il Regime che appariva ormai solido anche a chi lo aveva osteggiato inizialmente. Da qui la scelta di sperimentare nuove strade per la convivenza. Sono gli anni che vedono, tra i tanti, l’avvicinamento al Fascismo di un personaggio come Nicola Bombacci, già tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia nel 1921. Parallelamente, con lo strutturarsi delle organizzazioni universitarie fasciste, i GUF (Gruppi Universitari Fascisti) prendeva il via la stagione dei Littoriali, “gare culturali” tra studenti delle varie università chiamati a cimentarsi in vari campi e discipline, letterarie e artistiche. Buona parte della cultura italiana del secondo Novecento è passata da quella esperienza per poi approdare – magari dopo un più o meno lungo pit stop presso qualche rivista diretta da Giuseppe Bottai – all’antifascismo. Negli anni Sessanta, un loro ex camerata che non aveva fatto lo stesso percorso – tanto è vero che si era ritrovato deputato del Msi – Nino Tripodi, si divertì a ricordar loro i passati trionfi in camicia nera in Italia fascista in piediMemorie di un littore (Il Borghese, 1960) un libro che andrebbe riletto e che ebbe molto successo all’epoca visto che ebbe 10 edizioni in 15 anni. C’è un lungo elenco di politici (molti i democristiani, a cominciare da Moro e Fanfani), intellettuali e artisti (per lo più finiti a sinistra) che lascia stupiti e che dice molto di quale fosse il clima di consenso negli anni Trenta e quanto quel clima ha creato, nei decenni successivi, i presupposti per imbarazzi più che motivati.

Poco dopo la vittoriosa conclusione dell’Impresa d’Etiopia (maggio 1936), probabilmente il punto più alto del consenso al Regime fascista, arrivò da Parigi una sorprendente “apertura” da parte dei vertici del Partito comunista italiano: a prima firma del leader del partito, Palmiro Togliatti, il gruppo dirigente del Pci “tendeva la mano” ai “fratelli in camicia nera” in nome della conciliazione nazionale e del recupero dei punti del programma di fondazione dei Fasci di combattimento del 23 marzo 1919. Un appello che cadde nel vuoto e che sicuramente faceva parte di una strategia “entrista” decisa con Mosca e Stalin vista la stretta obbedienza di Togliatti al leader sovietico. Del resto un’analoga iniziativa era stata presa anche dai comunisti francesi poco prima quando il segretario del Pcf, Maurice Thorez, altro staliniano di ferro, si era rivolto con toni molto simili a quelli usati poi da Togliatti, per stendere un ponte alle destre d’oltralpe. Ecco quindi che certi fenomeni vanno spiegati e contestualizzati in un ambito più grande come, nel nostro caso, nei rapporti tutt’altro che lineari e pregiudizialmente negativi che intercorsero tra Italia fascista e Urss fino alla Seconda guerra mondiale.

Una indicazione di quello che forse è ancora sepolto nei meandri della storia e della diplomazia parallela di quegli anni lo fornì, anni fa, il giornalista e storico Franco Bandini il quale osservò – in riferimento alle conseguenze del patto Urss-Terzo Reich dell’agosto 1939 sugli atteggiamenti dei comunisti europei e dei loro avversari nel resto d’Europa: «Questa pagina segreta della collaborazione tra dittatori fa ovviamente a pugni con l’imbalsamato cliché di una Resistenza comunista sempre e comunque antifascista (…) chiediamoci a quali compromissioni anche personali questa collaborazione necessariamente dovette portare. Non c’è dubbio che furono molto profonde, come potrebbe provare un fatto al quale nessuno ha mai posto mente, il rarefarsi delle condanne del nostro Tribunale speciale a carico dei comunisti nel periodo della collaborazione. Sono 236 nel primo semestre 1939, e poi scendono di colpo a 75 in quello successivo, a 110 nel primo semestre del 1940, a 57 nel secondo, a 21 nel primo del 1941». Poi, nel giugno 1941 Hitler attacca l’Urss e le cose cambiano di nuovo…

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Lo scoppio della guerra civile italiana nell’autunno 1943 ha portato ad ulteriori rivolgimenti con vari ex antifascisti che decidono di schierarsi con la Repubblica di Mussolini per vari motivi. La storia di quei mesi è fatta di numerosi cambi di campo ma anche di fantasiosi e improbabili progetti di governo di unità nazionale, di “ponti”, di accordi contingenti in funzione anti tedesca o anti titina. Canali insospettabili si aprono e restano attivi anche a ridosso della tempesta del 25 aprile 1945. Tanto è vero che già nel primissimo dopoguerra i contatti tra i leader dell’antifascismo e quello che resta della dirigenza fascista portano ad accordi come quello che mira a spingere gli ex repubblichini a votare in massa per la Repubblica al referendum istituzionale del 2 giugno 1946. Una premessa necessaria ma spesso trascurata alla famosa Amnistia Togliatti, guarda caso di fine giugno 1946, che rimette in libertà molti fascisti in galera (e in sicurezza anche vari partigiani, rei di gravi reati…). Quello il clima nel quale maturano operazioni come il tentativo del Pci di “arruolare” molti ex fascisti. Questo mentre – come racconta il professor Paolo Simoncelli in un importante e documentato intervento nel dossier in edicola – il mondo della cultura (dall’arte all’università, dal giornalismo alla letteratura e all’editoria) già si stava muovendo “autonomamente” in quel senso.

Cronaca e Storia di quegli anni raccontano di un flusso principale soprattutto in un senso, cioè da destra verso sinistra, ma ci sono anche casi opposti. Ad alto livello (vedi il caso del filosofo marxista Armando Plebe che finisce nel Msi) ma anche giovanile dove le convergenze sono state numerose e anche pittoresche (pensiamo solo al fenomeno sessantottino dei “nazi maoisti”). Quella più emblematica risale al primo marzo 1968 quando a Valle Giulia, a Roma, gli studenti che affrontano la polizia sono di entrambi gli schieramenti. Una unione che finirà presto dopo altri scontri, questa volta fascisti contro comunisti, nella città universitaria, scontri – si è detto – voluti e favoriti dall’alto per evitare che certe commistioni si radicassero troppo.

Fu l’inizio – “aiutato” dal contemporaneo esplodere (in tutti i sensi…) della “strategia della tensione” – di quelli che chiamiamo “Anni di piombo” o degli “opposti estremismi”. Anni drammatici, sanguinosi, che hanno lasciato ferite e polemiche ancora aperte ma che, paradossalmente, hanno aiutato a creare inedite sintesi nelle carceri dove sono finiti a decine e centinaia giovani di vario orientamento. In prigione si son create anche sorprendenti amicizie, si è dialogato come non si faceva fuori, ci si è scambiati libri e idee. E si sono stemperate le ostilità in nome, come sempre, di una comune critica anti sistema e anti capitalistica, quella sì dura a morire. E che, a ben vedere, è l’origine principale di qualunque forma di “fascio-comunismo”, da oltre un secolo a questa parte.


Una frase

«Il momento adatto per influenzare il carattere di un bambino è all’incirca cento anni prima della sua nascita».

William Ralph Inge, scrittore inglese (1860 – 1954)


Cose interessanti e/o curiose trovate in giro

  • Novità in libreria: il sito Thriller storici e dintorni ha pubblicato la consueta rassegna quindicinale delle nuove pubblicazioni – saggi e romanzi storici – disponibili dalla prima metà di settembre.
  • Riparazioni senza scadenza: il neo presidente polacco, Karol Nawrocki nell’ 86° anniversario dell’invasione tedesca della Polonia (primo settembre 1939) ha rilanciato la richiesta di risarcimenti per le perdite umane e materiali sofferte dalla Polonia a causa dell’occupazione nazista«La Germania non ha mai pienamente affrontato le sue responsabilità storiche nei confronti della Polonia», ha detto Nawrocki, esortando Berlino ad “azioni concrete” e ricordando che la Polonia ha diritto a riparazioni per oltre 1.200 miliardi di euro.
  • Guerre culturali: Il segretario dello Smithsonian, Lonnie Bunch IIIha annunciato la costituzione di un comitato di revisione interno per valutare le mostre e i programmi degli otto musei presi di mira dall’amministrazione Trump (ho raccontato le premesse di questa storia nella newsletter della scorsa settimana).
  • Mitomani (e burloni) vittoriani: i National Archives inglesi hanno pubblicato una curiosa rassegna di lettere inviate, a partire dall’autunno 1888, a giornali e polizia da sedicenti Jack lo Squartatore (alcuni erano mitomani, altri erano spinti invece da un macabro umorismo)il serial killer che terrorizzò la Londra di fine ‘800 per i suoi efferati omicidi a danno di giovani donne sole.
  • Dilemmi artistici alla spagnola: Goya o Picasso? Quale pittore ha rappresentato meglio la Spagna e la sua storia? Un tweet del romanziere spagnolo Arturo Pérez Reverte (non convinto che Guernica di Picasso sia il dipinto più rilevante della pittura spagnola) ha scatenato un lungo dibattito sulla stampa e sui social, riferisce la newsletter Cose di Spagna. Ovviamente la questione è rimasta, come prevedibile, irrisolta…
  • Annunci immobiliari a sorpresa: in un sito web immobiliare della città argentina di Mar del Plata, un giornalista del quotidiano olandese Algemeen Dagblad ha notato in un annuncio il quadro “Ritratto di Signora” del pittore italiano del Settecento, Giuseppe Ghislandi. La casa in vendita apparteneva ai discendenti di Friedrich Kadgien, ex funzionario nazista, scappato in Argentina dopo il 1945, che aveva sequestrato il dipinto ad un mercante d’arte ebreo olandese, Jacques Goudstikker. Dopo qualche tentennamento, gli eredi di Kadgien hanno consegnato il quadro alle autorità argentina che lo hanno inviato in Olanda.

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